Lunedì, 07 Ottobre 2024

Backstage: La sposa dello Zar al Teatro alla Scala - di Filippo Antichi

Aggiunto il 13 Marzo, 2014

Negli ultimi anni si sta riscoprendo con occhi diversi un repertorio che era stato totalmente ignorato dalle rivoluzioni operistiche degli anni 90. E così, insieme a una generale riscoperta e vari tentativi di riportare in auge il repertorio borghese francese ottocentesco (Meyerbeer, Massenet, Thomas, etc.), ecco che si riscopre il repertorio russo borghese di fine ottocento. In particolar modo Rimsky-Korsakov è l'autore che in questo momento vede le maggiori riletture e rivelazioni che prima parevano celate sotto immagini fiabesche e cartolinesche. A portar fuori il lato attuale, quasi eversivo, di queste opere è un regista che ha trovato un linguaggio per far comunicare con il nostro mondo di oggi queste opere, spesso dimenticate a favore di un Mussorgsky o di un Caikovskij. Ovviamente parlo di Cerniakov le cui riletture di opere russe in Occidente ci stanno facendo capire la loro attualità . Così dopo la Kitezh coprodotta dai teatri di Amsterdam, Barcellona e Milano, Cerniakov è arrivato a produrre nella stessa stagione due opere assai vicine tra loro: Knyaz' Igor di Borodin per il MET, e la Carskaja Nevesta per Berlino e Milano. Infatti Borodin, prima di imbarcarsi nell'opera della vita, di cui si sono appena concluse le recite newyorkesi, aveva per un po' considerato il soggetto del dramma storico di Lev Mei. Tuttavia Borodin aveva abbandonato questa idea abbastanza presto, e il soggetto era stato subito preso da Rimsky-Korsakov che tuttavia impiegò trent'anni per decidersi a metterlo in musica. Così nel 1899, andò in scena a Mosca la prima della Carskaja Nevesta, 8 anni dopo la prima dello Knyaz' Igor orchestrato in buona parte dallo stesso Rimsky dopo la morte di Borodin.
Alla Scala la Carskaja Nevesta ha avuto la sua prima solo all'inizio di questo Marzo 2014 nell'allestimento ideato da Cerniakov e già visto a Berlino lo scorso autunno. Bene, Cerniakov è riuscito in maniera magistrale a coniugare un libretto apparentemente tranquillo e ben poco

eclatante come un thriller quasi di denuncia perfettamente inserito nel nostro tempo.
Il tema portante dello spettacolo è sicuramente lo scontro tra realtà e la finzione. Il crash è avvertibile fin da prima dell'inizio della musica. Nei venti minuti precedenti lo spettacolo, un telo bianco scende sul proscenio e su questo viene proiettata l'immagine di un classico paesino russo innevato popolato da vari personaggi in abiti tipici. Poi le luci si spengono, il direttore entra e si posiziona, il sipario bianco si alza e dietro si presenta uno studio televisivo in due pezzi: la sala di produzione e il set verde acceso per gli effetti speciali in cui si muovono i personaggi in tipici abiti russi che nel video animavano la piazza che ci è stata offerta fino a quel momento. Siamo stati ingannati; quel paesino non esiste, era solo l'immagine che ci aspetteremmo da un'opera con il titolo storico-fiabesco fatta da un compositore russo.
Da qui si capisce che la finzione è il mondo parallelo della tv, dove si può creare un'immagine alternativa al mondo reale. E proprio così fanno gli Oprichniki, il corpo di guardia dello zar, ma che qui diventano dei creatori e curatori di immagine, uomini di tv e di cinema intenti a creare un mondo parallelo. In una chat viene deciso il da farsi. Si prendono caratteristiche varie dei grandi uomini russi del passato, da Ivan il Terribile ad Alessandro III, con un programma avveniristico hollywoodiano che sembra uscito da film di fantascienza distopica, e si crea uno zar materialmente inesistente che vive nell'etere delle immagini televisive. Queste sono proiettate in continuazione nella tv sempre accesa di casa Sobakin, che vediamo a sua volta da una semplice finestra incastonata in un telo bianco che copre tutto il boccascena, in una sorta di matrioska televisiva (il boccascena, la finestra e la tv vera).
Lo zar che esce fuori è avvenente, rassicurante ma minaccioso al tempo stesso. Gli Oprichniki decidono che per renderlo

più autentico c'è bisogno di una zarina. Questo fatto insieme all'amore dell'Oprichnik Grjaznoj porterà al tracollo.
Nel terzo atto, la zarina viene scelta con un provino televisivo proiettato sull'enorme telo bianco della scenografia dove si apre la finestra di casa Sobakin. I primi piani delle ragazze scorrono sulle note del racconto di Domna Saburova, come nei filmati backstage di un reality.
Nel quarto atto invece la realtà e la finzione prendono due strade diverse. Nello studio televisivo dove si crea l'immagine avviene la tragedia: Marfa impazzisce cercando il suo Ivan Sergeevic ormai morto, Grjaznoj esasperato confessa e così fa anche Ljubasa in un escalation che conduce inevitabilmente alla tragedia finale. Marfa crolla nel set verde acido da effetti speciali mentre si abbassa un sipario bianco su cui è crudamente proiettata la zarina ancora sorridente e gioiosa fino a un fermo immagine spiazzante su quel sorriso ignaro.
Nell'allestimento Cerniakoviano spiccano soprattutto i principali personaggi femminili, in un contrasto dolorosissimo su cui è impostato praticamente l'intero secondo atto. Marfa appare come una ragazzina, ancora innocente e ignara del mondo, e totalmente innamorata del suo Ivan Sergeevic. Per tutta la sua comparsa del secondo atto viene proiettato sull'incombente telone bianco un'immagine della chioma di un albero trapassata dai raggi del sole. Uno screensaver che ricorda il suo passato a Novgorod con Ivan Sergeevic, ma anche un'immagine della felicità della ragazza così immersa nel suo autentico amore adolescenziale. Alla chiusura delle tende della finestra di casa Sobakin, dopo l'entrata in scena di tutta la famiglia, lo screensaver si spegne lasciando solo uno sfondo bianco, illuminato gelidamente, e appare Ljubasa, distrutta, nel tentativo di vendicarsi su Marfa. L'intero duetto col medico Bomelij è un dialogo tra due anime sole e disperate, che giungono a un accordo di quelli che finirà per disgustare in parteentrambi.
Ljubasa e Marfa, interpretate rispettivamente da Marina Prudenskaja e Olga Peretyatko, sono anche le due interpreti che spiccano sul resto del cast, entrambe bellissime e bravissime sia attorialmente che vocalmente. La Prudenskaja è magistrale nell'interpretazione di questo personaggio lacerato e lo fa sentire fin dalla canzone del I atto, culminando poi nel duetto con Bomelij. La Peretyatko invece, dopo due atti pervasi di candore adolescenziale, nel quarto diventa donna con il suo personaggio e regala una scena della pazzia da manuale, grazie forse alle sue esperienze belcantiste.
Notevoli anche gli altri interpreti. Il Sobakin di Anatoly Kotscherga, anche con qualche difficoltà, spicca per presenza scenica e lavoro sulla parola. Kranzle disegna un Grjaznoj efficacissimo scenicamente e vocalmente funzionale. Rugamer poteva cavare di più da Bomelij, chiave di volta nella narrazione. Cernoch invece si dimostra un buon Lykov.
Discorso a parte merita la Tomowa-Sintow nel ruolo di Domna Saburova: la parte non è lunga ma la signora era vocalmente assai in difficoltà.
La direzione di Baremboim invece si è rivelata un po' l'anello debole dello spettacolo. Rimane sempre una buona direzione ma pesante e teutonica, poco adatta a far risaltare i colori dell'orchestrazione di Rimsky Korsakov. Un direttore diverso sarebbe stata la ciliegina sulla torta.
E' uno spettacolo che sicuramente mette un punto fermo nell'interpretazione almeno registica di quest'opera. Cerniakov infatti sa ha capito come va presentato un repertorio del genere al pubblico odierno, ha capito quali immagini possono renderlo immediatamente comprensibile. Non ci resta che aspettare la Kitezh a Milano e che qualcuno si decida ad affidare al geniaccio Cerniakov altri titoli di Rimsky.

Filippo Antichi (AKA reysfilip)

Categoria: Backstage

 

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