Duets di Villazón-Abdrazakov
Aggiunto il 15 Ottobre, 2017
Disco mediocre, questo, da qualunque parte lo si rigiri.
Non c’è una ragione al mondo che giustifichi una registrazione in studio dell’attuale Rolando Villazón, triste parafrasi del cantante che fu; ma anche Abdrazakov, pur cantando sostanzialmente meglio – non ci vuole molto – non dice granché in repertori talmente battuti da interpreti ben altrimenti carismatici.
Lo stato vocale attuale di Villazón è cattivo, ma non irreparabile: certo, dovrebbe essere finalizzato a altro repertorio. Se si passa sopra a qualche problema di intonazione e di fiato, si potrebbe pensare a un reinvestimento (non Mozart, ovviamente) che permetterebbe di ricapitalizzare una delle voci più interessanti degli ultimi anni. Abdrazakov è invece più centrato e sta facendo una carriera assolutamente onesta, senza essere un fuoriclasse: in anni passati se la sarebbe giocata con gente tipo Rootering, o Holl, o Koptchack.
Poste queste premesse, santo cielo, perché un disco di duetti fra due cantanti del genere?
Come spesso capita, il primo brano è il biglietto da visita del disco; e qui già si capisce come andranno a finire le cose, con un “Au fond du temple saint” malamente gestito da entrambi i cantanti, senza intimità, senza mistero, senza mezzevoci, senza niente. Ecco: non c’è veramente niente. Non occorre scomodare esempi Caruso-Ancona, Gigli-De Luca, Gedda-Blanc o Björling-Merrill: basta il recente disco di Kaufmann dove compare lo stesso brano (in coppia con Tézier) per capire quale dovrebbe essere la direzione se si vuole riproporre questo brano che conosciamo a memoria per altre interpretazioni. Qui abbiamo un tenore disastroso in questo repertorio, con vistosi problemi di intonazione, a suo agio solo quando può spiegare la canna al vento, il che è la negazione di questo brano. Il basso-baritono è solo un po’ meglio, ma appare distante le mille miglia da un repertorio del genere.
In più, come dicevo, è appena uscita una nuova registrazione dello stesso brano su un disco ben altrimenti interessante della concorrenza: ma i producers non controllano cosa succede intorno?
Registrazione quindi inutile, poco interessante, sciatta, tirata via, brutta.
Il disco procede così, fra bassi e più bassi.
Nei brani comici manca completamente il sale; e comunque la vocalità tanto acuta di Ernesto non fa per il Villazón du adesso (ma nemmeno Pasquale per Abdrazakov). Un pochino meglio l’Elisir, ma solo un pochino.
Molto generici sia il Simone che il Faust, mentre un filo più interessante è il Mefistofele che può giovarsi di quella vena popolana stracciarola che sembra essere il tratto più interessante, anzi l’unico, messo in campo dai due cantanti.
Sempre come spesso capita, il disco si conclude con due brani cross over, eseguiti in tandem: brutti, ma proprio brutti senza remissione.
Perché la DGG ha prodotto questo disco? Io francamente non lo capisco, per cui aspetto fiducioso che qualcuno me lo spieghi.
Se questo cd esprime lo stato attuale del meglio del canto d’opera, siamo male in arnese.
Se è per presentare il meglio della scuderia DGG, idem come sopra.
Quello che sembra, è che i producer discografici abbiano le idee confuse. Un disco del genere, con una ex stella di prima grandezza che non si è saputa reinvestire se non in ambiti sbagliati e un cantante di onesta carriera, ma non di sicuro un fuoriclasse; che presenta un repertorio trito e ritrito già famosissimo in bocca a altri interpreti infinitamente più carismatici, è semplicemente assurdo.
Dirige il tutto il talentuoso Nézet-Séguin, che qui però proprio non la imbrocca: pesta sulla grancassa con cantanti che proprio non ne avrebbero bisogno; non è per niente spiritoso o sulfureo; non li amalgama. Ma, per citare lo Chef Ruffi che tanto impazza su Facebook, per “malgamare” questi due forse non basta nemmeno la sua mitica “versatile”.
Pietro Bagnoli