L Opera di Jonas Kaufmann
Aggiunto il 08 Ottobre, 2017
Questo disco mi ha fatto tornare in mente Salvatore Rizzo, il mio professore di latino e greco al Liceo Carducci di Milano. Una volta diede 9 in un compito in classe di greco a un mio compagno cui, nella prova immediatamente precedente, aveva dato 3. Consegnandogli il compito gli sorrise e gli disse: “Deciditi: o stai sul 3, o sul 9. Occhio che io alla fine non ti darò 6, anche se è la media matematica esatta dei due voti”.
Questa storiella verissima di vita vissuta mi è tornata in mente ascoltando il presente disco, e rileggendo contemporaneamente tutte le peste e corna che avevo detto del precedente dedicato alle canzonette italiane.
Questo disco, contrariamente al precedente, è un capolavoro.
Il biglietto da visita del CD è il primo brano, in cui Kaufmann dipana una paletta di colori talmente variegati da lasciare stupefatti. Il canto è intimo come dovrebbe essere un notturno. Per trovare un riferimento analogo, bisogna risalire alquanto indietro nel tempo, e precisamente a un russo un po’ atipico come Ivan Kozlovsky, Muratore, Vanzo o, per certi versi, a Edmond Clément che nel 1905 ne fa una registrazione acustica fondamentale.
Questo tipo di emissione, unito a una fonazione così peculiare come quella di Kaufmann, ne fa un unicum pressoché irripetibile e recupera una civiltà di canto che credevamo perduta in questo repertorio.
Il discorso potrebbe chiudersi qui, perché le altre letture dei brani proposti seguono questa falsariga, a cominciare ovviamente dal suo ormai paradigmatico Fiore della Carmen, chiuso anch’esso dal si bemolle in pianissimo, e via gli altri, tutti contraddistinti da una cifra interpretativa personalissima che è quella che ha (quasi) sempre contraddistinto questo Artista. Il “quasi” fa riferimento a scelte di repertorio non sempre azzeccate, come già avevo sottolineato nelle recensioni dei precedenti recital; ma qui si trova a proprio agio.
Werther è uno dei ruoli su cui ha costruito la propria gloria, grazie anche allo spessore baritonaleggiante del proprio mezzo vocale, ma a me piace moltissimo anche nel brano un po’ fané della Mignon, cui dona un tocco di irresistibile tenerezza.
Il Fiore di Kaufmann è ormai talmente celebre da non meravigliare più nessuno; ed è forse questo il maggior limite di questa esecuzione che ci propone ciò cui siamo ormai abituati, senza più l’étincelle della meraviglia di quando ci colpì la prima volta come una rivelazione.
Splendidi i due duetti proposti, con una punta di particolare eccellenza per i “Pécheurs”, mentre invece la scena della seduzione della Manon vede in Kaufmann un interprete un po’ troppo veemente e vocalmente un po’ alle corde; molto meglio in “En fermant les yeux”, ancora una volta nonostante la voce che nessuno idealmente assocerebbe a un brano del genere.
Dicevamo dei “Pécheurs”: per andare a una esecuzione tanto rifinita dal punto di vista della voce tenorile devo scomodare nomi gloriosi, nessuno dei quali però ha analoghe caratteristiche vocali.
Il brano di Lalo, il celeberrimo “Vainement ma bien-aimèe”, è luminoso e scattante di mille iridescenze, oltre che di alcuni suoni falsettanti deliziosi che a questa melodia si adattano come un guanto.
Per quanto riguarda “Les Contes”, inseriti in questa raccolta in preparazione dell’opera completa prossima ventura, personalmente avrei scelto la canzone di Kleinzach, che avrebbe permesso a Kaufmann di far affiorare i nervi scoperti del personaggio; ma anche così mi sento appagato, nonostante qualche percettibile difficoltà vocale sul passaggio superiore, per lui mai stato particolarmente facile ma adesso davvero problematico. In compenso, il brano perde le caratteristiche di estroversione acutara strappa-applausi guadagnando molto di più sul piano della riflessione interiore.
Splendida davvero “Ô Paradis”, in cui si passa dalla contemplazione estatica alla brama violenta.
Ma il brano probabilmente più entusiasmante dell’intera raccolta è quello di Éléazar, di cui Kaufmann fornisce l’interpretazione probabilmente più eccitante e commovente dei tempi moderni. E qui, per poter trovare qualcosa che stia allo stesso livello, è necessario scomodare Caruso.
Dirige tutto in modo molto funzionale e preciso il bravo Bertrand De Billy.
In conclusione, un disco davvero eccitante che fornisce un punto di vista finalmente moderno e riflessivo a una materia un po’ passata di cottura come il repertorio operistico francese. Se ne sentiva veramente il bisogno.
E, infine, dopo un po’ di prove interlocutorie, non solo discografiche ma anche teatrali, Kaufmann torna a essere l’assopigliatutto per il quale ci eravamo entusiasmati ormai un bel po’ di tempo fa.
Sembra un’eternità
Pietro Bagnoli