Venerdì, 22 Novembre 2024

Backstage: Il cimento dell'armonia e dell'invenzione - Operadisc intervista Federico Maria Sardelli

Aggiunto il 08 Marzo, 2014

Federico Maria Sardelli, livornese nel sangue, è uno dei più importanti musicisti della nostra (e non solo) generazione.
Oltre a essere uno dei massimi studiosi mondiali ed esegeti di Vivaldi è egli stesso compositore di musica in stile barocco, nonché fondatore (nel 1984) e direttore di una delle più splendide orchestre barocche esistenti: la Modo Antiquo.
Ospite al Concertgebouw di Amsterdam, direttore ospite a Firenze e Torino; direttore ospite di Gewandhaus Orchester di Lipsia, Santa Cecilia, Kammerakademie Potsdam, la Réal Filarmonia de Galicia, Arena di Verona.Incide per Naive, Deutsche Grammophon e Brilliant.
Ha battezzato nei nostri tempi numerosi inediti vivaldiani; buon ultimo, la versione del 1714 dell'Orlando, un'opera completamente nuova per il nostro tempo.
Cito da Wikipedia: Nel 2005, presso il Concertgebouw di Rotterdam, ha diretto la prima mondiale dell'opera Motezuma di Vivaldi, riscoperta dopo 270 anni. Nel 2006 ha diretto la prima ripresa mondiale dell'opera Atenaide di Vivaldi al Teatro della Pergola di Firenze. Nel 2007 è stato direttore principale dell'Händel Festspiele di Halle, Sassonia-Anhalt, dove ha diretto l'opera Ariodante. Nel 2009 ha diretto a Verona la prima esecuzione in tempi moderni dell'opera "Il mondo alla rovescia" di Antonio Salieri.
È membro del comitato scientifico dell'Istituto Italiano Antonio Vivaldi presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, per il quale ha pubblicato il volume La musica per flauto di Antonio Vivaldi (Olschki, 2002) che è stato tradotto in inglese da Michael Talbot (Ashgate, 2007). Sempre per conto dell'Istituto ha creato e dirige la collana di musiche in facsimile «Vivaldiana», edita da SPES. Numerosissime sono le sue pubblicazioni musicali e musicologiche, edite da Bärenreiter, Ricordi, SPES, Fondazione Giorgio Cini.
Nel luglio 2007 Peter Ryom lo ha incaricato di continuare la sua monumentale opera di catalogazione della musica di Antonio Vivaldi e da quel

momento Federico Maria Sardelli è il responsabile del Vivaldi Werkverzeichnis. I suoi aggiornamenti annuali al Catalogo sono pubblicati annualmente sulla rivista Studi vivaldiani della Fondazione Giorgio Cini di Venezia.
Insomma, un personaggio assolutamente intrigante, anche a voler momentaneamente tralasciare la sua attività figurativa, in cui hanno un ruolo fondamentale le dissacratorie vignette create per il "Vernacoliere".

Federico Sardelli accetta gentilmente di essere intervistato in un momento per lui particolarmente denso: sta infatti preparando un'incisione di proprie composizioni di musica sacra.
Dal vivo è persona gradevolissima, molto controllata; mi viene da sorridere pensando a come lo descrive il suo vecchio amico Mario Cardinali, direttore storico del "Vernacoliere"...

Un po’ di autopresentazione: Le va?. Come nasce Federico Maria Sardelli? E chi è oggi? Nasce prima il musicista o il pittore/vignettista? Sardelli musicista è per lo più apollineo. Il vignettista è dionisiaco e fescennino. Quali le ragioni di questa dicotomia? Semplice compensazione?

Federico Maria Sardelli è, se devo parlare di me alla terza persona, anzitutto figlio di un pittore – Marc – da cui ha imparato a dipingere fin da bambino. E ora passo alla prima persona: ero un bambino-prodigio in pittura, già alle elementari vincevo concorsi nazionali e ho fatto la mia prima mostra personale, in una galleria d'arte, all'età di 14 anni, quando fui nominato membro ad honorem dell'Accademia delle Arti dell'Incisione. La musica è arrivata poco dopo la pittura, ossia verso 11 anni, col flauto dolce delle scuole medie: alcuni, come Ennio Morricone, ne maledicono la pratica, mentre io la ritengo essenziale per avvicinare tanti bambini a uno strumento che non sia l'intrasportabile pianoforte, l'incomprabile violino, l'insuonabile oboe, e così via. Da quel momento, appena imparato l'alfabeto musicale, iniziai a comporre come un

forsennato. Mi isolavo completamente dal mondo e scrivevo concerti per archi e cembalo senza averne le capacità. Fu proprio questo sforzo immenso della passione a farmi guadagnare da solo campi ignoti come l'armonia e il contrappunto. Mentre immaginavo musiche difficilissime per la mia età, ero costretto a far passi da gigante sul flauto per riuscire a suonarle o sulla carta per riuscire a scriverle; questa disparità fra immaginazione e capacità reali mi ha fatto guadagnare una tecnica agguerrita che ancor oggi mi sorregge.
Le vignette sono un lato accessorio dell'attività disegnativa: mio padre era l'unico vignettista del Vernacoliere, quando ancora questo giornale era una piccola testata di attualità livornese con un angolo dedicato a una scenetta umoristica in vernacolo. Ebbene, un pomeriggio del 1975, mentre ero nello studio di mio padre a disegnare, lui mi disse: «non ho tempo di fare la vignetta mensile, falla tu, Federico». Per me fu una gioia enorme e ricordo ancor oggi l'emozione di vedere stampata la mia vignetta e di ricevere 5000 lire e grandi elogi dal direttore del giornale. Ecco, da quel momento non ho smesso d'imbrattare mensilmente quelle pagine; talvolta posso saltare un mese se sono in tournée, ma mi càpita anche di spedire i miei disegni da un capo all'altro del mondo, mentre sono impegnato in teatro.

Ci può raccontare qualcosa di Modo Antiquo?

Ebbene, a 14 anni, oltre alla mia prima mostra di pittura, feci anche il mio primo concerto pubblico. Da quel momento la passione per la musica del passato fu sempre più forte e mi spinse a ricercare partiture e trattati a più non posso. Nel 1984, assieme ad altri due amici, fondai Modo Antiquo. Ma, diversamente dal percorso che hanno fatto quasi tutti i direttori o esecutori di musica barocca, il mio è stato un percorso in ordine cronologico: ho iniziato con la musica del Medioevo e, pian piano, ho guadagnato tutti i secoli successivi. In genere invece, si parte da una preparazione conservatoriale incentrata perlopiù sugli ultimi due secoli e poi si torna all'indietro. Modo Antiquo è stato dunque per lunghi anni un ensemble medievale; a questo, nel 1987, si affiancò l'orchestra barocca, nata per celebrare il centenario di Lully con un concerto ancor oggi memorabile.

Strumenti antichi, oppure – come Chailly con la Gewandhaus o Rilling con il suo Bach-Collegium – moderni ma suonati “modo antiquo”: il Barocco è sempre più come un albero fiorito. Siamo ormai lontani anni luce dai primi esperimenti di Harnoncourt, Parrott o Malgoire. Adesso è quasi difficile orientarsi fra le varie tendenze, talvolta vissute da alcuni protagonisti con un pizzico di edonismo dandy. Lei dove si colloca? Come vede l’evoluzione del repertorio barocco?

I pionieri delle esecuzioni filologiche si dovevano imporre in mezzo a un ostracismo formidabile: fu per questo motivo che spesso vennero accentuati alcuni tratti interpretativi – l'abbandono del vibrato, una generale nettezza dell'articolazione, una ritrovata trasparenza della partitura, etc – che dovevano dimostrare in modo chiaro quale era la strada da percorrere in mezzo a una tradizione esecutiva fatta di stratificazioni stilistiche inconsapevoli. Questo spiega certe asprezze di Harnoncourt o certi tempi vertiginosi di Goebel.
Oggi, dopo gli sforzi di questi e altri pionieri, è quasi universalmente accettato che la musica del passato debba essere eseguita non soltanto con gli strumenti dell'epoca, bensì con una prassi esecutiva basata su uno studio e su una consapevolezza della storia e delle fonti. Quest'approccio è diventato trasversale ed è un bene per tutti se Abbado o Chailly ci restituiscono delle sinfonie di Beethoven storicamente coerenti e bellissime. La parola «filologia», da qualcuno vituperata e associata a «noioso», «polveroso», è in realtà una formidabile chiave per interpretare qualsiasi musica di qualsiasi epoca: se voglio cercare di capire Monteverdi, il suo pensiero e il suo gusto, dovrò avvicinarmi il più possibile alle modalità interpretative della sua epoca, un po' come se, fra trecent'anni, chi volesse capire qualcosa dei Beatles farebbe bene a rispolverare delle chitarre Rickenbacker 325, anziché affidarsi agli strumenti completamente diversi che ci saranno a quel tempo.
Poi, però, gli strumenti e la loro tecnica, da soli non bastano: la restituzione di una musica del passato passa attraverso mille fattori che, insieme, vanno a formare il concetto di gusto: informazioni che provengono dai trattati, dalle fonti extra-musicali come lettere e testimonianze dei contemporanei, dalla letteratura, la retorica e la poesia dell'epoca, dalla pittura, dalla gastronomia e via dicendo. Tanto più si conosce in profondità un'epoca, tanto meglio si potrà penetrare quell'apparentemente effimero e sfuggente concetto di «gusto» che informa ogni creazione musicale e che, a veder bene, non è affatto effimero: oggi noi sappiamo benissimo discernere se un paio di scarpe è alla moda o no, se sono goffe o eleganti, se sono adatte a questa cena o no, e così via. Oggi qualunque cafone sa benissimo che per andare in discoteca deve indossare questo indumento e non quest'altro: il gusto è una cosa ben chiara a tutti, anche alle persone di cattivo gusto. Ebbene, quando noi ascoltiamo un minuetto di Mozart abbiamo, nel 90% dei casi, delle esecuzioni goffe, stupide, che farebbero ridere o inorridire Mozart e i suoi contemporanei. E questo non tanto perché l'orchestra sia stonata o incapace, ma perché né il direttore, né gli orchestrali, sanno più cos'è un minuetto, a cosa serve, come si balla e come si porta. Per loro è musica assoluta, astratta, fuori dal tempo perché «classica». Ecco, questo astrarre e consegnare ad un olimpo senza tempo è uno dei peggiori danni che ci ha fatto l'idealismo tedesco e, in musica, foriero di equivoci incredibili. Potrei fare centinaia di esempî simili. Ecco, per eseguire bene il passato,

bisogna immergersi nel passato, in tutte le sue pieghe. Certo, non abbiamo la macchina del tempo, né possiamo ascoltare le registrazioni di Beethoven che suona, ma possiamo andarci tanto vicino, se solo si ha pazienza, interesse e sensibilità per la storia e le sue infinite sfaccettature. Altrimenti eseguiamo un falso senza tempo che non è mai esistito e che piace a noi soltanto perché siamo ignoranti del passato.

Un utente comune vede due strade esecutive di Vivaldi: quella apollinea ed equilibrata di FMS (ho letto un accostamento alle pennellate di Tiepolo), e quella dionisiaca di altri interpreti, che si segnalano per riff esasperati e contrasti che fanno molto “heavy metal”. Secondo Lei, qual è la strada che finirà per essere preponderante? O meglio: quella che il pubblico sembra gradire di più?

Meno male lei mi dà dell'apollineo ed equilibrato: sarei stato a disagio se mi avesse annoverato fra i rockettari del barocco. Vede, Vivaldi, per chi lo conosce davvero a fondo, non è quel cialtrone in preda alla schizofrenia effettistica a cui molti gruppi barocchi ci hanno abituati. Vivaldi è molto più vicino a Mozart di quanto non si sospetti: un autore dal pensiero chiarissimo e immediatamente comunicativo, dalla forma perfetta e levigata, da una straordinaria e apparente semplicità che cela una grande complessità. Invece, negli ultimi quindici anni in cui la riscoperta e la divulgazione di quest'autore ha fatto passi da gigante, si è assistito a una volgarizzazione, a una tendenza al ribasso che a me irrita profondamente: in pratica, si sono estrapolate dai titoli delle sue opere alcune parole – «estro», «stravaganza», «invenzione» – e le si sono prese come una licenza a far quel che si vuole della sua musica, in nome di una travisata idea di barocco. Anche qui, è colpa dell'estetica idealistico-crociana, che ci ha insegnato che barocco significa bizzarro, bislacco, incoerente e, fondamentalmente, mostruoso. La maggior parte delle

secuzioni vivaldiane dei nostri giorni ricordano quella geniale parodia dello spot della «Casa delle Libertà» fatto da Guzzanti, in cui gli inquilini ruttavano o mangiavano gli spaghetti per terra. Ecco, con Vivaldi è accaduto la stessa cosa, e non esagero: pizzicati ad arbitrio, cambi di tempo che non ci sono, tempi isterici, suoni picchettati e staccati antistorici, dinamiche aggiunte a capriccio, tiorbe che eseguono la parte di viola negli adagi senza basso, e così via. Il tutto credendo che nel periodo barocco facessero come nella casa delle libertà di guzzantiana memoria («facciamo un po' come cazzo ci pare») e che ogni arbitrio fosse giustificato dal concetto di «stravaganza» o «estro». Questi approcci, che ritengo un vero veleno interpretativo, sono oggi la quasi maggioranza e discendono da due cause, spesso concomitanti: l'ignoranza della storia o il disinteresse per la storia e la fatica che presuppone. Molto spesso questi esecutori «filologi» sono solo dei possessori di archetto barocco o, in ogni caso, persone che vogliono apertamente sovrapporre il proprio gusto a quello di Vivaldi. Certo, poi i risultati premiano: al pubblico di oggi, abituato al pop e al rock, piace sentir sbattere il legno degli archetti o sentire i bassi continui pompati da fragorosi schitarramenti o arpeggi, ma questo non significa che stiamo ascoltando Vivaldi: stiamo solo vellicando i nostri contemporanei.
L'immagine di Tiepolo e delle sue pennellate fresche e perfette è per me la miglior metafora del gusto vivaldiano: freschezza, sveltezza e luminosità che si coniugano ad un impianto formale rigorosissimo in cui non è ammesso sbagliare o aggiungere elementi di squilibrio. Qui ogni «stravaganza» o «invenzione» è già nel testo e nella creazione di Vivaldi, non nel gusto pacchiano dei nostri contemporanei. Lei s'immagina se l'approccio «heavy-metal» fosse esteso a Händel, a Bach o a Mozart, che razza di scandalo verrebbe fuori? Eh no, gli stessi che sfigurano Vivaldi con

tira-e-molla agogici e variazioni di cattivo gusto si guardano bene dal farlo quando eseguono il grande Bach o l'apollineo Händel. E perché? Perché questi altri compositori sono già stati consegnati da lungo tempo all'olimpo extra-storico, mentre Vivaldi è acquisizione recentissima, venuto dal nulla dopo 200 anni di oblìo. Mi fermo, il discorso sarebbe lunghissimo e prima o poi verrebbero fuori i nomi.


Qual è il ruolo di FMS nella riscoperta del repertorio vivaldiano? Dall’Orlando furioso del 1977 registrato da Scimone con la Horne alle registrazioni di FMS: cosa è cambiato?

Quando ho iniziato a fare il teatro musicale di Vivaldi, ero pressoché il primo: peima di me c'era solo Scimone o poche altre esecuzioni pionieristiche di qualche opera. In pochi anni, al ritmo di un'opera all'anno, ho eseguito, spesso in prima mondiale e spesso incidendole in cd, Arsilda Regina di Ponto, Orlando Furioso, Tito Manlio, Motezuma, Tigrane, Atenaide, Catone in Utica e riscoperto un nuovo Orlando del 1714 finora ignoto. Contemporaneamente, col mio lavoro di musicologo all'Istituto Italiano Antonio Vivaldi, preparavo le prime edizioni di queste opere e di molti altri lavori strumentali

Secondo Lei quanto ha influito il disco di arie inciso da Cecilia Bartoli per la Decca nel 1999 nell’attuale modo di eseguire Vivaldi?

Se lei mi chiede del disco di Cecilia Bartoli del 1999, di certo lei cerca la rissa. Quanto ha influito? Moltissimo. Una raccolta di arie sciolte, come se ne fanno oggi a bizzeffe, era al tempo una novità, specie per Vivaldi. E la Bartoli – o la Decca – ebbero il merito di colmare una lacuna del mercato. Come la colmarono, questo è un altro paio di maniche: gran parte di quelle arie erano trasportate per venire incontro alle esigenze della diva, che arriva anche a sostenere la parte di un coro e a cantare da sola un duetto. Lascerei perdere. Il modo di eseguire Vivaldi c'entra poco: la differenzaconsiste, ancora una volta, in chi usa Vivaldi come un limone da spremere e chi cerca di capirlo.

La domanda inevitabile: perché, quando e come la grande passione per Vivaldi? Che ruolo occupa il compositore veneziano nella Sua vita?

Un posto molto importante. È una passione fortissima e quindi quasi irrazionale, come tutti gli amori. Mi nacque a 12 anni, dopo che avevo ascoltato solo Beethoven e Mozart. In casa di un pittore amico di mio padre ascoltai il terzo tempo de L'Estate, e ne restai completamente folgorato. Cominciai a comprare dischi di Vivaldi, a suonarlo, a trascriverlo, a cercare di capirlo. E questo processo è ancora in corso, perché siamo di fronte a uno dei giganti della storia musicale che, diversamente dai suoi contemporanei, è ancora in gran parte da scoprire. Ho poi avutola gioia e la fortuna di entrare a far parte dell'Istituto Vivaldi della Fondazione Cini di Venezia, pubblicare studî e partiture e collaborare con i massimi studiosi vivaldiani, come Talbot, Strohm, Ryom. È proprio quest'ultimo, l'autore del catalogo (RV), che nel 2007 mi ha lasciato il compito di continuare il suo immane lavoro. Onori, gioie, grandi responsabilità.


Cosa dice delle ricostruzioni di opere vivaldiane, come Motezuma o Bajazet? Operazione autorizzata? O abuso?

Come direbbe ancora Guzzanti, «la seconda che hai detto». Anche qui, sulla scia di quel fenomeno di pacchianizzazione che sta investendo la musica barocca, assistiamo ad un arbitrio che per qualsiasi altro autore sarebbe censurato duramente. Immaginatevi un Don Giovanni di Mozart o semplicemente un Giulio Cesare di Händel che è giunto a noi incompleto, senza un atto intero o addirittura senza due. Che fareste? Lo eseguireste così com'è. Invece col fenomeno-Vivaldi no: si ricostruiscono, riscrivendoli ex-novo, gli atti mancanti. Un po' come sicostruire la testa alla Nike di Samotracia o rifare nasi, braccia e cazzi alle statue della classicitàgreco-romana. Certo, c'è stato un recente presidente del consiglio che ha fatto ricostruire queste parti alle statue antiche che lo circondavano durante il suo mandato, ma per fortuna, appena destituito, le parti posticce sono state rimosse. Con Vivaldi invece non si può: le parti posticce sono ancora lì che navigano su internet e nei tripli cd sui banchi dei negozî, materiali indiscernibili dalle parti originali, almeno per la gran parte del pubblico. Una vera frode in commercio. Perlomeno in campo agroalimentare ci sono i NAS: se in una pasticceria si trova un topo morto oppure delle uova scadute nell'impasto, arrivano i NAS e ti fanno chiudere. Tutti plaudono a queste operazioni di legalità e verità. E perché se io compro un triplo cd con su scritto «Vivaldi» e poi dentro c'è un intero cd o anche più di musica posticcia, non ci sono i NAS che vanno alla casa discografica o da quell'ensemble per chiuderli o fargli una multa? Effetto della debolezza dell'arte rispetto ai beni materiali.
Ho avuto l'onore di eseguire la prima mondiale del Motezuma, a Rotterdam nel 2004, e l'ho eseguito così come ci è arrivato, con piccolissime ricostruzioni delle due arie frammentarie, ma non delle arie, recitativi e cori perduti. La musica superstite è bellissima e si gode compiutamente nonostante le lacune.


In ambito operistico Vivaldi è noto ai più prevalentemente per essere l´autore dell´Orlando Furioso. Quale altra opera teatrale riterrebbe opportuno far riscoprire al pubblico d´oggi e perché?

Le opere conosciute di Vivaldi sono al momento state tutte eseguite: in pratica, per la prossima prima mondiale bisogna attendere che salti fuori una nuova scoperta. E di nuove scoperte c'è sempre la possibilità, visto che sono più le opere perdute di quelle sopravvissute. Credo poi che la fortuna dell'Orlando sia meritata, ma faccia ombra ad altri titoli più belli: La Griselda, L'Olimpiade, Il Farnace, sono opere degne d'entrare stabilmentenel repertorio dei prossimi secoli. Insomma, se nel repertorio c'è Pagliacci o Oberto, conte di S. Bonifacio...

FMS e il suo rapporto con i cantanti. Esigente? Vessatorio come La dipinge il Suo vecchio amico Mario Cardinali? Che ci può raccontare su Nicky Kennedy, Anna Caterina Antonacci o altri cantanti con cui ha collaborato? La vexata quaestio dei controtenori. Cosa ne dice?

Direi che il rapporto è sempre ottimo e raramente mi son trovato ad alzare la voce o a litigare con un cantante. Cantanti meravigliose come Ann Hallenberg, Paul Agnew o Nicki Kennedy sono del pari artisti e persone eccezionali. Quello che funziona male è quando il cantante è solo una bella voce infilata in una persona mediocre o sciocca o petulante. Allora lì non ho nessuna pazienza. Diversamente da molti miei colleghi direttori, sono totalmente privo di accondiscendenza verso i capricci dei cantanti. Ma il problema è semplice: i grandi cantanti – sia quelli col grande nome che col nome piccolo – non fanno mai capricci. Sono i mediocri quelli che piantano grane o che si danno arie, che sono sempre stanchi o che mascherano le loro lacune tecniche con una finta stanchezza, il raffreddore o altre scuse miserabili. Per loro non ci dev'essere pietà.


Ci vuole parlare del suo rapporto con Haendel? Che progetti ha? Opere italiane o anche oratori in inglese?

Amo moltissimo il grassone sàssone e sono sempre felice di eseguire le sue musiche. Diciamo che Händel trapunta amabilmente il mio percorso vivaldiano e non passa anno in cui io non sia chiamato a dirigere una sua opera: ho fatto Ariodante, Alcina, Agrippina, etc. In genere ho sempre fatto opere italiane e di oratorî inglesi ho solo diretto L'Allegro, il Penseroso, il Moderato, per l'Händelfestspiele di Halle. Prossima tappa: il Teseo, al Festival d'Opéra Baroque di Beaune.


E veniamo a FMS compositore. Cosa significa comporre oggi musica sacra “modoantiquo”?

Compongo da quando ho iniziato a saper leggere la musica. È stata un'esigenza incoercibile e, da quando sono adolescente, ho scritto centinaia di composizioni in tutti i generi. Il Novecento ha segnato la dissoluzione del concetto di stile musicale ed ha aperto le porte alla sperimentazione. Questa libertà totale d'espressione è per me il limite più grande che si possa dare alla creatività dell'artista. Il vero artista per creare ha bisogno di regole, che può violare, ma che consentono alla sua idea di esser veicolabile presso il maggior numero di individui. Non avere nessuna regola e doversi creare ogni istante il proprio linguaggio è, a mio parere, uno dei danni più gravi occorsi all'arte durante tutto il suo lungo cammino. La babele delle lingue musicali ha da un lato stimolato nuove strade e dato frutti straordinarî, dall'altra ha condannato alla sterilità ed al mutismo molte persone di talento, moltiplicato i bluffatori e dato spazio all'autoreferenzialità. È l'effetto – positivo e negativo – della perdita di ogni riferimento stilistico. E poiché la contemporaneità ha reso lecita ogni sperimentazione, ho deciso allora di riappropriarmi di una lingua bella, compiuta e ancora perfettamente intelligibile come lo stile barocco, e con quella parlare ai miei contemporanei. Se oggi tutti i linguaggi sono leciti, allora a buona ragione è lecito il linguaggio barocco, che ancora permette di parlare e commuovere. In questa lingua, che ho imparato da Vivaldi, si può esprimere ancora molto. E il mio prossimo disco da compositore sarà dedicato alla musica sacra, che è un genere fecondissimo d'ispirazione. Non si tratta di un tuffo nel passato o di un neo-qualcosa: per me comporre in stile barocco significa comporre musica vera, viva e parlante per i nostri tempi.


Ci colpisce il fatto che si sia rivolto ai suoi numerosissimi amici su Facebook per finanziare il Suo progetto, ma effettivamente è una bella idea: come ènata?

Stiamo attraversando un difficile periodo per l'arte e la cultura, e specialmente in Italia i finanziamenti sono scarsi. L'idea di finanziare un progetto musicale come «Sacred Music» tramite un crowdfunding mi è parsa bella e democratica: chiunque può farsi mecenate e produttore secondo le proprie possibilità. E se penso che Beethoven spese tutto l'anno 1825 scrivendo lettere in giro per l'Europa in cerca di sottoscrittori per la sua Missa Solemnis, mi sento un po' meno solo.

Il FMS di Facebook è dispotico con i numerosissimi amici, che tuttavia lo adorano: che alla fine abbia ragione il Cardinali?

Come dice il mio motto: «Manesco con gl'inermi & servile co' pettoruti»

Pietro Bagnoli

Categoria: Backstage

 

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