Matthäus-Passion
Aggiunto il 28 Aprile, 2015
Rieditata dai giapponesi che hanno acquisito Deutsche Harmonia Mundi, BMG e RCA Mundi, con notevole miglioramento tecnico, questa edizione della Matthäus di Leonhardt merita, ancora a distanza di anni, un ascolto attento, sia pure con qualche minimo distinguo, in questo caso di tipo storiografico.
Nel 1981 Joshua Rifkin e Andrew Parrott avevano pubblicato gli esiti dei loro studi sul modello interpretativo dei corali di Cantate, Passioni e Motetti; una tendenza destinata a far scuola e a diventare prassi esecutiva di riferimento, in parallelo con chi – come Rilling, o Chailly – ricorre a organici più o meno moderni ma usati “modo antiquo”.
Fa quindi un certo effetto vedere che, quasi un decennio dopo, un musicista importante e colto come Leonhardt rimanga ancorato ai principi che aveva condiviso con Harnoncourt, e che erano stati alla base anche della loro concezione delle Cantate (incisione Teldec): nessuna voce femminile, partendo dal presupposto che le cantanti donne ai temi di Bach non sarebbero state ammesse in chiesa; le parti da soprano affidate a voci bianche, visto che il coro di pueri cantores era invece ammesso; e quelle da contralto affidate a controtenori.
Partendo da questa concezione, nel 1970 proprio Harnoncourt aveva registrato una fondamentale versione della grande Passione bachiana, che si segnala ancora adesso per afflato visionario e rigore esecutivo. Lo stesso Harnoncourt, nel 2000 avrebbe rivisto la sua concezione reintroducendo le voci femminili e i cori nella loro (supposta) integrità, quindi ribellandosi agli studi di Rifkin e Parrott nella sostanza, ma mantenendo un’identità strumentale ben precisa.
La materia è quindi controversa, anche perché è difficile trovare la giusta misura fra le varie istanze che si sono imposte nel corso degli anni. Attualmente prevalgono due tendenze: la “scuola Rifkin”, con i solisti a occuparsi dei corali e il supporto di ripienisti; e i tradizionalisti, che però usano strumenti moderni suonati come se fossero antichi. Il che è ovviamente comprensibile, tenuto conto dell’evoluzione della materia.
Leonhardt, invece, dimostra rigore “calvinista” facendo la propria Matthäus-Passion come il primo Harnoncourt (che però l’aveva registrata così 20 anni prima), con gli stessi criteri con cui ha sempre eseguito tutto il resto di Bach, forse senza dispiego di eccesso di fantasia, ma in compenso con una cantabilità colma di affetto e con molto buon senso.
Ha dalla sua parte il complesso orchestrale de La Petite Bande di Sigiswald Kuijken, che peraltro partecipa all’impresa come co-direttore di uno dei due complessi orchestrali; e un eccellente parterre di cantanti, fra cui curiosamente un altro futuro direttore di questo capolavoro, e cioè René Jacobs.
Ed è proprio nella levigatezza del suono che Leonhardt trova il suo asso vincente: valga, come esempio, la splendida viola da gamba che accompagna il canto a dir poco favoloso di Max von Egmond (uno dei più grandi esecutori bachiani della nostra epoca) in “Komm süβes Kreuz”, decisamente uno dei momenti più belli di questa incisione.
Dei solisti, oltre a von Egmond, è outstanding l’Evangelista di Prégardien, mentre Jacobs non finisce per entusiasmarmi, a cominciare dalla celeberrima “Erbarme dich”, mentre lievemente meglio appare il meno celebre Cordler nei suoi interventi, come quello in duetto di “So ist mein Jesus”; gli altri, pur cantando complessivamente bene, non fanno storia, compreso il celebre John Elwes.
Merita invece qualche considerazione l’uso delle voci bianche per ruoli sopranili. Tale idea nasceva – come dicevo – dalla considerazione che un coro di voci bianche era teoricamente previsto comunque. Il problema è che per quanto ne sappiamo, le voci bianche per cui scriveva Bach erano teoricamente più “adulte” e più estese di queste dei Tölzer, per bravi che siano. Quello che si ascolta in questa registrazione non è disdicevole; ma appare francamente superato dal periodo che aveva già abbondantemente oltrepassato questa fase. Lo stesso Kuijken, che aveva eseguito la Passione con voci bianche, l’avrebbe incisa secondo i criteri di Rifkin, a questo punto da considerare (forse) esaustivi per questo repertorio.
Almeno per il momento…
Pietro Bagnoli