Venerdì, 22 Novembre 2024

Backstage: Tradizione o tradimento? Riflessione ironica sull'importanza di tornare alla vera essenza della musica - di Francesco Zicari

Aggiunto il 19 Ottobre, 2013

"Quel trombone di tuo padre... " diceva Totò. Tutta colpa sua. In principio c'era la musica, e basta. E i compositori, al tornio, che la modellavano. Chi più bravo, chi meno, facevano il loro sporco, dignitosissimo mestiere, nobile, di tecnica e passione, come qualsiasi altro. Chi ha rovinato tutto? Beethoven. Mi rincresce, perchè il ragazzo era bravino forte, nulla da dire, ma cominciò a bestemmiare nei salotti, emancipando involontariamente la figura del compositore da "artista-impiegato" ad "artista-impegnato", per non dire infognato, frustrato, implicato, in messaggi sociali, filosofici, esistenziali o pseudotali, e pure in pipponi mentali, idee extramusicali che del musicista ne ha intrombonito le attitudini, giusto un po'. Ma poco poco, giacchè a Beethoven lo humour non mancava; il resto l'han fatto quelli che son venuti dopo, totalmente soggiogati da questa nuova moda di sentirsi piccoli grandi alfieri di quella "cosa" inesistente chiamata Arte, che nel '700 grazie a dio non esisteva per davvero, e nell'800 assunse invece proporzioni invero agghiaccianti (salvo poi frantumarsi un secolo dopo sotto le esplosioni delle bombe, quando diciamo non c'era molto più tempo modo e voglia di menarsela col Signore degli Anelli, e ciurlare nel manico).

Così, far sì che Bach diventi un bravo pizzaiolo (anche se la pizza non è propriamente alimento "storicamente informato", passatemi il paragone) dal mio punto di vista vuol dire ridargli la dimensione che si merita, quella di un artista puro, di ingegno, ossia di genio. Lo stimo Bach, come stimo mio nonno. E se fosse vissuto all'epoca di Brahms, probabilmente, l'avrei stimato assai meno, e lui avrebbe scritto musica assai peggiore, confezionando pietanze appariscenti in uno di quei ristoranti ben frequentati dove tanto spendi e mangi poco. Invece era un artigiano, un vero cuoco, di quelli tosti, cui portare rispetto più che ammirazione, magari solo con qualche piccola mania di grandezza, quelle manie da

professore col trattato sotto il braccio, un trattato di valore. E così lo rispetto, perché nella sua musica così enorme, profonda ma, tutto sommato, fine a se stessa, alla bellezza della musica stessa, come fosse un oggetto naturale, un albero o un sasso, ritrovo un'emozione sincera, vestita d'un saio, come in una bella scarpa di un abile calzolaio. Come pure sincera era la ruffianeria un po' rococò di Mozart, il suo carattere dissacrante ed esplosivo, la sua musica meravigliosamente di consumo che dei parrucconi in prima fila si beffava apertamente. E cosa dire di Vivaldi, il pretuncolo impertinente col vizietto del rock'n'roll. E poi?

Poi arrivò LUI! il sordo scapigliato! poveretto, non poteva sapere che avrebbe inventato il romanticismo. Anzi, ad un certo punto se ne accorse e lo detestò con tutte le sue forze, provò persino a tirarsene fuori: nel suo terzo periodo cosiddetto EVASE letteralmente dal clichè di se stesso inventandosi una specie di BACH-STYLE 2.0, come gli informatici direbbero, quasi fosse un estremo tentativo di autoguarirsi dal morbo di una retorica sempre più ingombrante. Eppure fu troppo tardi, neanche un bravo barbiere bastò: Schubert era già pazzo di lui, e Schumann, per inseguire quella mirabile e spettinata grandezza, divenne pazzo sul serio, esattamente come Brian Wilson dei Beach Boys nel tentativo di emulare Paul McCartney. L'onanismo dell'Arte l'aveva ucciso. Come alcune leggi italiane, il trombonismo, dopo aver raggiunto l'apice alla fine dell' ottocento, diventò retroattivo, e in barba all'inventore che l'aveva rinnegato, ricoprì come una risacca violenta per dieci volte il povero e ignaro Beethoven (per l'occasione incoronato col cappello da vikingo da un Wagner ormai padrone assoluto della musica passata e futura) fino a spingersi indietro a quelli che, fino a l'altro giorno, erano stati lì tranquilli nel loro cantuccio di geniali cazzoni qualunque (penso a quel frescone di Haydn, uno dei compositori che per inciso

ammiro di più). Tutto all'improvviso diventò sacro, la musica sacra diventò sacrissima, sacrerrima, ultraterrena, quella terrena diventò sacra q.b., quella di consumo diventò di culto (provate voi a pregare davanti ad una brioches), la musica allegra diventò meno allegra, quella triste tristissima, quella commovente straziante, quella lenta praticamente immobile, in un sadico rituale di "nobilizzazione"; così un esercizio brillante e divertente come le variazioni Goldberg da perpetuum mobile per nobili insonni diventò monumento immobile per ascoltatori sempre più assonnati, almeno fino a Glenn Gould, ed all'avvento di qualche dritto come lui, che capì che per sdoganare un secolo già emancipato di suo bastava suonare quel che c'era scritto.

Per questo adoro quegli inguaribili buontemponi degli interpreti hipsters, non perché siano storicamente informati, ma perché sono storicamente buontemponi, come i compositori che amo di più. E perché odiano le brutte copie, odiano le estetizzazioni di cose già nobili, sono in poche parole tradizionalmente disinformati, perché quando vedono un'aranciata, fresca e frizzante, preferiscono berla piuttosto che rimirarne rispettosamente e religiosamente il deterioramento (muffa a galla compresa). La musica di ieri può esistere fragrante come allora, ancora, se la si consuma, preferibilmente, ora.
Francesco Zicari, AKA Triboulet

Categoria: Backstage

 

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