Backstage: Guillaume Tell a Pesaro - di Maugham e Beckmesser
Aggiunto il 12 Agosto, 2013
I nostri Maugham e Beckmesser hanno fatto una gita a Pesaro per godersi - nel calduccio (39°) marchigiano - il nuovo allestimento critico del capolavoro rossiniano.
Eccovi i resoconti.
Solita regia di Vick. Vicenda ambientata in un non-luogo dove una comunità oppressa si scontra con quella degli oppressori. Proiezioni in ciclorama, pareti bianche, scritte rivoluzionarie fatte con la vernice rossa, il sipario con un pugno alzato da Corea del Nord. I cattivi sono sadici, ridanciani, feroci, laidi e nemmeno capaci di ballare. I buoni sono gentili, serissimi, teneri, pudichi e straordinariamente bravi come ballerini. Ci sono anche tanti cavalli morti. Uccisi dai cattivi. Arnold durante "Asile héréditaire" guarda le filmine di quando era piccolo e faceva l'ortolano con il suo babbo. Amen.
Mariotti ha diretto con correttezza ma è ancora presto per affrontare certe partiture. Gli manca il senso dell'architetture generale. Più che un'opera sembra un puzzle messo insieme tessera dopo tessera. Certi dettagli sono originali e certi accompagnamenti alle arie dimostrano che il problema di come sostenere le voci in un'opera rossiniana se lo è posto. Ciò non basta per giustificare certi squilibri fonici e certe sonorità, magari anche suggestive, ma ingenuamente applicate ad un contesto teatrale preverdiano che ancora non le prevede. Inoltre Mariotti pecca di astrattezza. Se certe intenzioni sono buone, a volte ottime (tipo l'introduzione all'aria di Mathilde del II atto) rimangono allo stato di abbozzo perchè sgonfiate subito da un'orchestra e un coro volonterosi ma ben lungi dal poter sostenere certe scelte ritmiche e, soprattutto, certe dinamiche al limite della rottura. Il finale III era dalle parti del baccano, la tempesta quasi indecifrabile da un punto di vista strutturale e il finale pompava tanta aria wagneriana da sembrare quello del Rheingold. Più passa il tempo e più, in quest'opera, non mi sposto da Muti. In attesa di Minkovski.
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Florez a volte soccombe sotto Arnold. Si cominciano a notare i primi segni del tempo che passa. Sono ovviamente sempre segni su un fuoriclasse e li si nota solo se si confronta il Florez attuale con quello di una decina d'anni fa e soprattutto se lo si ascolta in un ruolo -come in questo caso- che non gli conviene del tutto. Gli acuti a voce piena sono ancora luminosi e squillanti (e lui lo sa bene e quindi ne abbonda) mentre le frasi a mezza voce cominciano a mostrare opacità e velature. La recitazione, ovviamente, non esiste e i gesti sono stereotipati e buoni a tutti gli usi. Duetto e terzetto di buon livello. Purtroppo nella cabalettona (dove tutti lo aspettavamo) ha segnato il passo. Il ruolo gli sta largo e se la ritmica e la scansione della frase sono quelle giuste, purtroppo l'idea di un Arnold-Tonio mi si è ficcata in testa e non mi si è levata più.
Alaimo è un Tell piuttosto anonimo e monocorde. C'è da dire che ce l'ha messa tutta ma la parte è davvero ingrata e se non hanno spalle larghissime si rischia, come in questo caso, di finire vampirizzati.
La Rebeka ha un volume importante e un voce dal bel timbro ma pochissimi colori. L'aria del terzo parte sul mezzoforte, si svuluppa sul forte, e chiude sul mezzoforte. Bravina, intendiamoci, ma niente di che. E invece in Mathilde qualcosa "di che" ci vuole. Coro e orchestra impegnati e decisi a dare il meglio.
Clima torrido (più fuori che dentro) signore sventaglianti che, nella chiusa dell'ouverture, battevano il tempo con spirito patriottico. Ce n'era una fila che sfarfallava a sincrono perfetto tipo le Bluebelles du Lido. Dopo tutto le dame dell'upper-class pesarese sanno come ci si comporta di fronte a un allestimento rivoluzionario come questo.
WS Maugham
Innanzi tutto, credo che il ROF debba porsi la questione di cosa vuole diventare da grande: ogni festival deve avere una chiara fisionomia ed una precisa ragion d'essere, altrimenti si
finisce come il Festival Verdi; il ROF, finché mette in scena il Ciro in Babilonia dell'anno scorso o l'Aureliano in Palmira dell'anno prossimo, una ragion d'essere ce l'ha by definition: allestire opere che non si possono sentire da nessun'altra parte. Ma quando si affronta una cosa come il Tell il discorso è abbastanza diverso. Nel 1995 già il fatto di sentire quest'opera in lingua originale e integralissima (oltre che con un cast di grande seppur discutibile interesse) valeva il viaggio, ma nel 2013 le cose sono diverse. E il risultato è di un Tell discreto che si potrebbe sentire in diversi teatri di non primissimo piano. Ok, il tutto esaurito quasi bayreuthiano è già una giustificazione, ma ci vorrebbe onestamente altro...
L'allestimento di Vick è risibile, nella sua vuota velleità da “vorrei ma non posso”. Idee di seconda mano realizzate con mano pesante e presunzione molta: quel Gessler cattivissimo che per vessare gli svizzeri non trova di meglio che far loro pulire il pavimento in continuazione e dare qualche pedata nel sedere d'ogni tanto, ricordava irresistibilmente il cattivone di “Altrimenti ci arrabbiamo”, che chiedeva in continuazione al suo medico “sono stato abbastanza cattivo?”.
Mariotti parte bene, con una visione dell'opera che tende a riagganciarla più al recente passato napoletano di Rossini che alla tragedie lyrique francese (cosa che sarebbe anche interessante), ma poi tutto gli sfugge di mano, per arrivare ad un quart'atto imbarazzante del tutto fuori controllo. Dal punto di vista editoriale, opta per il testo canonico suggerito dall'edizione critica, con il solo reinserimento dell'aria di Jemmy al terz'atto, dei due brani espunti del quarto e con le versioni preliminari di qualche recitativo. Non tutte le scelte brillano per logicità né filologica né drammaturgica, ma grossi problemi non ne suscitano.
Il cast è deboluccio... Alaimo ha proprio poco per reggere una parte come questa, e senza un adeguato carisma di Tell
vengono meno buona parte delle scene in cui primeggia. La Rebeka ha bella voce, canta discretamente, ma di chi sia Matilde sembra importarle proprio pochino... Comprimari modesti, ma con un Leuthold semplicemente scandaloso: ma dove lo sono andati a pescare?
Resta Florez, che poi era il principale motivo di interesse dell'operazione. Dal punto di vista vocale, canta strepitosamente i primi due atti, discretamente l'aria del quarto e cola a picco nella cabaletta (sia all'anteprima che alla prima, per cui non è un problema contingente). Dal punto di vista interpretativo, raramente ho sentito un cantante così fuori parte: il tipo di emissione, di canto e di sensibilità richiamano alla mente a volte le sublimi astrattezze rubiniane, in altri momenti incongrue reminiscenze da opera buffa, a volta ancora (negli acuti presi comunque ostentatamente di forza) anche velleità dupreziane: ma dell'introverso antieroismo di Nourrit nemmeno l'ombra. Per carità: onore ad un fuoriclasse, ma la storia di questo ruolo non passa da lui...
S. Beckmesser
Direttore MICHELE MARIOTTI
Regia GRAHAM VICK
Scene e costumi PAUL BROWN
Coreografie RON HOWELL
Progetto luci GIUSEPPE DI IORIO
Interpreti
Guillaume Tell NICOLA ALAIMO, Arnold Melchtal JUAN DIEGO FLÓREZ, Walter Furst SIMON ORFILA, Melchtal SIMONE ALBERGHINI, Jemmy AMANDA FORSYTHE, Gesler LUCA TITTOTO, Rodolphe ALESSANDRO LUCIANO, Ruodi, Pêcheur CELSO ALBELO, Leuthold / Un Chasseur WOJTEK GIERLACH, Mathilde MARINA REBEKA, Hedwige VERONICA SIMEONI
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA
Maestro del Coro ANDREA FAIDUTTI