Backstage: Mozart e il suo Requiem - Non parte - di Francesco Zicari
Aggiunto il 19 Gennaio, 2013
Abbiamo tempo fa affrontanto il problema della scansione del ritmo, ossia della musica di Mozart vista in senso "orizzontale", nel tempo. Soffermiamoci un attimo invece sul senso "verticale" della musica, su quella che si è soliti definire "profondità". Un po' tutti consideriamo Bach come il padre della musica moderna, e in generale uno degli artisti più profondi che siano passati da questo pianeta. Da dove deriva questa percezione di profondità spiriturale? esiste una caratteristica musicale da potervi associare tale che, nel riconoscerla, abbiamo la percezione di profondità? sì, ed è la scrittura stessa, in senso propriamente grafico! una scrittura che si addensa in senso verticale, a livello armonico, a livello contrappuntistico, è una scrittura "profonda", come una buca che, nel mentre la si scava, lascia affiorare il contenuto dei vari strati di terreno. Bach era il re del contrappunto, è stato l'ultimo esponente di una scrittura rigorosa, summa di tutta la lezione dei maestri barocchi. La sua scrittura è estremamente densa, e quindi percepita anche come spiritualmente profonda.
Orizzontale e Verticale
I suoi più famosi pargoli CPE Bach e JC Bach furono brillanti musicisti, ma ebbero un approccio agli insegnamenti del padre abbastanza divergente, pure per ragioni storiche e geografiche. CPE Bach, ossia "il Bach di Berlino", si pose in continuità con lo stile del padre, sviluppando un linguaggio ricco e complesso armonicamente, fatto di tensioni e risoluzioni, e di grandi sviluppi. Il suo stile rifletteva i ripiegamenti interiori, l' "individialismo" dello Sturm un Drang che permeava la Germania dell'epoca, lo stesso stile (e la stessa filosofia) che apparterranno qualche anno più tardi a Beethoven. JC Bach, ossia il "Bach di Londra", si poneva in netta rottura con gli insegnamenti del padre: non solo lavorava a Londra (dove tirava tutt'altra aria), ma era pure svariati anni più giovane; la filosofia che respirava era quindiquella illuminista, una visione "socialista" e "materialista" del tutto in contrasto con le profondità tormentose e personalistiche che vivevano gli artisti tedeschi. Quella che si chiamerà "musica galante", di cui JC Bach sarà uno dei massimi esponenti, sarà un rifiuto programmatico della profondità, attraverso l'uso di lunghe e piacevoli melodie, virtuosismi aerei e leggeri e la quasi assenza di densità verticale (contrappunto).
Mozart era, sostanzialmente, un artista galante, per generazione, per educazione, per filosofia nella quale si rispecchiava e, di conseguenza, per stile. E Mozart fa del lavorare "in superficie" un'arte. I suoi lavori tanto sono più leggeri (in senso stilistico ma pure contenutistico) quanto sono più geniali. Eppure abbiamo visto che, ad un certo punto della sua vita, per circostanze fortuite e non, Mozart sente la necessità di contaminare il suo stile con la profondità: apre improvvisamente la porta al contrappunto. Perchè dico "fortuite e non", perchè penso che, arrivato ad una certa età Mozart, avvertendo un complesso di inferiorità verso la "grande scuola tedesca", abbia cercato in altri termini di rendersi più "impegnato" tendando di approfondare la sua musica attraverso l'aumento degli sviluppi e della densità verticale. Mozart un complesso di inferiorità? beh forse è stato il primo, ma non l'unico. Lo stesso complesso di inferiorità nell'800 costrinse Schubert a cimentarsi con quartetti pachidermici e prolissi (dato che la forma classica era diventata ingestibile), Schumann a sentirsi in obbligo di scrivere delle sinfonie piene di errori e ingenuità, e Chopin alla necessità di scrivere dei pezzi e poi travestirli da sonata, e tutti loro con sforzi enormi e mille ripensamenti. Perchè?
La parabola capovolta
Perchè tra il '700 e l'800 c'era ancora l'esigenza di dimostrare di essere dei "musicisti profondi", e il miglior modo per farlo era usare le forme classiche e la densità armonica.L'interesse di Mozart alla musica di Bach e Handel non fu quindi solo "fortuito"; Mozart era il grande concertista autore di meravigliosi concerti specie per pianoforte, ed era il grande operista della trilogia con Da Ponte: melodia e relazione drammaturgica delle parti (opposizione orizzontale), ovvero stile galante, ovvero illuminismo. Non fu mai grande sinfonista (come Haydn e poi Beethoven), non fu mai grande autore di quartetti (come Haydn e poi Beethoven), nè autore di musica sacra, a lui la profondità di quelle forme non interessava, finchè non cominciò a studiarla per sperare di "crescere" (dal suo punto di vista) anche spiritualmente, oltrechè nobilitare il suo prestigio come autore. E quindi arrivarno le ultime sinfonie (le uniche memorabili) e i "quartetti Haydn" (dedicati al compositore che li aveva ispirati), ma pure i molti pezzi per piano che, come abbiamo visto, erano il banco di prova per prendere confidenza con lo stile di quel CPE Bach tanto diverso da quello dell'amico JC Bach.
Alla fine della carriera però, Mozart sembra invertire di nuovo la tendenza, quasi a sorpresa. Come risolvere questo conflitto tra esigenza di profondità e spirito comunicativo, tra introspezione e abbandono melodico? Nell'ultimo concerto per pianoforte, e nel concerto per clarinetto (il suo ultimo concerto in assoluto) Mozart sembra trovare una risposta: la sua profondità è in alto, nell'aria, nella purezza diafana delle linee, nello sfrondamento verticale ma pure orizzontale (i mitici virtuosismi), in una parola nella semplicità. E' un ritorno e ed un superamento dello stile galante attraverso la via opposta, quella della trascendenza.
Capiamo un po' di più perchè il Requiem ci appare un coacervo di stili, melodie, polifonie, scuole e citazioni, che ad occhio sembra non avere nessun riferimento univoco: è la summa delirante del lacerante conflitto tra desiderio di profondità e desiderio di levità, tra trascendenza e trascendentalità, tra melodia earmonia, tra proiezione orizzontale e collasso verticale, tra individuo e società, tra perdono e riscatto, tra due filosofie, tra due animi. L'ulteriore piano di lettura quindi è quello "catartico": il Requiem di Mozart è il Requiem (ovvero la pietra tombale) del suo conflitto di crescita interiore e - di pari passo - stilistica verso un ideale artistico di espressione, riassumendo nel suo viaggio il percorso stesso del compositore da una frivolezza tutta galante verso una profondità arcaica (e poco sincera) sino ad una apertura mistica, di consolatoria e autentica semplicità. Una parabola capovolta. Non è vero che Mozart non avrebbe scritto più niente dopo il Requiem, ma è vero che non sarebbe stato lo stesso Mozart, avrebbe scritto musica diversa. Il Requiem è solo un punto che non ce l'ha fatta ad andare a capo.
Il disco
Facciamo ora il punto su alcune edizioni discografiche. Lungi dall'essere una guida alla discografia (peraltro sterminata), mi propongo semplicemente di dare degli esempi di letture e interpretazioni del pezzo anche alla luce delle considerazioni fatte quì e in precedenza riguardo le varie revisioni della partitura. Vedremo che la scelta di una revisione piuttosto che un'altra ha spesso un significato meta-musicale. Harnoncourt ad esempio è un direttore abbastanza particolare. In lui risiedono la spinta eversiva dello sperimentatore filologo e l'approccio spirituale ereditato dalla tradizione tedesca. La sua lettura quindi, anche per ragioni personali, è assai affascinante. Come Mozart tentò di costruire una terza dimensione alla sua musica fondamentalmente bidimensionale, così Harnoncourt rileva una profondità tormentata "verso il basso" e la contrappone alle spinte estatiche e diafane verso l'alto. Ho specificato verso il basso perchè la profondità del direttore tedesco non si traduce in monumentalità e titanismo, è una grandezza introiettata che scava, colma, in pratica la distruzione del piedistallo attraversola sua implosione e il liberarsi nell'aria delle polveri residue. Se il Requiem è anche un viaggio interiore, Harnoncourt è quello che meglio lo rappresenta. Ovviamente sceglie l'edizione Beyer, tradizionale ma corretta, monolitica e centripeda, per una lettura romantica, ma di un romanticismo di metà '700, Sturm un Drang appunto.Bruno Weil invece non a caso sceglie la versione Landon (ovvero la strumentazione di Eybler). Ricordiamo che tale strumentazione risultava più leggera e più varia, specialmente dal punto di vista degli incastri ritmici delle parti. E' quindi una strumentazione "propulsiva" in senso centrifugo, che si presta maggiormente ad un discorso drammatico, più che tragico. E infatti la lettura di Weil è asciutta e tagliente, secca, violenta, diremmo anche urgente. Se Harnoncourt celebra i conflitti nel percorso verticale, Weill mette in luce quelli in senso orizzontale, centrifugo. Nel primo l'uomo Mozart affronta gli strati della sua psiche, nel secondo procede a spintoni nella corsa verso la salvezza. La trasparenza e l'incisività di questo direttore demonumentalizzano il Requiem mettendo a fuoco il senso di desiderio cinetico, di fuga da se stessi. Più che autoanalisi e implosione quì si tratta di evasione ed esplosione.
E' interessante notare invece come le due revisioni più estreme e agli antipodi finiscano in mano a due direttori (inglesi entrambi) coerentemente molto diversi. I due non si pongono più il problema di descrivere il conflitto, per loro il conflitto nel Requiem è già risolto, la soluzione è già tutta lì, nel racconto. E quindi non c'è più un senso di immedesimazione, il direttore inglese non è come quello tedesco, non parla più in prima persona, ma assolve al ruolo di narratore, e dal tono di voce sappiamo fin dall'inizio la favola come andrà a finire. Hogwood è stato spesso accusato di essere interpretativamente inerte. Beh lo è. Diremmo che il suo punto di forza è proprio quello, studiare così a fondo la prassiesecutiva dell'epoca per poi lasciar fare tutto alla musica! Questo approccio molti anni fa è stato rivelatorio, e lo è tutt'oggi per certi aspetti. Nel caso del Requiem Hogwood sceglie ovviamente la versione più "epurata", quella Mauder, in cui vengono tolti numeri di dubbia autenticità e viene lasciato quasi solo lo scritto mozartiano. In più il direttore inglese si rifà alla prassi dell'epoca, assemblando orchestra e coro secondo una rappresentazione del Messia di Handel (che Mozart aveva interamente riorchestrato), e sostituendo (come si usava nelle chiese) voci bianche a voci femminili. Il risultato è di estatica, meravigliosa, immobilità. Qualcosa di simile alla contemplazione di una statua illuminata in un'abside. La risposta di Hogwood è quindi già nell'ultraterreno, è una invocazione al perdono già accolta, il suo racconto proviene dall'aldilà. Non stupisce che sia proprio Norrington ad impugnare la versione Druce, la più ricca ed eccentrica di tutte le revisioni del Requiem. Norrington è un altro direttore aspramente criticato per il suo essere estremo: a lui non interessa la prassi, se non ne la misura in cui è ricollegabile ad un diverso approccio estetico /filosofico /extramusicale dell'opera. Se Hogwood parte dal dato scritto per giungere alla sua verità, Norrington parte da tutto ciò che non lo è, studiando l'evoluzione, la poetica, il contesto storico e di pensiero dell'autore per elaborare un messaggio narrativo, diremmo anche evocativo dello spirito del compositore stesso. Il suo cd si apre, neanche questo è un caso, con la musica funebre massonica. Il gioco è chiaro, per Norrington Mozart rimane illuminista, terreno, socialista fino alla fine, e il Requiem è una sorta di Requiem profano, come fosse un oratorio. C'è quindi un aspetto evocativo/celebrativo nella narrazione del direttore inglese, la sensazione è di assistere ad un melodramma in cui l'uomo, inteso stavolta come umanità combatte ad armi pari col suo dio, conquistandone con ardore ilperdono e la salvezza, una salvezza tutta terrena, di ideali illuministi.
DISCOGRAFIA CONSIGLIATA
Spering (Das Neue Orchester) - Opus 111 (2001) - frammenti mozartiani incompleti + Sussmayr vers
Harnoncourt (Concentus Musicus Wien) - Harmonia Mundi (2004) - Beyer vers.
Weil (Tafelmusik) - Sony (1999) - Robbins Landon vers.
Hogwood (Academy of Ancient Music) - Decca (1983) - Maunder vers.
Norrington (London Classical Players) - Virgin (1991) - Druce vers.
A chiosa di questa avventura non tralascerei di citare, almeno di sfuggita, alcune letture storiche pre-filologiche, tutte a loro modo monumentali, ma ancora dopo tanti anni non prive di fascino. Come dimenticare la bellezza statuaria del Requiem di Klemperer, o l'affresco cinematografico di Walter; l'edizione di Richter, rigorosa ma intensissima, sottolinea il debito di questo lavoro verso la maestosità della scrittura bachiana, mentre la struggente lettura neoromantica di Bernstein fà della messa un racconto personale quasi autobiografico. Menzione speciale per Celibidache che, come suo solito, dirige un Requiem sui generis, eppure assolutamente profondo nella sua levità, implorante, abbandonato, commovente. Molte altre le edizioni che potrebbero essere citate, ma l'intento era quello di campionare delle letture particolari che mettessero meglio in luce di volta in volta un angolo di questo capolavoro, perchè se il Requiem di Mozart non corrisponde a nessuna di queste letture e, sicuramente, un po' di tutto questo e (col beneficio degli interpreti futuri) di ancora molto altro.
Francesco Zicari, AKA Triboulet