Rheingold
Aggiunto il 28 Settembre, 2007
Il Festival del 1952 segnò un vero e proprio spartiacque con il passato, permettendo agli artefici dell’evento di porre le basi per quella rivoluzione culturale che, da allora in avanti, divenne nota come Neue Bayreuth.
Anzitutto, com’era logico e inevitabile, si decise di dare un taglio definitivo con il passato prossimo, strettamente legato agli orrori del nazismo, dando inizio ad un vero e proprio tramonto del "vecchio" Bayreuth. Ecco allora la decisione di cessare I rapporti con l’astro nascente, ma più che in sospetto di fede nazista, Herbert von Karajan. La scelta, di conseguenza, cadde su Joseph Keilbert, gradito per inciso dall’Alto Comando Militare americano per gli affari culturali. Una persona di squisita signorilità e gentilezza e tutt’altro che sprovveduta, visto che il direttore bavarese (nato il 19 aprile del 1908) aveva fatto essenzialmente carriera nell’opera, iniziando nel 1925 al Staatstheatre della sua citta’ natale. Poco prima della fine degli anni ’30, diresse frequentemente la Stuttgart Opera, sostituendo successivamente la direzione musicale del Prague German Theatre (1940), il Dresden Opera (1945) ed infine primo ospite direttore d’orchestra al Bavarian State Opera di Monaco, dividendo il proprio tempo con la direzione dell’Hamburg Philarmonic. Insomma un curriculum di tutto rispetto che non sfuggì al lungimirante patrono Wieland Wagner.
Purtroppo il tempio di Bayreuth fu per certi versi ancora incrostato con l’ideologia degli Hitler, Goering & company, specie per quanto riguarda l’abiura verso la religione ebraica. Ciò purtroppo impedì di usufruire della classe di Bruno Walter e George Sebastian, due dei piu’ grandi direttori wagneriani del secolo, e ci asterremo dal menzionare i numerosi cantanti che sarebbero stati in grado di restituire la fama di una istituzione che e’ stata macchiata inesorabilmente in quegli anni.
Restava lo spinoso problema della ricerca di cantanti adeguati, nonostante la loro religione. Come quando nel 1951, Wieland fu costretto a fare un’eccezione affidandosi ad un cantante dal "vecchio" Bayreuth, come il favoloso Fafner di Friedrich Dalberg, cosi’ fu costretto nel 1952 ad affidarsi al veterano Josef Greindl, il quale aveva debuttato nel ruolo di Pogner nel lontano 1943 sotto la direzione di Furwangler. Non solo! Greindl divenne uno dei maggiori pilastri della "Neue Bayreuth", oltre che uno dei preferiti ed ammirati dal nipote di Wagner. Resta un mistero il fatto che Wieland avesse voluto affidarsi nel ruolo di Siegfried di "Gottedamerung" ad un tenore dell’era nazista, qual era Max Lorenz. Uno dei probabili motivi che spinsero a questa scelta, era che Wieland voleva un Siegfried "maturo", di conseguenza decise di non fare affidamento a Bernd Aldenhoff che ben aveva figurato nel ruolo di Siegfried della seconda giornata. Aldenhoff, offeso a morte, decise di non mettere piu’ piede a Bayreuth tranne per una breve apparizione nel 1957, sempre nel ruolo di Siegfried e sotto la guida di Knappertbusch. L’idea iniziale di Wieland era Gunther Treptow, ottimo interprete di Siegmund e Parsifal. Ma l’improba tessitura metteva in seria difficoltà l’usurato organo vocale di Treptow, il quale consigliò di affidarsi a Max Lorenz, suo mentore e maestro e cosi’ Wieland fu costretto, a malincuore, ad assecondare l’idea, ma senza entusiasmo. Successivamente sarebbe stato Wolfgang Windgassen ad incarnare l’eroe più puro, con solido professionismo e con una voce chiara, squillante e dolcemente malinconica che, per una generazione, avrebbe incarnato quell’idea di una gioventù in cerca d’autore che mai prima di lui era apparsa così chiara agli occhi degli spettatori del Colle e di tutti gli appassionati wagneriani in genere.
Ma passiamo alla rappresentazione vera e propria. Anzitutto la direzione di Keilberth che sembra suggellare la fine della "vecchia" Bayreuth, regalandoci una concertazione teatralissima, popolata di super eroi – e quindi, fondamentalmente umana – ponendo in secondo piano gli elementi della mitologia nordica. Non tutto fila liscia come l’olio, ad esempio la poca cura dedicata ai molteplici leitmotive di cui e’ costellata la partitura, specie nel prologo che al giorno d’oggi diventa elemento essenziale, se non addirittura primario, per la comprensione del testo musicale wagneriano. Passando al cast si riscontrano elementi di indubbio interesse. Ad esempio il Wotan di Uhde, preferito da Wieland rispetto ad Hotter. Udhe interpreta un amareggiato "signore dei corvi", squattrinato e con le spalle al muro, messo in un angolo dai suoi creditori e singolarmente disingannato, una concezione che né Hotter né Theo Adam avrebbero riproposto, ma antesignana di quella di McIntyre di molti anni dopo. Così come desta scalpore la presenza della Borkh nei panni di Freia. La scelta, dicevo destò sorpresa, perchè il ruolo e’ affidato ad una storica "straussiana", che di sensualità da vendere ne ha davvero poca. Infatti la sua Freia risulta "maschia" e "vendicativa" come poche, a scapito della sensualità mai latente del personaggio, coll’evidenziare il rancore e la vendetta nei confronti di Wotan che l’ha "svenduta" ai giganti. È quindi una connotazione piuttosto interessante!
Il Loge della edizione del 1952, è un cantante che marcò indelebilmente il ruolo: Erich Witte, impertinente e in qualche modo filosoficamente disingannato, diede al suo personaggio una nuova dimensione, più distante e ironica, insistendo in particolare, sulla chiarezza della sua dizione e precisione ritmica. C’e’ da rimpiangere che non ci sia una sua registrazione di Mime, che al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, non risulta che abbia mai cantato a Bayreuth.
Neidlinger, l’Alberich per antonomasia di quegli anni ruggenti, interpreta un personaggio molto didascalico, ma lo fa con un’autorità morale che lascia ancor oggi sbigottiti. La scena della "maledizione" (Bin ich nun frei?) è ancora oggi un must, un autentico termine di riferimento per I posteri. Di lusso i comprimari, come l’astro nascente affidato a Windgassen (Froh), i veterani Weber (un Fasolt meno gigante ma più umano, docile, sentimentale direi) e Greindl (Fafner ineguagliabile), Malaniuk (Fricka di sentita e commovente partecipazione), Kuen (Mime perfido, viscido e "lecchino" come pochi, il tutto espresso con un canto d’ineffabile bellezza), Faulhaber (Donner d’inusitata potenza vocale) e Bugarinovic (un’Erda che sembra sorgere davvero dalle viscere della terra). Impeccabile le Ondine di Zimmermann, Ludwig e Topper
Vittorio Viganò