Martedì, 12 Novembre 2024

Backstage: Mozart e il suo Requiem - Terza parte - di Francesco Zicari

Aggiunto il 28 Aprile, 2012

"Non è la prima volta che ascolto questa ciancia. Forse per voi protestanti Illuminati... in essa potrà esserci qualcosa di vero. Quanto a noi, invece, è tutt'altra cosa. Voi non percepite alcun sentimento, allorché si dice Agnus Dei, qui tollis peccata mundi ecc. Ma quando si è stati introdotti fin dalla prima infanzia, come è accaduto a me nella mistica santità della nostra Religione... partecipando con pienezza di fervore ai servizi divini, magari senza sapere con esattezza cosa fosse, e si tornava via più leggeri e più elevati; quando si è stati a tal punto felici da ricevere la S. Comunione inginocchiati, mentre veniva eseguito il toccante Agnus Dei; e quando durante la ricezione della Comunione in dolce giubilo la musica faceva sprigionare dal cuore le parole Benedictus qui venit in nomine Domini. Oh, allora è tutt'altra cosa. Certo, tutto questo in seguito, nella vita, nel mondo, va smarrito; per lo meno, così accade a me; ma al momento in cui si prendono in mano quelle parole udite mille volte, per metterle in musica, allora tutto ciò torna interamente, e sta innanzi alla persona, e ne sommuove nuovamente l'anima" (Mozart a Friedrich Doles, 1789)

Mozart aveva un bel caratterino, non c'è che dire, ma Friedrich Doles non lo immaginava di certo. Il maestro, allievo niente meno che di J.S.Bach, era andato a complimentarsi col giovane collega per le improvvisazioni che aveva appena udito all'organo della chiesa di S. Tommaso, organo suonato a suo tempo dal suo prestigioso insegnante. Tra una chiacchiera e l'altra il povero, ingenuamente, si lasciò scappare qualche critica al cattolicesimo, e specie alla controriforma che, secondo lui, aveva imbrigliato la libertà di invenzione nella musica sacra. La reazione di Mozart fu quella che abbiamo letto, reazione che testimonia non solo un certo sincero attaccamento alle sue convinzioni religiose, ma pure una insospettabile passione per il genere della musica sacra. Insospettabile sì, giacchè la produzione sacra mozartiana, se si eccettuano le ultime due grandi messe e qualche celebre brano spurio, gode di scarsa popolarità (almeno confrontata a quella del collega Joseph Haydn) e attende tutt'oggi una doverosa riscoperta. Questo è probabilmente dovuto al fatto che, tolte le succitate eccezioni, la quasi totalità della musica sacra mozartiana è ascrivibile al periodo giovanile ossia di permanenza a Salisburgo, peraltro il periodo nel quale vedono la luce la maggior parte delle sue opere di intrattenimento. Inevitabilmente, e questo riguarda non solo Mozart ma tutta la schiera di compositori settecenteschi, lo stile sacro del XVIII secolo sarà "perturbato" da suggestioni "puramente amorose ed emotive da possedere le esatte caratteristiche di composizione laica e persino di quel tipo di opera decisamente volgare, oggi assai popolare, nella quale la folla e ancor più la gente dell'alta società si sente a suo agio", per citare un tale A. Thibaut, giurista del movimento dei ceciliani, una sorta di paladini restauratori della tradizione della polifonia rinascimentale e del canto gregoriano. Giustamente Alfred Einstein, grande studioso dell'arte mozartiana, fa notare come l'accusa di "frivolezza"- almeno nel caso di Mozart - sia abbastanza infondata, giacchè se c'è una critica che può essere mossa alla sua musica sacra questa non è tanto d'essere "mondana" quanto di non esserlo abbastanza! Cosa intendeva dire?

Uno stile ibrido

“La nostra musica da chiesa è assai differente di quella d'Italia, e sempre più, che una Messa con tutto il Kyrie, Gloria, Credo, la Sonata all'Epistola, l'offertorio ò sia Mottetto, Sanctus ed Agnus Dei ed anche la più Solenne, quando dice la Messa il Principe stesso non ha da durare che al più longo tre quarti d'ora. Ci vuole uno studio particolare per questa sorta di composizione, e che deve però essere una Messa con tutti strumenti - Trombe di guerra, Timpani...” scrive Mozart in una lettera a Padre Martini, uno deisuoi maestri dell'epoca. Non va dimenticato che Salisburgo era a tutti gli effetti uno stato ecclesiastico, in cui il Principe era anche l’Arcivescovo della diocesi. Questo voleva anche dire che la vita di corte si intrecciava inevitabilmente ai calendari della liturgia. A Salisburgo la musica sacra aveva la massima importanza, e la carica di Kappelmaister era probabilmente il punto più alto della carriera di un musicista di corte. Leopold Mozart era all'epoca vice-maestro di cappella e Mozart si dovette istruire fin da giovanissimo nella scrittura di messe, mottetti, litanie e quant'altro. Con l'insediamento dell'arcivescovo di Colloredo a principe ci fu una sorta di riforma locale del servizio liturgico che come principio generale prescriveva brevità a qualsiasi celebrazione. Molte delle messe mozartiane di quel periodo sono infatti Missae brevis, che vedevano un modello se non unico quantomeno principale nella produzione sacra di Eberlin, già maestro di Leopold Mozart e riferimento della scena saliburghese dell'epoca. Mozart però, che viaggiava tanto ed aveva un animo più cosmopolita, era già venuto in contatto con "l'assai differente" musica sacra italiana di Hasse, Scarlatti, Marcello, Pergolesi, così "libera" e "contaminata", piena di episodi strumentali e solistici (la cosidetta "arietta da chiesa all'italiana") che erano proprio quelli che i ceciliani giudicavano imperdonabilmente mondani. Lo "studio particolare" in cui il giovane compositore si impegnò fu proprio il tentativo di coniugare austerità tedesca e galanteria italiana in un risultato che suonasse solenne, moderno e conciso; il triangolo si risolse in un maggiore emancipazione dell'orchestra, una continuità della narrazione corale più serrata (ovvero meno spazio ai solisti) ed una intensificazione delle relazioni tra motivi e temi interni, il tutto senza rinunciare alla tradizionale polifonia di matrice germanica. Queste regole di base che Mozart arricchirà nel tempo di molti altri spunti non loabbandoneranno più fino al Requiem. A tale proposito, il modello cui si ispirava il giovane Mozart per il suo studio, ovvero il meno accademico che potesse offrire salisburgo all'epoca era Michael Haydn, fratello minore del celebre Joseph, che lavorava come primo violino (e poi come Maestro di Cappella) proprio ai tempi di Colloredo.

Il Maestro di Cappella

Michael Haydn, detto anche "l'Haydn di Salisburgo", fu per un certo periodo un personaggio di spicco, anche più noto del fratello maggiore, all'epoca "confinato" nella reggia di campagna degli Esterhazy. Personaggio controverso, si distinse dapprima come raffinato compositore, "bravissimo contrappuntista" e zelante didatta (era lui che sostituiva Leopold in tutte le mansioni quando questi era in tour con i figlioletti prodigio), salvo poi attirarsi la fama di ubriacone (in realtà l'alcool era un modo per combattere le sindromi depressive di cui soffriva) che gli costò quasi il posto di lavoro. Mozart doveva esservi legato da reale amicizia, oltre che da stima, giacchè fu pronto a cedergli due sue composizioni (K.423-4) per evitare che venisse cacciato da un arcivescovo ormai stufo di star dietro ai suoi continui "malanni". In compenso, una delle sinfonie tradizionalmente attribuite a Mozart (la K.444) si è scoperto essere stata scritta da M. Haydn, a dimostrazione di quanto la sua musica fosse considerata da Mozart stesso prezioso materiale di studio e di approfondimento. Molte composizioni sacre salisburghesi recano l'impronta stilistica di Haydn (il Te Deum K.141, l'Offertorio K.198, le Litanie K.243 e molti passaggi di svariate messe). Persino durante la composizione della Grande Messa in do Mozart scriveva al padre: "mandami alcune fughe di M.Haydn". Il ruolo di primo piano che rivestiva Haydn nella vita musicale salisburghese è testimoniato pure dal fatto che è lui a scrivere il Requiem per la morte dell'arcivescovo Sigismondo nel 1771, una solenne messa pro-defunctis nella qualeil giovane Wolfgang si impegnerà con entusiasmo nelle vesti di organista. E' un evento questo che, evidentemente, rimarrà impresso nella memoria di Mozart per molto tempo ancora, visto che esattamente venti anni dopo sarà proprio al Requiem di Haydn che egli guarderà per primo. A dieci anni dalla sua ultima messa compiuta (la K.337), Mozart sembrava ora guardare con rinnovato interesse alla musica sacra, e probabilmente coglieva l'occasione di questo Requiem per inaugurare una nuova stagione creativa. Ironia della sorte, nel 1792 lo attendeva il suo primo incarico come Kappelmeister a Santo Stefano, che con tutta probabilità lo avrebbe impegnato nuovamente a tempo pieno nella composizione di musica sacra e che avrebbe fatto di lui (chissà) il più rinomato compositore di musica da chiesa, come già fu M. Haydn. Un ideale passaggio di testimone tra i due maestri che, fatalmente, non fece in tempo a compiersi, ma che lasciò traccia indelebile, come vedremo prossimamente, nell'ultimo capolavoro mozartiano.
Francesco Zicari (Triboulet)

Categoria: Backstage

 

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