Martedì, 12 Novembre 2024

Backstage: Mozart e il suo Requiem - Prima parte - di Francesco Zicari

Aggiunto il 10 Aprile, 2012

«... Poiché la morte (a guardare da vicino) è il vero scopo finale della nostra vita, mi sono a tal punto familiarizzato, negli ultimi anni, con questa vera e perfetta amica dell'uomo che la sua immagine non solo non ha più nulla di temibile per me, ma mi appare tranquillizzante, molto consolante! E ringrazio Iddio per avermi concesso la felicità di cogliere l'occasione (Voi mi capite) di imparare a conoscerla come la "chiave" della nostra autentica felicità... Non mi corico mai senza pensare che forse l'indomani (per giovane ch'io sia) non sarò più qui ... ». (W.Mozart 1787)

Parlare del Requiem di Mozart è un po' come parlare del sacro Graal, si rischia inevitabilmente di mischiare la storia al mito e la musica all'impatto intrinsecamente emotivo (ma pure derivato dal contorno leggendario) che essa generò e genera tutt'ora su chi l'ascolta e peggio su chi si cimenta a parlarne.
Eppure nessuna opera della storia della musica come il Requiem è stata oggetto di studi, speculazioni, analisi e ricostruzioni filologiche ai limiti del feticismo, fantasie romantiche e romanzesche ai (o dovrei dire oltre) i limiti del verosimile. E non si tratta solo del fascino dell'opera ultima e/o incompiuta (fascino che avvolge indubitabilmente pure l'Arte della fuga bachiana, l'Incompiuta schubertiana, gli ultimi quartetti di Beethoven e via discorrendo), e forse neanche dalla naturale attrazione umana verso il racconto dalle tinte noir, che ha decretato nei secoli la fortuna di leggende prima e trasposizioni narrative e cinematografiche poi.
Forse, scavando (o dovrei dire smettendo di scavare), ci accorgeremmo che è proprio la musica ad attrarci. Forse, fermandoci ancora, ci accorgeremmo che è quello che vi percepiamo dentro, non tanto intorno e.. sì, forse ciò che scatena tanto interesse è proprio la convinzione che Mozart scrisse il Requiem per sè stesso, ma non banalmente per il suo funerale - come certa aneddotica ci spingerebbe a credere - ma, moltopiù poeticamente, per la sua morte. E' forse questo quel che arriva seppure inconsciamente?
Harnoncourt in un suo scritto fa notare come "Il quartetto della morte di Idomeneo, che Mozart scrisse dieci anni prima del Requiem, sembra già un confronto molto personale con la propria morte. Il compositore, che si identificava con Idamante, conservò per tutta la vita un rapporto emotivo di straordinaria intensità con quest'opera, ma soprattutto con questo quartetto. Si dice che una volta che gli accadde di cantarlo a Vienna, certamente nella parte di Idamante, ne fosse commosso fino alle lacrime, fino a doversi interrompere. Si racconta una storia analoga a proposito di una specie di prova del Requiem nel corso della quale, poco tempo prima della sua morte, provando le sezioni già terminate, Mozart si sciolse in lacrime nel Lacrimosa, incapace di continuare. L'intera opera mi dà l'impressione di un accostamento molto profondamente personale, spaventevole, sconvolgente in un compositore che normalmente separava in maniera addirittura sorprendente la sua vita e la sua esperienza personale dalla sua arte."

E' forse proprio la "diversità" di quest'opera rispetto al resto del corpus a generare il mito, dato che in essa si esprime pieno e violento come mai altrove quello scontro tra terrore e consolazione, rifiuto e accoglimento, distacco e speranza, che il compositore lasciava giacere usualmente dentro di sè e che in precendenza era solo affiorato nelle pochissime opere nella medesima tonalità di re minore (pensiamo al Concerto K.466 o alla scena di Don Giovanni avviluppato tra le fiamme infernali). E qui non solo non si parla della sua stragrande maggioranza di opere "solari" (in cui spesso solo tra le righe si può leggere il dramma psicologico dell'uomo) ma neanche della più esplicita commozione ansiosa e patetica del suo sol minore (si vedano le sue due uniche sinfonie in tono minore), nè tantomeno si tratta del dramma dei conflitti interiori delsuo do minore (il Concerto K.491 o la sua Grande Messa, una sorta di privato omaggio profano in stile di cantato sacro). Si parla del turbamento, agghiacciante e ineludibile, provocato da qualcosa di più grande dell'uomo stesso, di imperscrutabile, una dimensione altra, a noi esterna. In pratica della consapevolezza di un conflitto perso in partenza, e dell'angoscia che tale consapevolezza provoca.
Come se tutta l'opera fosse animata da un "principio implorante" (per mutuare un termine preromantico), drammatico nel suo sviluppo, ma profondamente tragico. La consolazione, a questo punto, è rappresentata dal perdono, l'unica possibile via per la vittoria. Come se l'oasi meravigliosa del Flauto Magico (specchio della sua proiezione verso il misticismo massonico, in fondo laico-illuminista) non bastasse più, non chiudesse il cerchio, non fosse sufficiente ad ospitare la sua idea di trascendenza che, evidentemente, non poteva esaurirsi nell'utopia sociale nè nell'illusione pseudo-occultista, ma affondava in qualcosa di più intimamente inafferrabile. L'altro lato della medaglia insomma, dove nella Zauberflote l'uomo è un piccolo eroe onnipotente che si ricongiunge, attraverso la ragione, alla perfezione della Natura e delle cose, nel Requiem è totalmente impotente, costretto a chiedere, sperare, credere nella misericordia di un demone ultraterreno.
I Lumi contro le Tenebre.
Oltre l'eccesso passionale, i dogmi, l'anarchia siccome si va oltre le tenebre infernali, oltre la morte la resurrezione: il ricongiungimento.
E forse non vi è affatto contraddizione: nelle opere massoniche Mozart cerca di ricongiungersi nella ragione con un'idea più alta della società e della vita, in quelle sacre, oltre la ragione, con le sue relazioni spirituali: nella messa in do minore (sua penultima messa, anch'essa lasciata incompiuta) cerca di ricongiungersi con la sua famiglia (col padre e la moglie in primis), nel Requiem in re minore cerca di farlo con Dio.
E il cerchio si chiude. Forse, come pure accadde per Bach e Beethoven, l'opera di Mozart - se non per il mondo almeno per lui stesso - si era già fatalmente (in)compiuta.
Francesco Zicari (Triboulet)

Categoria: Backstage

 

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