Backstage: Lo scaffale del collezionista: le registrazioni di Aida
Aggiunto il 25 Settembre, 2006
Giuseppe Verdi
AIDA
DISCOGRAFIA
Personaggi e interpreti: Direttore, Aida, Amneris, Radames, Ramfis, Amonasro, edizione discografica, formato
- 1928 Sabajno, Giannini, Minghini-Cattaneo, Pertile, Manfrini, Inghilleri. Arcadia, 2 CD
- 1930 Molajoli, Arangi-Lombardi, Capuana, Lindi, Pasero, Borgioli. Arcadia, 2 CD
- 1937 Panizza, Cigna, Castagna, Martinelli, Pinza, Morelli. Melodram, 2 CD
- 1938 Keilberth, Tetschemacher, Karén, Rosvaenge, Weber, Hann. Preiser, 2 CD
- 1939 Beecham, Caniglia, Stignani, Gigli, Zimbelli, Borgioli. Eklipse, 2 CD
- 1941 Panizza, Roman, Castagna, Martinelli, Pinza, Warren. Walhall, 2 CD
- 1943 Pelletier, Milanov, Castagna, Martinelli, Gordon, Bonelli. GOP, 2 CD
- 1946 Serafin, Caniglia, Stignani, Gigli, Pasero, Bechi. Emi (e altre case), 2 CD
- 1949 Toscanini, Nelli, Gustavson, Tucker, Scott, Valdengo. RCA, 2 CD
- 1950 Cooper, Welitsch, Harshaw, Vinay, Hines, Merrill. Walhall, 2 CD
- 1950 Picco, Callas, Simionato, Baum, Moscona, Weede. Golden Melodram, 2 CD
- 1951 Karajan, Martinis, Rankin, Fehenberger, Petri, Malaspina. Arkadia, 2 CD
- 1951 Gui, Mancini, Simionato, Filippeschi, Neri, Panerai. Warner Fonit, 2 CD
- 1951 Schmidt-Isserstedt, Zadek, Höngen, Rosvaenge, Fehn, Metternich. Walhall, 2 CD
- 1951 De Fabritiis, Callas, Dominguez, Del Monaco, Silva, Taddei. Melodram, 2 CD
- 1952 Erede, Tebaldi, Stignani, Del Monaco, Caselli, Protti. Decca, 2 CD
- 1952 Capuana, Curtis-Verna, Dominguez, Borsò, Scott, Bastianini. Preiser, 2 CD
- 1952 Schroeder, Kupper, Klose, Lorenz, von Rohr, Gonszar. Myto, 2 CD
- 1952 Cleva, Milanov, Rankin, Del Monaco, Hines, Warren. Myto, 2 CD
- 1953 Krauss, Lafayette, von Milinkovic, Gostic, Frick, Frantz. Walhall, 2 CD
- 1953 Cleva, Milanov, Thebom, Del Monaco, Hines, London. Bongiovanni, 2 CD
- 1953 Barbirolli, Callas,Simionato, Baum, Neri, Walters. Legato (e altre), 2 CD
- 1953 Melik-Pashaev, Sokolova, Davydova, Nelepp, Petrov, Lisitsian. Gala, 2 CD
- 1954 Santini, Cerquetti, Nicolai, Penno, Christoff, Guelfi. GAO (e altre), 2 CD
- 1955 Perlea, Milanov, Barbieri, Bjoerling, Christoff, Warren. RCA, 2 CD
- 1955 Gui, Stella, Barbieri, Corelli, Petri, Colzani. Bongiovanni, 2 CD
- 1955 Kubelik, Rysanek, Madeira, Hopf, Frick, London. Myto, 2 CD
- 1955 Serafin, Callas, Barbieri, Tucker, Modesti, Gobbi. Emi, 2 CD
- 1956 Questa, Curtis-Verna, Pirazzini, Corelli, Neri, Guelfi. Warner Fonit, 2 CD
- 1956 Votto, Stella, Simionato, Di Stefano, Zaccaria, Guelfi. Legato, 2 CD
- 1958 Narducci, Cerquetti, Rankin, Labò, sconosciuto, MacNeil. Premiere Opera, 2 CD
- 1959 Karajan, Tebaldi, Simionato, Bergonzi, Van Mill, MacNeil. Decca, 3 CD
- 1961 Capuana, Tucci, Simionato, Del Monaco, Washington, Protti. Frequenz, 2 CD
- 1962 Solti, Price L, Gorr, Vickers, Tozzi, Merrill. Decca, 3 CD
- 1962 Schick, Tucci, Dalis, Corelli, Tozzi, MacNeil. Myto, 2 CD
- 1963 von Matacic, Price L, Simionato, Uzunov, Kreppel, Bastianini. Foyer, 2 CD
- 1963 Solti, Price L, Gorr, Bergonzi, Siepi, Sereni. Myto, 2 CD
- 1966 Capuana, Gencer, Cossotto, Bergonzi, Giaiotti, Colzani. Hardy Classics, 1 DVD
- 1966 Capuana, Gencer, Cossotto, Bergonzi, Giaiotti, Colzani. GDS, 2 CD
- 1967 Schippers, Price L, Bumbry, Bergonzi, Hines, Merrill. Living Stage, 2 CD
- 1967 Mehta, Nilsson, Bumbry, Corelli, Giaiotti, Sereni. Emi, 2 CD
- 1968 Bartoletti, Arroyo, Cvejic, Bergonzi, Rossi-Lemeni, MacNeil. Ediciones Teatro Colon, 2 CD
- 1968 Cleva, Arroyo, Bumbry, Corelli, Siepi, Sereni. On stage!, 2 CD
- 1970 Leinsdorf, Price L, Bumbry, Domingo, Raimondi R, Milnes. RCA, 3 CD
- 1970 Previtali, Tucci, Cossotto, Labò, Vinco, Protti. Mondo Musica, 2 CD
- 1971 Marinov, Wiener, Milcheva,Nikolov, Ghiuselev, Smochevsky. Harmonia Mundi, 2 CD
- 1972 Abbado C, Arroyo, Cossotto, Domingo, Ghiaurov, Cappuccilli. Myto, 2 CD
- 1973 Sanzogno, Norman, Cossotto, Lavirgen, Roni, Alberti. Opera d’oro (e altre), 2 CD
- 1973 Muti, Jones G, Cortez, Domingo, Giaiotti, Holmes. Bellavoce, 2 CD
- 1974 Muti, Caballé, Cossotto, Domingo, Ghiaurov, Cappuccilli. Emi, 2 CD
- 1976 Levine, Price L, Horne, Domingo, Giaiotti, MacNeil. Gala, 2 CD
- 1976 Schippers, Caballé, Bumbry, Bergonzi, Raimondi R, Cappuccilli. Myto, 2 CD
- 1979 Karajan, Freni, Horne, Carreras, Ghiaurov, Cappuccilli. Lautaro, 2 CD
- 1979 Muti, Tomowa-Sintow, Fassbaender, Domingo, Lloyd, Nimsgern. Orfeo, 2 CD
- 1979 Karajan, Freni, Baltsa, Carreras, Raimondi R, Cappuccilli. Emi, 2 CD
- 1981 Guadagno, Chiara, Cossotto, Martinucci, Zardo, Scandola. Warner, 1 DVD
- 1981 Abbado C, Ricciarelli, Obraztsova, Domingo, Ghiaurov, Nucci. DGG, 3 CD
- 1982 Barenboim, Varady, Toczyska, Pavarotti, Salminen, Fischer-Dieskau. Ponto, 2 CD
- 1985 Maazel, Chiara, Dimitrova, Pavarotti, Ghiaurov, Pons. Arthaus, 1 DVD
- 1985 Maazel, Chiara, Dimitrova, Pavarotti, Burchuladze, Nucci. Decca, 3 CD
- 1989 Levine, Millo, Zajick, Domingo, Burchuladze, Milnes. DGG, 1 DVD
- 1990 Levine, Millo, Zajick, Domingo, Ramey, Morris. Sony, 3 CD
- 1990 Censabella, Negri, Cossotto, Simonella, Meneghetti, Yost. New Ornamenti, 2 CD
- 1994 Saccani, Dragoni, Dever, Johansson, Ellero D’Artegna, Rucker. Naxos, 3 CD
- 1994 Fiore, Sweet, Zajick, Sylvester, Plishka, Pons. Serenissima, 2 CD
- 1994 Downes, Studer, D’Intino, O’Neill, Lloyd, Agache. Pioneer, 1 DVD
- 1997 Paternostro, Romanko, Toczyska, Frosoni, Ferrari, Otelli. D. classics, 2 CD
- 2001 Harnoncourt, Gallardo-Domas, Borodina, La Scola, Salminen, Hampson. Teldec, 2 CD
- 2001 Parry, Eaglen, Plowright, O’Neill, Miles, Yurisich. Chandos, 3 CD
- 2001 Stefanelli, Aaron, Aldrich, Piper, Jori, Garra. TDK, 1 DVD
- 2002 Oren, Cedolins, Zajick, Fraccaro, Prestia, Vitelli. Brilliant Classics, 1 DVD
- 2003 Gomez Martinez, Dessì, Fiorillo, Armiliato, Scandiuzzi, Pons. Opus Arte, 2 DVD
- 2004 Ono, Fantini, Komlosi, Berti, Anastassov, Doss. Opus Arte, 2 DVD
Dal 1928 al 2004 fanno settantasei anni. In questo periodo sono distribuite tutte le settantatre incisioni che sono state recuperate di questo capolavoro (a tale proposito, ringraziamo il sito Operaclass, dotato di uno splendido database che ha fornito il materiale, ma che, per sdebitarci, abbiamo provveduto ad integrare), alcune delle quali sono completamente fuori dalla nostra portata di approvvigionamento.
Scorrendo l’elenco sopra rappresentato, appare evidente che quasi tutti i più grandi cantanti della Storia si sono voluti misurare con quest’opera; a questo elenco, tra l’altro, manca Giacomo Lauri-Volpi, che ha inciso una selezione con Elisabeth Rethberg; tali brani sono tuttora da indicare come modello esecutivo di riferimento assoluto per riprodurre quella straniamento, quella sensazione di sospensione che dovrebbe esserne la vera cifra esecutiva, anche se è sicuramente l’aspetto più problematico da raggiungere.
A ciò contribuisce, ovviamente, la notevole tradizione di rappresentazione di quest’opera in spazi aperti che ben si prestano ad un impianto scenografico-registico…faraonico, soprattutto nel secondo atto. Le esigenze di tali teatri (in Italia soprattutto l’Arena di Verona) sono tali da rendere necessarie voci che puntino maggiormente su squillo e volume, per poter passare adeguatamente.
A ciò si aggiunga una prassi esecutiva che è ben rappresentata dalla prime registrazioni, che prevede voci molto percussive, drammatiche e con un’impostazione che è ben più che un omaggio al verismo imperante sino a poco tempo prima.
Non si loderà quindi mai sufficientemente lo smalto el’efficacia persino un po’ sbrigativa di Aureliano Pertile, ma non si potrà parimenti fare a meno di sottolineare quanto questo squillo sia lontano le mille miglia dall’archetipo del personaggio, di cui Pertile fa una versione molto eroicizzata. Lo fa in un modo che fa passare abbondantemente in secondo piano chiunque si sia cimentato in questo filone dopo di lui, ma non possiamo fare a meno di rimarcare che questa prospettiva è antistorica e antitetica a quanto aveva ipotizzato lo stesso Verdi. Prendiamo la scrittura del recitativo “Se quel guerrier io fossi”, tutta scoperta sul fiato: è un preludio ad un vagheggiamento d’amore che richiama quello di Riccardo nel Ballo in Maschera e di Fenton nel Falstaff. Radames è uno dei pochi veri amorosi del teatro verdiano e non esce praticamente mai da questo clichè; da questo punto di vista, il tenore eroico drammatico appare quanto di meno giustificabile per rendere i tormenti interiori del personaggio, perennemente in bilico fra Scilla e Cariddi. L’unico gesto eroico che gli vediamo fare è la rinuncia alla vita che gli offre Amneris, ma più che da un eroismo consapevole, questo gesto sembra dettato dalla rassegnazione.
Ci sembrano quindi singolarmente fuori posto i tenoroni eroici super-espressivi alla Del Monaco, anche se la suggestione della percussività del declamato centrale è particolarmente interessante. In quest’ottica segnaliamo, oltre ai citati, Aroldo Lindi che compare con l’Arangi-Lombardi, Baum e lo stesso Corelli, peraltro in grado di screziare la propria colossale emissione con alcune smorzature particolarmente intriganti (una, famosa, sul si bemolle di Celeste Aida non fu capita né apprezzata da un pubblico ancora non pronto per queste finezze). Al territorio dell’ideale in questo ruolo appartengono, oltre al già citato Lauri-Volpi, anche Bjoerling e Di Stefano, la cui testimonianza discografica del ruolo giunge però in un momento di notevole sforzo per la voce del cantante, che quindi non riesce adessere veramente efficace, costretto com’è a rifugiarsi sempre e comunque nell’urlo che diventa, alla fine, un alibi retorico. Diverso il discorso per Bergonzi, che ha fatto di questo ruolo una pietra miliare del proprio repertorio. Pur riuscendo molto difficile immaginare di associare un ideale di gioventù a questo signore molto posato e tranquillo, che si pasce di una pronuncia molto aulica, non gli si può negare una certa qual efficacia nel canto di conversazione, soprattutto nel live milanese di Schippers, particolarmente ben riuscito ad onta di un infortunio sul Celeste Aida, poi eliminato in sedi di mixaggio. In quest’edizione, in particolare, funziona molto bene l’intesa con Montserrat Caballé, che non potrà mai essere un’Aida di riferimento, ma che risponde molto bene a chi l’accusava di osare certe note flottanti solo in sala di registrazione.
Aida è un personaggio eccezionalmente complesso e complessato. È complessato per l’ambivalenza dei suoi rapporti con la propria gente (rappresentata dal padre guerriero), che ama ma è costretta – per amore di Radames – a vedere come nemico. Il punto nevralgico, in tale ottica, è quel Terzo Atto che è fra le cose più inconsuete, e nel contempo audaci, mai uscite dalla fantasia di Verdi. È in tale atto che si gioca il personaggio: Aida deve riuscire a creare un’atmosfera di sospensione in cui confluisca la forza dell’attaccamento alle proprie radici e, nel contempo, il superamento di tale matrice per l’ambizione ad una vita diversa.
È nostro parere che tale aspetto sia stato evidenziato straordinariamente bene da colei che, probabilmente, è stata la più importante interprete di questo ruolo, e cioè Leontyne Price, una che di pregiudizi razziali se ne intendeva avendoli vissuti sulla propria pelle. Quello che riesce a fare con la voce, soprattutto nei suoi anni migliori, è incredibile: le sue messe di voce non hanno da questo punto di vista nulla da invidiare ai fiati flottanti in caduta libera dellaCaballé, rispetto alla quale vanta sicuramente una visione molto più reale e carnale del personaggio. In tale ottica proporremmo l’ascolto dell’edizione Decca di Solti (tra l’altro recentemente rimasterizzata a prezzo economico), che vanta una direzione ricca di colori e di nuances, la miglior performance della Price e la presenza carismatica di Jon Vickers, che è sicuramente lontano le mille miglia da una concezione ideale del personaggio, ma lo fa con tale autorità morale ed intima convinzione, da risultare sempre emozionante e coinvolgente.
Quanto alle Divine Signore, questo è uno dei pochi ruoli che ebbero in comune. Entrambe sono ben testimoniate, in realtà maggiormente la Callas, di cui si può seguire lo sviluppo e la maturazione del personaggio, grazie anche ad alcuni live molto famosi. Non è un caso che però la migliore assistenza direttoriale sia riservata alla Tebaldi che, non diversamente da Maria, ebbe un rapporto privilegiato in sala di registrazione con Karajan, che le cucì addosso l’edizione technicolor della Decca, ancora provvisoria per quanto concerne la visione direttoriale, ma che già contiene in nuce gli archetipi su cui sarà costruita la registrazione Emi da considerarsi definitiva.
Sarebbe sciocco pensare a Renata come ad una sequenza di belle note infilate come un diadema, eppure non si può negare che i problemi più cospicui emergono soprattutto nel Terzo Atto, dove alla splendida pesarese proprio non riesce di far emergere quella sensazione di sospensione che dovrebbe essere la cifra di Aida: c’è sempre una tale sanità nel canto di Renata che proprio questo aspetto non viene fuori. Il che, se vogliamo, è lo stesso problema di Mirella Freni, un autentico pesce fuor d’acqua in questo ruolo.
Guardando le protagoniste dei cast dei primi dischi, spicca la presenza di Giannina Arangi-Lombardi, una specie di apax nel panorama italiano e per un bel po’ di tempo, se si considera che Dusolina Giannini, Cigna e Caniglia, pur conmezzi vocali di assoluta eccellenza, non le sono sicuramente pari quanto a resa vocale. Però, a partire dal 1943, comincia a far capolino nella discografia una certa Zinka Milanov: una presenza pressoché costante per poco più di un decennio, che non si spiega se si parte dai presupposti della critica italiana che vede in questa cantante un sostanziale bluff. Il disco più facile da reperire è quello RCA del 1955, in cui la Milanov appare già a fine corsa, ma conserva ancora lampi dell’antico smalto, compitando un Terzo Atto ancora di notevole suggestione, grazie anche alla presenza di Bjoerling che contribuisce ad incrementare il tasso di suggestione e di poesia.
Sempre per stare al ruolo della protagonista, più aderenti al dettato verdiano appaiono le interpretazioni fuori dall’Italia, e segnatamente in quella Germania che, almeno sino a tutti gli Anni Cinquanta, è stata l’indiscutibile depositaria della sacra arte verdiana. La prima di esse in ordine cronologica è Margarethe Tetschemacher, che – pur apparendo francamente impari all’impegnativo ruolo – si sforza di creare una linea di canto commossa e confidenziale, lontano dalle sbragature post-veristiche. C’è da dire che, avendo a fianco un autentico cannone come Rosvaenge, è difficile cercare di miniaturizzare la parte. Più interessanti la vulcanica Welitsch del 1950; l’affettuosa, vulnerabile ed espressiva Kupper del 1952 e, soprattutto, la straordinaria Rysanek del 1955, già in grado di porsi come archetipo espressivo, pur facendolo in tedesco.
Fra le più moderne interpreti del ruolo va segnalata la performance di Jessie Norman, curiosamente ignorata in questo ruolo dalla majors discografiche, ma molto brava nell’unico live a nostra disposizione, quello del 1973 diretto da Sanzogno, sia pure nel contesto di un cast che nulla ha di esaltante. Quanto a d Aprile Millo, a fine Anni Ottanta e primi Novanta fu qualcosa di più di una promessa nell’ambito del canto verdiano; Aida fu uno dei suoi ruoli piùcelebrati ed è testimoniato da due registrazioni, entrambe di area statunitense sotto l’egida di colui che a lungo fu il suo mentore, e cioè Jimmy Levine. Dopo di lei, nessun’altra cantante dotata di carisma vero: non la Cedolins, al momento solo un’ottima cantante; non la Dessì, anche lei splendida cantante ma non fenomeno di espressività; e non, soprattutto, Cristina Gallardo-Domas, protagonista di quella che fu strombazzata come un’Aida di nuovissima concezione nelle mani di Harnoncourt, che è un grandissimo affabulatore, ma anche terribilmente discontinuo: sembrerebbe, infatti, che in tempi riesca ad essere interessante ed innovatore in una registrazione su due. Questa, indiscutibilmente, appartiene alla seconda categoria.
Nel capitolo “fallimenti” dobbiamo iscrivere di diritto anche qualche protagonista di rango. Oltre alla già citata Gallardo-Domas (ma la colpa appare principalmente del direttore), va segnalata obbligatoriamente Katia Ricciarelli, presceltà chissà perché da Abbado per la registrazione in studio, dopo che la prova in teatro aveva dato ben altri risultati con Martina Arroyo e Jessye Norman; la Eaglen, pesce fuor d’acqua già nelle bordate wagneriane molto ancien régime, figuriamoci nel repertorio italiano di cui aveva già fornito una prestazione quanto meno discutibile nella Norma ravennate di Muti; la Tomowa-Sintow, anch’essa troppo localmente “quadrata”; e, spiace dirlo, la stessa Mirella Freni, la cui vocalità pratica e rigogliosa, oltre che il solito buon senso terragno da ‘zdora della Bassa emiliana, proprio non ci azzeccano con i turbamenti emotivi della principessa etiope.
Più interlocutoria la prova della Nilsson, a regola totalmente fuori posto in un contesto come questo, ma – da quella straordinaria professionista che fu – in grado di assottigliare, sfumare e addolcire l’espressione di ciò che un’emissione sana e tecnicamente ferrata le permetteva, e bene anche, ma che la sua psicologia d’interprete sostanzialmente levietava.
Quanto ad Amneris, di prove famose ce n’è un bel po’.
Sgombriamo la piazza ad equivoci e diciamo subito che la palma della più bella, secondo noi, va a Grace Melzia Bumbry. È ben rappresentata anche lei, ma pensiamo che il meglio di sé lo dia nel live milanese con Caballé e Bergonzi: il registro acuto solido e percussivo come una roccia, l’estrema volubilità da autentica bambina capricciosa (quale Amneris in effetti è) e una certa ambiguità di fondo la fanno preferire ad altre famose campionesse di questo ruolo, fra le quali è doveroso citare Fiorenza Cossotto e Fedora Barbieri. La prima, però, è veramente un filo troppo prosaica e terragna: dopotutto il personaggio è la Principessa erede al trono; la seconda, invece, è troppo virago per rendere al meglio i patimenti e i furori della ragazzetta viziata che, per la prima volta, non può avere il giocattolo desiderato.
Molto meglio, quindi, in tempi più recenti, la Baltsa e la Zajick, ognuna per diversa via: la prima riesce ad essere credibile nel gioco di allusioni ed elusività. La Baltsa lo fa con uno strumento usurato ma valido e credibile nei giochi coloristici; la Zajick, invece, lo fa con sfarzo vocale straordinario e mettendo in campo una femminilità ferina ed aggressiva che magari c’entrano poco con i veri valori di Amneris, ma che è raro sentire espresse con così abbondante dovizia di mezzi.
In tempi passati, invece, dobbiamo una volta di più sottolineare le prove delle cantanti area tedesca: la Klose del 1952, per esempio, o l’elusiva e sfuggente Madeira del 1955. ciò che lascia stupefatti dell’interpretazione verdiana di quelle parti è un’espressività bruciante e, nello stesso tempo, sobria, asciutta ed araldica. Dalle nostre parti, sempre in quegli anni, la parte del leone la faceva Giulietta Simionato, di cui il disco descrive in modo abbastanza impietoso il progressivo calo vocale, ma giammai l’alterigia e l’albagia sprezzante da autentica figlia di papà abituata adottenere tutto senza sforzi eccessivi. Giulietta, poi, è particolarmente brava nel mettere in campo tutta la gamma di emozioni, dalla speranza che si trasforma in sospetto, passando attraverso la furia, per arrivare al tentativo disperato di seduzione del IV atto, cui fa seguito l’invettiva carica di odio nei confronti dei sacerdoti sino alla trenodia dell’epicedio sulla tomba degli amanti. In lei quel “Pace t’invoco” si carica di un’ambiguità in cui non è difficile vedere una preghiera per se stessa, più che per l’amato morente. Particolarmente interessante l’intesa con Maria Callas, che si esplica in alcune incisioni interessanti, la prima delle quali è quella di Città del Messico del 1950 (segnaliamo, tra l’altro, che il ciclo di incisioni “messicane” della Callas è stato recentemente rimasterizzato con miglioramento globale del suono).
Segnaliamo, fra le prove interessanti di quelle che potremmo definire “outsider”, quella di Blanche Thebom (1953): cantante singolare, dotata di un mezzo interessante e molto ben sfruttato da un’interprete che faceva decisamente leva su una seduzione a fior di pelle, più da Carmen che da interprete verdiana (i cui ruoli, peraltro, erano ben rappresentati nel suo repertorio); e la Horne, che non sempre conseguiva risultati felici nel suo accostamento al repertorio verdiano, con l’eccezione della celebre incisione del Trovatore con Bonynge; ma Amneris non è Azucena.
Ci scusiamo se non approfondiamo il discorso per quanto riguarda bassi e baritoni, ritenendo che l’opera verta soprattutto sui tre protagonisti e sul direttore.
Tuttavia, un minimo di considerazioni è doveroso farne.
Ramfis è uno di quei personaggi sacerdotali che, in Verdi, sono l’occasione sempre utile per manifestare il proprio anticlericalismo. Inutile dire che i più grandi vi si sono misurati, a partire dal supremo Tancredi Pasero che rimane ancora un termine di riferimento assoluto per un ruolo così monolitico e così poco sfumato comequesto. Difficile scegliere, se non sulla base delle proprie preferenze; il parterre è davvero royale. Segnaliamo, fra gli altri, Weber, Kreppel, Hines, Siepi, Frick (la splendida edizione di Kubelik), Petrov e il sottile e raffinato Ruggero Raimondi della prima fase della carriera.
Amonasro, nell’ultimo quarto del secolo scorso, è stato abbondantemente monopolizzato da Piero Cappuccilli: difficile non identificarlo come paradigma esecutivo di un ruolo anch’esso abbastanza monolitico nella propria tetragonia. Segnaliamo comunque, a titolo di curiosità, quella che ci sembra complessivamente la prestazione migliore: Pavel Lisitsian, nell’incisione di Melik-Pashaev.
Parlando infine di direzioni, ci sembra che Schippers sia quello che meglio di tutti ha fuso esigenze di grandiosità ed intimismo colloquiale: ancora una volta, l’edizione di riferimento è quella Myto del 1976. Ma non inferiore appare Zubin Mehta, che splendidamente evidenzia l’esotismo della matrice culturale, oltre ad assemblare in una delle sue migliori direzioni operistiche il cospicuo materiale vocale a sua disposizione.
Discreta delusione viene da Claudio Abbado, che compita una direzione indiscutibilmente bella ma non particolarmente trascendentale nella registrazione live di Milano (a proposito della quale c’è da dolersi che sia stata scelta la Arroyo per fissare la performance, e non la ben più interessante Norman che in quel periodo si affacciava alla ribalta della fama internazionale); e che fallisce clamorosamente nell’incisione ufficiale della Deutsche Grammophon, mercè anche una scelta di interpreti svogliati o totalmente inadeguati alle rispettive parti.
La visione di Toscanini, tuttora famosa per la speditezza dell’agogica, è però singolarmente scabra ed avara di colori, anche per colpa di cantanti che tali colori non avevano fra le proprie doti principali. Per tali motivi, fra le direzioni d’opera che Toscanini ci ha lasciato in eredità, questa è sicuramentequella meno accettabile ai nostri tempi. Ben più interessante Karajan, che amava moltissimo quest’opera, e che ha esasperato al massimo le tensioni cromatiche, soprattutto nella seconda incisione in studio; ne deriva una specie di sospensione catartica che, grazie anche ad un sagace rallentamento delle agoniche, porta a risultati particolarmente interessanti nell’incipit del III e nel finale del IV atto.
Fra le interpretazioni più aderenti allo spirito verdiano dobbiamo, una volta di più, citare gli stranieri, e segnatamente Kubelik (cast di ottima qualità, tra l’altro) e Melik-Pashaev, impreziosito dalla presenza di un trio maschile costituito da Nelepp, Petrov e Lisitsian; peccato per le donne di scarso profilo.
Il buon senso esecutivo di Serafin e, per li rami, di Levine, è ancora paradigmatico in un’opera come questa che, come abbiamo visto, ha una sua tradizione esecutiva anche in ambienti aperti; il che, ben lungi dall’essere poco interessante, paga molto di più che non andare a cercare preziosismi non sempre facili da ottenere se non si ha un’orchestra ricca di colori o interpreti eccezionalmente ispirati.
Valga come esempio, da questo punto di vista, l’edizione Teldec di Harnoncourt che prometteva di rivoluzionare la storia interpretativa di Aida ma che, a conti fatti, è stata la classica montagna che ha partorito il topolino: minimalismo da carenza di idee più che intimismo e agogiche letargiche ci hanno indotto a togliere i dischi di Harnoncourt dal lettore, e sostituirli rapidamente con quelli di Muti per poter respirare un po’ di aria più fresca.