Backstage: Lohengrin - discografia ragionata parte 3 - di Luca Di Girolamo
Aggiunto il 26 Febbraio, 2011
II parte: gli anni 50: vecchie e nascenti glorie a confronto
Edizioni di Lohengrin in disco (tedesco, italiano) in grassetto quelle in mio possesso relative a questo periodo
* 1951 - Kempe - Vincent, Schech, Klose - München
* 1951 - Kraus - Anders, Eipperle, Braun - Köln
* 1952 - Jochum - Fehenberger, Kupper, Braun - München
* 1953 - Schüchter - Schock, Cunitz, Klose - Hamburg
* 1953 - Keilberth - Windgassen, Steber, Varnay - Bayreuth
* 1953 - Stiedry - Sullivan, Steber, Harshaw - New York
* 1954 - Jochum - Windgassen, Nilsson, Varnay - Bayreuth
* 1954 - Santini - Penno, Tebaldi, Nicolai - Napoli
* 1958 - Cluytens - Kónya, Rysanek, Varnay - Bayreuth
* 1959 - von Matačić - Kónya, Grümmer, Gorr - Bayreuth
* 1959 - Schippers - Sullivan, Della Casa, Harshaw - New York
* 1960 - Leitner - Kónya, Pobbe, Didier - Milano
* 1960 - Maazel - Windgassen, Nordmo-Løvberg, Varnay - Bayreuth
Elenco dettagliato
1953 EMI Classics R. Schock – M. Cunitz – M. Klose – J. Metternich – G.- Frick – H. Günter
(7243 5 65517 2) Orchestra e della Radio della Germania del Nord – Amburgo
Coro della Radio della Germania dell’Ovest – Colonia Dir. W. Schüchter
(3 CD)
1953 TELDEC W. Windgassen – E. Steber – A. Varnay – H. Uhde – J. Greindl – H. Braun
(4509-94674-2) Orchestra e Coro del Festival di Bayereuth – Dir. J. Keilberth (4 CD)
1953 GALA B. Sullivan – E. Steber – M. Harshaw – S. Bjorling – D. Ernster – A. Budney
(GL 100.640) Orchestra e Coro MET New York – Dir. F. Stiedry (3 CD)
1954 GOP W. Windgassen – B. Nilsson – A. Varnay – H. Uhde – T. Adam – D. Fischer-(66.336) Dieskau
Orchestra e Coro del Festival di Bayereuth – Dir. E. Jochum. (3 CD)
1954 HARDY CLASSIC G. Penno – R. Tebaldi – E. Nicolai – G. G. Guelfi – G. Neri– E. (HCA 6010-2) Viaro
Orchestra e coro del Teatro S. Carlo di Napoli – Dir. G. Santini
(3 CD)
1958 MYTO S. Kónya – L. Rysanek – A. Varnay – E. Blanc – K. Engen – E.
(3 MCD 890.92) Wätcher
Orchestra e Coro del Festival di Bayereuth – Dir. A. Cluytens (3 CD)
1959 ORFEO S. Kónya – E. Grümmer – R. Gorr – E. Blanc – F. Crass – E. Wätcher
(C 691 063 D) Orchestra e Coro del Festival di Bayereuth – Dir. L. von Matačić (3 CD)
1959 RAI-ARCHIVE S. Konya – M. Pobbe – L. Didier Gambardella – A. Protti – P. Dari – E. Campi
Orchestra e Coro RAI di Milano – Dir. F. Leitner (3 CD)
1959 WALHALL B. Sullivan – L. Della Casa – M. Harshaw – W. Cassel – O. Edelmann
WLCD 0263 – M. Sereni
Orchestra e Coro del MET – Dir. T. Schippers (3 CD)
1960 GOLDEN MELODRAM W. Windgassen – A. Nordmo-Løvberg – A. Varnay – G.
(GM 1.0072) Neidliger – T. Adam – E. Wätcher
Orchestra e Coro del Festival di Bayereuth – Dir. L. Maazel
(3 CD)
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Esame critico
1951 MYTO P. Anders – T. Eipperle – H. Braun – C. Kronenberg – J. Greindl
(MCD 934.85) G. Ambrosius
Orchestra e Coro di Colonia – Dir. R. Kraus (3 CD)
Questa edizione è da ascoltare per la modernità con la quale, in anticipo di molti anni, vengono operate alcune scelte interpretative. Diciamo subito che l’insieme si fa apprezzare per la resa fonica anche se dobbiamo lamentare alcuni tagli che sopravvivono, ma che tuttavia non vanno ad intaccare alcune prove vocali ed interpretative che hanno dell’eccezionale. La direzione di Kraus è lodevole nel ricreare alcune atmosfere prospettiche molto interessanti ed è in questo coadiuvata dal coro sempre molto valido. Ne emerge una colonna sonora molto morbida e molto attenta nel sostenere i cantanti nel lorofraseggiare (specialmente la coppia Elsa-Lohengrin) che, diciamolo subito, è sempre vario ed attraente. Alcuni quadri però sono da incorniciare: nel I atto abbiamo il tono sommesso e reverente all’ingresso di Elsa ed egualmente il nervosismo che in orchestra serpeggia all’arrivo di Lohengrin senza che però questo degeneri in scompostezza ritmica. Buona, anche se poco caratterizzata l’introduzione al II atto, trasparenza evidenzia il corteo nuziale e momento davvero magico è l’avvio del concertato «In Wilden Brüden» dove tutte le voci dei solisti e del coro hanno modo di sfoggiare le proprie caratteristiche. Ma il meglio dell’orchestra è nel III atto: tutta la preparazione nuziale (Preludio, Inno e coretto delle otto donne, quest’ultimo un vero gioiello) è tenuto su tinte davvero variegate e sfumate. Molto bene il sostegno sonoro nel successivo duetto e marziale (ma anche morbido e sorvegliato nelle sonorità) l’interludio che ci porta alla III scena peraltro ottimamente eseguita fino al termine dell’opera in cui gli accordi cantano con tristezza lo spegnimento di Elsa e la delusione del popolo. In sostanza, una direzione esaltante. Ma esaltante è anche lo splendido protagonista che è Anders (artista prematuramente scomparso nel 1954): dotato di voce piena e squillante, non usata in modo monotono o uniforme ma tesa, quando occorre, alla stilizzazione (ad esempio nell’ingresso). Molto deciso e senza perdere una grande morbidezza di suono nel voler difendere Elsa, Anders diviene squillante nella frase «Durch Gottes Sieg ist jetz mein Leben mein» alla fine del duello senza contare come la voce svetta molto bene nel successivo concertato del Finale I.
Carica di minacciosa misteriosità con un timbro davvero brunito è l’apostrofe a Ortrud nel II atto «Du fürchterliches Weib, steh ab von ihr» per poi trapassare con un tono carezzevole, ma forte e virile, ad Elsa. Di grande effetto le repliche a Telramund e squillante e vigoroso l’«Euch Elden». Poeticissimo e ricco diinflessione l’«Elsa erhebe dich» e, per finire, stessa cosa vale per l’«Heil dir Elsa…». Ma nel duetto del III atto che si odono vere meraviglie: senza rinunciare alla robustezza del timbro e alla corposità del suono, Anders attacca in pianissimo il «Das süsse Lied verhallt» per poi rinforzare fino ad essere marziale nel suo «Höchtest Vertraun…» Si tratta di un brano piuttosto articolato del quale Anders non perde un’inflessione che è una: siano esse soavi o vibranti. Nella III scena abbiamo un’accusa duplice molto vibrante, ma giustamente diversificata: per Telramund permangono toni duri, per Elsa la durezza si permea di una tristezza palpabile. Ma tutto lo scambio di frasi di Lohengrin sono marcati da un’infinita tristezza e rimpianto e, in merito, l’«Ihr hörtet alle..» è una miniera di colori. Va da sé che l’«In fernem land» è una meraviglia globale dove i pp. non si sfilacciano, né assumono tonalità femminee. Purtroppo sono tagliate la II parte dell’addio di Lohengrin e le profezie sulla Germania anche se è presente l’«O Elsa ! was hast du mir angetan» anch’esso ottimo e morbidissimo e limpido Anders lo è anche alla consegna dei tre doni, mentre le ultime frasi, così argentine e limpide siglano una prestazione davvero magnifica. Una grandissima prestazione che si affianca a quella già splendida di Völker e lascia indietro molti interpreti successivi (anche dei più osannati, come vedremo). Lievemente inferiore per livello, ma pur sempre grandissima Elsa è la Eipperle: intanto una voce ampia, solare e dolce senza inutili smancerie, che sale molto bene (anche se nel III atto poteva gestirsi meglio certi acuti che risultano non urlati, ma appena accennati), ma che è soffice e sfumata tutte le volte che deve rivolgersi a Lohengrin (molto buona è la frase «Mein Erlöser» del I atto), che si difende molto bene nello scontro con Ortrud dinanzi alla chiesa. Le due arie sono rese bene così anche, sul piano interpretativo, tutto il crescendo di agitazione del III atto concambi ed inflessioni di colore davvero interessanti anche nelle iniziali frasi che sono le più tranquille. C’è da osservare poi che tale duetto (uno dei migliori registrati, se non il migliore) rivela un notevole affiatamento delle due cantanti impegnate che le porta anche ad una sorta di emulazione nella tenuta dei fiati che sono davvero notevolissimi. Con gli altri cantanti si scende sulla terra e a tratti si può anche andare negli inferi… Greindl è un Re di voce imponente, ma non ha una predisposizione ad alleggerire. Ciò accade specialmente nel I atto dove si odono anche delle oscillazioni in alto. Meglio il III in cui il basso, pur austero nei saluti iniziali («Hab Dank ihr Lieben»), non calca il suono riuscendo anche ad ottenere qualche pianissimo (ad es., la frase «Mich fasst bei eurem Anblick Graun»). Ambrosius si comporta discretamente come Araldo nel I Atto (sconnesso qua e là nella preparazione del duello), meglio nel II. Ho lasciato per ultima la coppia dei ‘cattivi’ che sono un po’ la palla al piede di quest’edizione. Kronenberg porta avanti la tradizione di alcuni Telramund beceri e sgraziati che purtroppo sono presenti nella discografia di quest’opera: senz’altro Telramund è uno sfortunato che diventa cattivo, iroso e vendicativo, però è pur sempre un nobile che deve esprimersi con certa perentorietà. Qui abbiamo invece un’interpretazione che se non è caricaturale è volgare senza contare le oscillazioni di suono a partire dalla zona centrale. Tutto questo ha un gran campionario di esempi che rasentano il comico nel duetto con Ortrud del II atto in cui alla voce di Kronenberg si affianca quella della Braun tesa a sviscerare parola per parola, ma che alle lunghe diventa caricaturale anche lei. Quello che si sente in «Hör ! Vor allen gilt’s..» e quel che segue fa davvero ridere perché segue il ritmo dei cartoni animati. Senza contare poi che l’atmosfera è carente di misteriosità. Proseguendo nell’esame di Telramund è sgraziatissimo l’accordo con iquattro brabantini ed è limitato il suono nella sfida a Lohengrin, tra l’altro amputata del «Wie Staub vor Gottes Hauch verwehe» e non se sente la mancanza. La Braun è stata una celebrata Ortrud, ma francamente non ne capisco la ragione: a parte i passi caricaturali e poveri di ampiezza e misteriosità, pur rifacendosi in parte per qualche fraseggio tagliente nel duetto con Elsa, per il resto svela un registro acuto stentato (difficoltosa è l’invocazione agli dei pagani, stridula la sfida davanti alla Chiesa e urlati gli interventi finali) e anche qui ad un’artefazione davvero fastidiosa (es il «Nur eine Kraft ist mir gegeben» è ridevole).
In sostanza un’edizione che gioca su tre carte e mezzo vincenti (i protagonisti il basso e la direzione), ma che è manchevole nel resto del cast. Peccato perché altri cantanti all’epoca c’erano (sarebbe stato davvero un bel contrasto una Klose e un Anders) ed erano dei veri fuoriclasse. Qui, per alcuni verrebbe fatto di dire “Fuori dalla classe !”
1951 ACANTA G. Vincent – M. Schech – M. Klose – A. Böhm – K. Böhme
44 2133-2 W. Wolff
Orchestra e Coro Opera Bavarese di Monaco – Dir. R.Kempe
Esecuzione quasi integrale, manca solo la seconda parte dell’intervento di Lohengrin. Già in questa edizione troviamo una direzione ispiratissima: Kempe ci regala luminosissimi passaggi nel Preludio uniti ad una mesta serenità che sembra quasi anticipare sin dall’inizio il finale tragico ed ineluttabile della vicenda. Molto bello e carico si sospensione il commento all’ingresso di Elsa, mentre quello che annuncia l’arrivo di Lohengrin è piuttosto lento almeno nell’avvio per poi aprirsi all’esultanza generale. Dinamico il concertato finale del I atto in cui Kempe offre rilievo alla parte corale con adeguato sostegno. Non molto tetra invece per la verità l’apertura del II atto anche se l’accompagnamento è egregio. Si vede chiaramente in tal senso come il direttore prediliga maggiormente le oasi lirichea quelle tenebrose e ferrigne. Poetico e fiabesco il corteo nuziale in cui il coro imposta un fraseggio di rispettosa deferenza nei confronti di Elsa. Molto ben costruito il concertato che segue i due scontri dinanzi alla Chiesa in cui tutte le voci sono ben evidenziate e si arriva ad un finale luminoso e solenne con gli sposi che vanno in chiesa. Bella l’apertura del III atto e buono l’accompagnamento dei due sposi (ma ci sarebbero voluti due artisti diversi, diciamolo subito!). Trionfalistico, ma senza esagerare l’interludio tra 2a e 3a scena dell’atto e notevole il sostegno offerto al coro e alle voci in quel che segue, anche se, per colpa del tenore, a tratti si corre un po’ troppo. Mesta quanto si deve la conclusione e insomma una direzione interessante che, alcuni anni dopo lo stesso Kempe ci offrirà nuovamente con altri sistemi di registrazione più evoluti proponendoci una delle migliori edizioni in disco di quest’opera. Per i cantanti, luci e ombre; fra le seconde quella più rilevante è il protagonista Vincent: ha certo corpo vocale all’arrivo, ma anche carenza di lirismo per poi proseguire con la presenza di alcuni attacchi sporchi e non centrati. Discreto sarebbe anche il confronto iniziale con Telramund con certo vigore che tuttavia è posticcio in confronto ad altri Lohengrin delle edizioni precedenti. Convenzionale nello scontro con Telramund nel II atto e verso il finale pur volendo fare l’eroe giovanile la voce non gli corrisponde pienamente. Ma le cose precipitano nel III atto dove si ha un vistoso cedimento, poiché qui il tenore è abbastanza disastroso: faticosi certi passaggi vocali nel duetto, ma il peggio arriva con la sua ricomparsa nella scena con le sue accuse. Da qui al finale le difficoltà vocali sono evidenti ed alcuni punti sono davvero imbarazzanti per una gran quantità di suoni sghembi: lo stesso «In fernem land» è concluso in fretta e furia, inoltre tutti gli acuti sono raggiunti e subito lasciati da una voce provata e non in regola.Anche quando i suoni sembrano centrati si sente difficoltà o comunque non limpidezza (cf. l’intervento finale «Kommt er dann heim…»), ma resta un Lohengrin che conclude pessimamente la sua vicenda (il «Seht dan den Herzog von Brabant» è orrendo). Insomma un eroe di cartapesta. Non molto attraente neppure la Schech: canta senza particolari pregi con un timbro senz’altro gentile, morbido (specie duetto con Ortrud), ma la cantante è piuttosto anonima in quanto ad espressività. Le due arie sono solo ben cantate e il duetto con la Klose non ci presenta una Elsa particolarmente attraente, la stessa cosa deve dirsi per lo scontro davanti alla chiesa dove senz’altro più navigata, più esperta ed insomma più donna di teatro, la Klose (ad onta del declino rispetto al ‘42) prevale. C’è da osservare a merito della Schech che in detto scontro pur nella concitazione del momento il suono non si deteriora. Le luci invece provengono, paradossalmente, dai personaggi tenebrosi: molto bravo Böhm quale Telramund: senza avere una voce colossale, ma accentando e cantando con vigoria, con disperazione laddove occorre ci offre un conte molto interessante anche per la dizione che anticipa alcune soluzioni dei successivi Fischer Dieskau e Leiferkus. Inoltre notevole è l’affiatamento con la Klose che resta una delle Ortrud di riferimento: certo non è più quella del ‘42 (fatica in alcuni punti del duetto del II atto con Telramund, nell’Invocazione agli Dei, nello scontro con Elsa e nei tre interventi finali), ma la comprensione e l’immedesimazione del personaggio sono totali e vibrano per sottigliezza, violenza espressiva, efferatezza. Un buon Re Enrico è Böhme: voce corposa, ma affetta da vibrato che non gli impedisce però di essere dominatore quanto conviene al ruolo e di superare i passi più ostici (l’arduo attacco del «Gott allein» e l’altrettanto difficile, per la solennità che richiede «Mein Herr und Gott»). Molto corretto, ma senza trascendere l’Araldo di Wolff. Del coro c’è da dire che èottimo e che è buono il livello della resa audio.
1952 PREISER L. Fehenberger – A. Kupper – Helen Braun – F. Frantz – O. von Rohr – Hans
90603 Braun
Orchestra e Coro Opera Bavarese di Monaco – Dir. E. Jochum
Abbiamo a che fare qui con un’edizione che, grazie anche alla buona resa fonica, presenta molti pregi tanto nella direzione quanto in alcuni elementi maschili davvero molto interessanti. L’esecuzione non presenta sostanziali tagli salvo la sezione che segue al monologo «In fernem land» fino all’arrivo del cigno (III atto). La direzione di Jochum si segnala per l’accentuato lirismo che lo porta a privilegiare i momenti più intimi ed amorosi. Questo però non si traduce in squilibrio, quanto piuttosto in una sorta di poema sinfonico dove anche i momenti più concitati sono ben resi (ad esempio, l’accordo dei cavalieri con Telramund del II atto ha qualcosa di nervoso che non è dato spesso di ascoltare). Non abbiamo poi quel parossismo fonico ed espressivo che contraddistinguerà altre direzioni. Convince, invece, un po’ meno la resa del preludio II che, pur ottimo e misterioso quanto si deve, manca forse del carattere e dell’atmosfera ossessiva del momento. Lo stesso deve dirsi del finale II dove ad un buon suono dell’organo e alla fastosità del momento non si contrappone efficacemente il tema del dubbio. A parte questi piccoli rilievi, Jochum ha due grandi meriti: tiene l’orchestra saldamente in mano senza permettere di strafare nelle scene più fastose e presenta un’ottima intesa con il cast, specialmente con le donne. In tal senso i due concertati (quello del Finale I, ma soprattutto quello del dubbio nel II atto rivelano una grande discrezione nel permettere alle voci di campeggiare, il che puntualmente avviene). Inoltre per essere una registrazione in studio di oltre mezzo secolo fa è molto buona la dinamica delle prospettive, complice anche un coro davvero ottimo. Ne fa fede, ad esempio, l’interludio tra 2a e 3ascena del III atto con ottimi fiati in lontananza e con un bell’effetto di avvicinamento. Insomma una bella e, a tratti, ottima concertazione. Il cast è notevole, si diceva, per le parti maschili e meno per il settore femminile Iniziamo proprio da questo: la Kupper è un’Elsa di voce discreta, ma molto generica, costruita e non spontanea. Inoltre non c’è da ricercare in questa esibizione una ricerca e mostra di piani o pianissimi. L’espressione della Kupper ricorda a tratti, sia pur con meno personalità interpretativa, la Flagstadt per un certo stile ‘gran dama’ che priva il personaggio tanto di una sua intrinseca giovinezza, quanto di quella problematicità che il concertato del dubbio dovrebbe rivelare: qui la Kupper si limita solo a cantare le note. La Braun appare più curata nella voce e nell’interpretazione rispetto all’edizione MYTO del ‘51, però non è una Ortrud che si possa annoverare tra quelle mitiche: la voce c’è, la statura interpretativa non è eccelsa (anche se il «Konntest du erfassen» è ben accentato e sussurrato come anche le battute di conversazione durante le ‘aurette’ di Elsa e certi passi del duetto con Telramund sono lontane dall’aura da fumetto della precedente edizione), ma è funzionale. Dove sta allora il limite ci si potrebbe chiedere ? Rispetto alla precedente edizione non udiamo berci, ma la voce non per questo è migliorata: gli acuti e le invettive (scontro con Elsa davanti alla chiesa e i tre interventi finali) a piena voce risultano piuttosto forzati e di scarso rilievo interpretativo. Qui più che una nobile c’è una vecchietta bizzosa. A ciò si aggiunge che il timbro della Braun è chiaro e in alcuni tratti del duetto con Elsa le due voci non si distinguono. Riguardo agli interpreti maschili abbiamo in von Rohr un Re da antologia per la voce imponente e duttile al contempo. Si tratta di uno dei migliori Re Enrico (pari a Ridderbusch e a Talvela che incontreremo più avanti). Anzitutto il tono è regale portando anche qualche sprazzo digiovanilità, specialmente nel III atto quando, prima dell’ingresso di Lohengrin, Enrico incoraggia ed esorta i suoi a combattere. Ma poi nei vari interventi del I atto abbiamo una grande imponenza vocale che permette a von Rohr di scendere e salire con grande disinvoltura. Alcune frasi sono davvero da segnare a carattere d’oro («Gott allein», il «Mein Herr und Gott» e gli interventi nella prima parte del concertato finale del I atto). Sulla stessa linea si pone F. Frantz come Telramund di voce molto corposa, sonora, estesa, a tratti ferina («Entsetzlich ! Ha, was lässest du mich hören») ma senza che il suono diventi volgare o strascicato o duro. Ma Frantz sa cantare anche piano ed esprime la sua disperazione nel monologo e in vari passi del duetto con Ortrud del II atto («Du wild Seherin», ma anche l’unisono «Der rache werk») il cantante si fa valere. Anche nello scontro con Lohengrin questo Telramund vince tutto sommato sul rivale sul piano vocale (nella vicenda invece sarà un’altra cosa), l’alta tessitura è ben superata da Frantz. Piuttosto bravo è anche l’Araldo di Hans Braun: di voce sonora quantitativamente cospicua e di buon piglio declamatorio. Il Lohengrin di Fehenberger è un personaggio a metà: interessante e valido nel canto amoroso e a mezzavoce (l’ingresso e, alla fine, il saluto al cigno, alcuni passi amorosi nel duetto con Elsa e le frasi che Lohengrin le rivolge nel I atto), giovanile nell’«Euch elden», morbido e dolce nella parte finale del II atto (anche se nella frase «Heil dir Elsa ! Nun lass vor Gott uns genh» abbiamo un bell’inizio e una mediocre conclusione), Fehenberger ‘non sa mostrare i denti’ quando la situazione lo richiede: ci prova (nella contraccusa a Telramund nel I atto è concitato, ma non protervo e lo stesso accade nello scontro della chiesa), è intelligente nel non forzare, ma il tono guerriero e il fraseggio concitato non gli convengono. È chiaro allora che il monologo è risolto in chiave lirica e, tutto sommato, è da lodare.Tuttavia si resta un po’ scontenti di tale generica bonomia ostentata a sproposito. Un Lohengrin che sta molto indietro rispetto a Völker e ad Anders guardando nella discografia anteriore. Da ultimo: il cofanetto non ha libretto, ma porta una foto di scena di un’edizione data a Lipsia nel 1937.
1953 EMI Classics R. Schock – M. Cunitz – M. Klose – J. Metternich – G. Frick – H. Günter
(7243 5 65517 2) Orchestra e Coro della Radio della Germania del Nord – Amburgo
Coro della Radio della Germania dell’Ovest – Colonia – Dir. W. Schüchter
(3 CD)
La presente edizione si segnala soprattutto per l’impostazione scopertamente romantica che viene condotta tanto dal direttore come dal cast. Schüchter evidenzia soprattutto il lato eroico e passionale della partitura (quello dei contrasti per intendersi) e quindi se ne avvantaggiano le scene di massa o quelle più scopertamente drammatiche. La direzione appare meno curata nelle oasi liriche che tendono alla pesantezza e alla lentezza (es. l’interludio tra 1a e 2a scena del III atto). Egualmente anche i cori sono portati ad esprimersi in termini piuttosto forti, sicché le scene più liricheggianti e distese appaiono sotto il marchio di una solennità forse un po’ troppo insistita (es. la processione che accompagna Elsa a partire dall’esordio dei paggi). Insomma una vicenda più epica e rustica che spirituale e mistica. Tale carattere lo ritroviamo anche nel protagonista Schock che rivela una voce molto robusta eroica nel senso generico però del termine. Mancano però alcuni requisiti fondamentali della figura di Lohengrin: il carattere misterioso e recondito (Schock declama tutto in modo del tutto appariscente) e così anche la dimensione spirituale trova un cantante scarsamente duttile. Sin dall’inizio il Lohengrin di Schock si esprime in termini di un’eroicità un po’ gratuita, anche se – sul piano del puro suono – non disprezzabile, tuttavia nella parte finale il suo canto è di unamonotonia esasperante: nessuna sfumatura nell’«In fernem land» ed egualmente nei vari interventi (pochi in realtà perché manca la seconda sezione del suo addio e le profezie) la voce è uniformemente spiegata senza alcun costrutto interpretativo, anzi il cantante tende alla sbrigatività. Al suo fianco la Cunitz si pone nel solco della Hoerner (ARCHIPEL 1936) delineando un’Elsa da figurina ingenua. Non c’è svenevolezza, ma neppure quella nobiltà di linea che contraddistingue la regalità propria di questo personaggio. La voce non è neppure granché e in alto ha qualche problemino anche se ben dissimulato. Rispetto al ‘live’ del 1942, la voce della Klose è un po’ usurata (si sente certa tensione in alto specialmente negli interventi finali che, rispetto al ‘42, appaiono inferiori nel suono), ma la comprensione del personaggio è ancor più approfondita. Ne scaturisce in ogni caso un’Ortrud robusta e tagliente e addirittura a tratti smaniosa nella sua brama di potere (come risulta da alcune frasi del duetto con Telramund nel II atto), ma anche molto duttile proprio nell’impasto della voce e ciò le permette di arginare agevolmente i vari scogli della parte (es. l’invocazione agli Dei pagani e lo scontro con Elsa nel II atto) e questo fa affermare che in questa edizione la Klose nasconde meglio, rispetto a quella precedente diretta da Kempe, l’usura vocale.
Molto bravo Metternich quale Telramund che, finalmente, non ci fa ascoltare un personaggio solo e soltanto iracondo tale a volte da rasentare la scompostezza, ma un eroe analogo (e di segno opposto) a Lohengrin. La voce è robusta e riesce bene a farsi largo nell’ordito orchestrale nel suo atto di accusa del II atto. Frick ha un bel timbro e anche autorevolezza, ma non quel registro acuto che la parte, a tratti, richiede. Non fa brutture, ma neppure si fa rimpiangere. Molto bene Günther quale Araldo.
1953 GALA B. Sullivan – E. Steber – M. Harshaw – S. Bjorling – D. Ernster – A. Budney
(GL100.640) Orchestra e Coro MET New York – Dir. F. Stiedry (3 CD)
Quest’edizione non compare nei cataloghi ed io stesso l’ho trovata casualmente. Si tratta di un bel cofanetto di 3 CD nel quale a certa eleganza esteriore non corrisponde pienamente il risultato artistico complessivo. I dischi contengono l’opera completa e due bonus tratti dal II atto dell’edizione del MET 1947 diretta da Busch, già esaminata. Il cofanetto non ha il libretto, ma note molto lunghe sui principali interpreti, nonché le loro fotografie. Si sa quale era il livello del MET di quegli anni e certo Stiedry non era il direttore più indicato a risollevarne le sorti: la sua direzione è più o meno come quella dell’edizione precedente in cui già i limiti superavano i pregi. Anzitutto abbiamo poca propensione ai lati lirici della vicenda ed una smaccata (e nemmeno ben realizzata) prevalenza dell’altisonanza e del premere il pedale sugli aspetti più magniloquenti senza contare che l’orchestra non poche volte produce suoni sguaiati (specie nella sezione dei fiati: commento allo scontro Lohengrin-Telramund nel II atto, oppure interludio 2a-3a scena del III atto) oppure morchiosi come l’introduzione al II atto, oppure commenta in modo banale altri momenti (il coro nuziale all’inizio del III atto). A tratti poi la velocità è veramente eccessiva (Finale I), oppure confusionaria e senza senso delle prospettive (Interludio 2a e 3a scena del III atto). Inoltre l’esecuzione è afflitta da molti tagli: alcuni ingiustificati come ad esempio quello che ci vede sbalzati dal concertato II atto (quello del dubbio) direttamente alla cacciata di Telramund da parte di Lohengrin. Diversi interventi del re (a partire dal monologo iniziale) sono tagliuzzati, scempiato anche il monologo di Telramund all’inizio del II atto e alcuni passi del duetto tra questi e Ortrud e manca anche la seconda accusa di Lohengin (quella ad Elsa); nel finale dell’opera poi si sente solo una parte se si tiene conto che manca tutta lapagina concertata che parte dall’«O Elsa! Was hast du mir angetan…». Insomma sul piano della colonna sonora e delle scelte direttoriali siamo al limite del modesto, anche se, ad onor del vero, il concertato del dubbio, nel II atto, è ben reso. Ma non sono neppure rose e fiori con il cast: rispetto all’edizione del 1950 Ernster è un po’ meglio, se non altro per certa autorità, ma si tratta sempre di un cantante ruvido che in alto («Gott allein») non è l’ideale ed è anche carente di grandiosità nel «Mein Herr und Gott…» entrambi nel I atto. Budney è un Araldo buono nell’espressione, ma con voce vibrata specie quando sale la tessitura. La Harshaw ripete la Ortrud del ’47, ma con minore solidità vocale (in alto ci sono alcune tensioni: invocazione agli Dei e i tre interventi finali), anche se fraseggia molto ferinamente e ci offre un ritratto di ‘cattiva’ apprezzabile, ma è ‘cattiva’ e basta. Mancano l’arte della seduzione, il tono arcano e profetico e l’allusività di certi squarci (il duetto con Elsa non è che sia l’ideale di doppiezza). A ciò si aggiunge l’inconveniente che il timbro piuttosto chiaro non la differenzia da Elsa (l’unisono conclusivo del duetto tra le due donne lo dimostra). La Steber è una buona Elsa che tuttavia sin dall’inizio sembra adeguarsi alla visione del direttore (tanto che l’«O fand Jubelweisen» che apre il Finale I risulta piuttosto concitato più che realmente gioioso e lesivo della ritmica) e risulta avara di finezze e di toni trasognati (ciò lo si avverte sin dal suo ingresso). Inoltre poca innocenza e poche sfumature sono poi i tratti negativi prestati dalla Steber alle sue ‘aurette’ nel II atto. Per il resto, però, la voce è di ottima fattura e l’interprete è persuasiva, soprattutto nei momenti di tensione. Molto centrato appare infatti tutto l’evolversi dello stato confusionale di Elsa così come ce lo propone la Steber nel III atto, giovandosi anche di un bel registro acuto col quale supera facilmente anche le tre domande a Lohengrin. Apochi mesi da questa recita (e con un altro direttore !) la Steber ci offrirà una ben diversa Elsa, non del tutto ottimale forse, ma più aerea, sfumata e luminosa. S. Bjorling è un Telramund vigoroso e di buona voce e con una scansione a tratti elettrizzante (gli interventi iniziali nel I atto). Purtroppo i tagli lo colpiscono e ci impediscono di averne un ritratto completo. Prevale la raffigurazione dell’uomo vendicativo più che dello sconfitto, ma il materiale vocale c’è per abbondare in suoni potremmo dire ‘spavaldi’ e piglio interpretativo notevole. Resta Lohengrin che è B. Sullivan. Non conoscevo questo cantante e dopo questo ascolto non mi ha lasciato una buona impressione. Anzitutto è un concentrato di ‘buone maniere inglesi’, lontano da un vero nerbo e squillo in alto. A ciò si accompagna il relativo corollario di una voce bianchiccia che si sforza di farla grossa e gli va non molto bene perché in alto è limitato. Ma poi anche nel lato amoroso (alcuni passi del II atto e il dettone del III), la morbidezza sconfina nella petulanza e diviene molto generico, pur non commettendo vocalmente guai grossi. Però si sente che non è un tenore eroico. Del resto né Lohengrin lo richiede, pur possedendo momenti di tensione: ma qui piglio interpretativo latita mentre abbondano genericità e banalità. Ascolteremo altri campioni ‘argentati’ muoversi più o meno coscientemente su questa linea, privando Lohengrin di quella enigmaticità che va oltre la generica dichiarazione di amore e di difesa di fanciulle spaurite (o che si credono tali, quando in realtà….).
1953 TELDEC W. Windgassen – E. Steber – A. Varnay – H. Uhde – J. Greindl – Hans Braun
(4509-94674-2) Orchestra e Coro del Festival di Bayereuth – Dir. J. Keilberth (4 CD)
La confezione celeste-grigia ben raffigura quello che è l’effetto cromatico di questa edizione. La direzione di Keilberth è morbidissima ed ha buon gioco nell’evidenziare quelli che sono i lati più squisitamente liricidell’opera. Il Preludio è un distillare di tinte tenui e diafane, davvero molto bello. Ma Lohengrin non è solo questo: è opera di caratteri oltre che di ambienti e che richiedono un efficace contrasto di tinte. Qui Keilberth se asseconda benissimo i protagonisti buoni, tende a passare sopra all’elemento malvagio avvolgendo il tutto con grande morbidezza. Non si coglie in questa direzione la dimensione inquietante di tutto il mondo di Telramund e Ortrud, anzi tutto è diluito e la tensione qua e là si allenta. A tratti si è dinanzi ad una melassa benissimo confezionata, ma pur sempre melassa. Anche il duetto tra Elsa ed Ortrud manca di quella carica insinuante che deve avere, egualmente la scena degli scontri sulla piazza è meno drammatica di quanto si vorrebbe ascoltare, in quanto tutto è rapportato ad una generica anche se magniloquente solennità. Peccato perché il cast è, nelle linee generali, efficiente ed una maggiore intesa (specie con la coppia nera) non avrebbe guastato. Il Coro di Bayereuth è notevolissimo ed offre episodi musicalmente pregevoli. Fra i cantanti, il primo posto spetta alla Steber. Rispetto ad una prova un po’ a senso unico dell’edizione precedente, troviamo qui un’Elsa luminosa e angelica quanto occorre, ma per nulla svenevole e con acuti davvero raggianti, mezzevoci molto curate e pianissimi validi. A ciò si aggiunga un’adeguata comprensione del personaggio. Ne sortisce una bellissima prova che colloca la cantante americana fra le maggiori interpreti di questo ruolo sempre in bilico tra il giusto lirismo ed il fallace bamboleggiamento. Al suo fianco Windgassen ci presenta un Lohengrin molto generico: non ci sono brutture vocali vere e proprie, ma neppure passi che si imprimono nella memoria dell’ascoltatore. L’interprete è piuttosto piatto e questo si ripercuote negativamente sul duetto del III atto in cui a tratti si ode un fraseggio spento, plumbeo ed impersonale. Senza contare che, sul piano vocale, non tutto è ad hoc e certi attacchidenunciano impaccio e difficoltà specie nei piani (bruttino, ad esempio, il suo «Heil dir Elsa ! Nun laß vor Gott uns gehn!»). La coppia dei ‘cattivi’ ci presenta invece un binomio di interpreti molto affiatati: Astrid Varnay e Hermann Uhde. I loro fraseggi sono eloquenti e persuasivi, anche se la Varnay, a mioavviso, non raggiunge i tratti inquietanti (oltre che corposi per materiale vocale) di una Klose. La voce di questa Ortrud è piuttosto criticabile specie in alto dove la forzatura porta a suoni stridenti (es. l’invocazione agli dei pagani, lo scontro con Elsa e i tre interventi finali). Ma l’accento è imperioso e ne fa una Ortrud davvero velenosa. Uhde è all’altezza della collega sfoggiando un ventaglio espressivo che, pur piegando verso la sete di vendetta in modo un po’ unilaterale, è sostenuto da un notevole e robusto strumento. Quello che si può criticare è che la loro impostazione e comprensione dei rispettivi personaggi va in collisione con una direzione che non è eloquente, né li sostiene come dovrebbe. Si ode perciò certo scollamento tra il mondo oscuro di questa coppia e la qualità della colonna sonora che dovrebbe accompagnarla. Greindl sfoggia la sua voce imponente, ma qua e là in alto fa un po’ cilecca. Comunque la regalità è ben resa e questo Enrico… può governare. Braun è piuttosto reboante come Araldo. Tra i comprimari troviamo G. Stolze e T. Adam nel gruppo dei 4 cavalieri brabantini seguaci di Telramund. Molto buona la resa audio.
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1954 GOP W. Windgassen – B. Nilsson – A. Varnay – H. Uhde – T. Adam – D. Fischer-(66.336) Dieskau
Orchestra e Coro del Festival di Bayreuth – Dir. E. Jochum. (3 CD)
Davvero molto buona la direzione di Jochum che supera nettamente il Keilberth dell’edizione precedente e ciò nella varietà di tinte e nella solidità della concezione complessiva. Ne scaturisce un bel racconto in cui sono sapientemente equilibrati i momenti lirici e poetici come quelli più corruschi. Molto bello èil Preludio ed egualmente vivida, senza melensaggini di sorta, appare l’introduzione al III atto, nonché vivacissimo nel suo militaresco andamento l’interludio tra 1a e 2a scena del III atto. Se ne avvantaggia anche la coppia dei cattivi che non resta imbrigliata e impossibilitata a esprimere quanto deve sotto una direzione uniforme e solo preoccupata della morbidezza (bella, ma molto fine a sé stessa). Qui Jochum guida molto bene tanto la Varnay e Uhde che sono ancor più affiatati rispetto all’anno precedente: il loro ritratto di disperazione mista a vendetta e smania di potere risulta ancor più caratterizzata e scavata. Uhde, in particolare, conferisce al suo personaggio ancor più rabbia dell’anno precedente (e ciò lo ascoltiamo nei vari passaggi di minaccia ad Ortrud nel II atto). La Varnay dal canto suo ci ripresenta la sua Ortrud quale maga della notte. In alto è quello che è (forzata), ma in tutta la scena con Elsa non rinuncia ad alcuni pianissimi di grande effetto. Questa registrazione fissa il debutto di B. Nilsson a Bayereuth. Quella che diverrà poi la Brünhild per antonomasia succedendo alla stessa Varnay si trova qui nei panni davvero insoliti di Elsa e, giudicata con il senno di poi, qualche anticipazione del metallo inossidabile che la contraddistinguerà negli anni successivi e in un repertorio onerosissimo la fa ascoltare anche qui. La sua Elsa però al di là della voce luminosa e facile all’acuto ci fa ascoltare molti piani e pianissimi segno di una grande tecnica che le permetteva di piegare il suo strumento così imponente. È chiaro che la sua Elsa (a torto accusabile di freddezza) si orienta verso un canto in cui alla fanciulla un po’ ingenua antepone il ritratto di una donna giovane ma decisa, anche se vittima degli eventi. Molto bello è il suo arioso di ingresso, ma anche le ‘aurette’ del II atto sono notevoli anche se prive forse di quel carattere un po’ trasognato che la pagina richiede. Del resto solo 4 anni dopo, alla Scala, la stessa Birgitsi affacciava dalle logge di Pechino per cantante un monologo non certo vicino nello spirito e nella tessitura a quanto Elsa sogna….
Windgassen si riconferma per quello che è: un buon cantante che, tuttavia non lascia particolari segni, ma neppure fa particolari danni, onde escludere impacci in passaggi ed attacchi a mezzavoce (anche in questa occasione il suo «Heil dir Elsa ! Nun laß vor Gott uns gehn!», pur leggermente migliore di quello emesso nel ’53, non è una meraviglia). Sul piano interpretativo, però gli va dato atto di essere molto più vario dell’anno precedente (anche se in certe frasi del finale, denunciando difficoltà vocali, tira un po’ via): accanto alla giovialità Windgassen offre anche qualche concessione a certo piglio guerriero. Guardando alla discografia, altri tenori supereranno Windgassen, nel delineare Lohengrin, sebbene egli qui non sia affatto disprezzabile. Ritroviamo Theo Adam questa volta come Enrico e piuttosto convincente, mentre Fischer Dieskau alle sue prime prove è un grandissimo Araldo: morbido nella scansione e di dizione superba (come lo è stato sempre). Se si aggiunge che il Coro è molto valido e che i tagli sono pressoché assenti si giunge alla conclusione che si tratta di un’esecuzione che si fa ascoltare con molta attenzione e piacere
Luca Di Girolamo