Backstage: Il virus e l’antivirus – Emma Dante alla Scala
Aggiunto il 08 Dicembre, 2009
Perché il pubblico della Scala ha bastonato Emma Dante?
Si è trattato di una regia innocua, piena di cliché melodrammatici, noiosa, già vista, con qualche sprazzo di provocazione annacquata e innocente. In altre occasioni la Scala ha applaudito operazioni simili, magari senza particolare entusiasmo, ma l’ha fatto.
Sperimentazione? Avanguardia? Ricerca? Mentre passavano gli atti, e considerate le aspettative del pubblico medio, mi aspettavo se non un trionfo almeno una generica approvazione. Gli stipendiati oracoli della promozione scaligera avevano promesso una Carmen scandalosa, iconoclasta, violenta e dissacratoria; mi ritrovo a vedere la solita Carmen da 7 dicembre pensata per un pubblico presenzialista e ufficiale, condita con simbologie facili facili, decifrabili anche da chi per principio rifiuta la drammaturgia nell’opera.
Masse corali ferme ai lati della scena, arie tra parentesi con tanto di sospensione narrativa e cantante rivolto verso la platea, segnali di seduzione e sensualità proposti con il solito saliscendi di gonne e sottovesti, femmine che prima accarezzano il maschio e poi lo spingono via, fiori colorati, balletti da villaggio turistico, caciara ispanico-meridionale durante le risse.
Questa Carmen l’avremmo potuta vedere - e l’abbiamo vista - negli anni Ottanta come in quelli Novanta come nel Duemila, e non avrebbe fatto differenza. Sembrava una di quelle regie astutamente costruite a tavolino da qualche scafato teatrante, con il solo intento di vendere roba nuova riverniciando quella vecchia.
Purtroppo, o per fortuna, posso dubitare su tutto ma non sull’onestà intellettuale di Emma Dante; sono convinto che un’artista come lei, che ha firmato spettacoli discutibili ma sinceri come “Carnezzeria”, “Vita mia”, “‘mPalermu”, “La Scimia”, in questa Carmen ci abbia creduto fino in fondo. Il che, per certi versi, è anche peggio.
A quanto pare, per la Dante, questo significa sperimentare nell’opera;purtroppo il suo analfabetismo in fatto di teatro musicale l’ha portata a considerare come una sconvolgente novità qualcosa che siamo abituati a vedere da trent’anni. Forse farò parte anch’io di “quei soliti coglioni che banalizzano tutto” (intervista della Dante sulla Stampa), ma vi assicuro che, tolta qualche idea suggestiva negli ultimi due atti, siamo stati dalle parti dei soliti Pizzi, De Ana, Pier’Alli, Braunschweig, Krief e soci con l’aggravante di un’assoluta e dichiarata mancanza di esperienza.
Se paragono questa Carmen a quelle viste negli ultimi anni e realizzate da veri “sperimentatori” come Carsen, MacVicar, Hartmann e Kusej - che mai però avrebbero la presunzione di definirsi tali - mi accorgo di quanta strada abbiamo ancora da fare. E di come questi allestimenti scaligeri, venduti come scelte registiche all’avanguardia, costituiscano un pericoloso passo indietro nel campo della vera sperimentazione.
In definitiva, perché il pubblico della Scala ha bastonato Emma Dante? Forse l’ha fatto perché annoiato di fronte a un avvenimento che la promozione scaligera aveva preparato come epocale, rivelatosi poi privo di particolare interesse. Forse l’ha fatto per insegnare a un sovrintendente e un direttore d’orchestra che la parola “genio” va usata con moderazione. Forse qualcuno era anche seccato dal fatto di aver speso cifre da capogiro per assistere a una vetrina di sponsorizzatissime debuttanti. Sta di fatto però che i dissensi ci sono stati e clamorosi. Emma Dante, con ingenua e improvvida goffaggine, si è paragonata a una minaccia informatica che entra nel mondo dell’opera. Gli scaligeri hanno risposto come il più efficace e potente degli antivirus.
Maugham