Backstage: Della gloria d'Otello è questo il fin.
Aggiunto il 29 Giugno, 2017
Premesso che è difficilissimo giudicare un'opera come Otello (ma come tutte in generale) al cinema, risulta immediatamente evidente la totale inutilità dello spettacolo di Keith Warner che, al contrario del Ring, brutto ma interessante - realizza un'Otello così inutile e privo di idee da lasciare perplessi. Le scene di Boris Kudlicka e le luci di Bruno Poet contribuiscono alla piattezza dello spettacolo.
Antonio Pappano realizza invece una prestazione magnifica a capo di una orchestra finalmente in grande forma. Suoni meravigliosi ovunque, potenza, compattezza, tempi sempre adatti ai cantanti ma sempre nel rispetto del dettato musicale, virtuosismi orchestrali profusi a piene mani (basti come esempio la perfetta differenziazione delle sezioni nella Tempesta, sezioni magicamente poi riunite in un unicum di suono impressionante). Avrei magari preferito qualche momento di cantabilità in più anche a discapito di quella immediatezza narrativa che ha caratterizzato la direzione di Sir Tony.
Buona la prova del Coro, ottimo nelle parti di "forza" presentate con un muro di suono impressionante: “Dio, fulgor della bufera!” lascia inchiodati alla sedia. Un po' meno nelle parti virtuosistiche, il “Fuoco di Gioia” infatti sbandava qua e là. Ma il cambio di Maestro (Spaulding arrivato a Londra da poco dopo un passato alla Deutsche Oper) ha letteralmente trasformato una compagine che sembrava da anni spenta.
Se vi piace uno Jago perfido e stronzo, allora Vratogna è grandissimo. Duro, crudo, un vero carro armato. Ma senza quella sottigliezza psicologica che rende un uomo davvero pericoloso. Basti come esempio il passaggio "Temete, signor, la gelosia! È un'idra fosca, livida, cieca, col suo veleno sè stessa attosca, vivida piaga le squarcia il seno" - che Verdi prescrive cupo e legato - è talmente violenta e minacciosa che rende tutta l'esplosione successiva inutile e priva di efficacia privando di senso la magnifica frase "la morte è il
nulla".
Sicuramente è una interpretazione discutibile e magari non troppo moderna ma è perseguita con tale sicurezza, precisione e convinzione che alla fine porta a casa un eccellente risultato, anche grazie ad una correttezza vocale magistrale.
Maria Agresta invece è una Desdemona classica, nel miglior modo di intendere il concetto. Splendidi suoni, ottimo legato, acuti luminosi e ben timbrati, buona interpretazione. Insomma tutti gli ingredienti necessari per una Desdemona perfetta che culmina con una Canzone del Salice di purezza quasi tebaldiana.
Resta "lui". Probabilmente l'unico motivo per cui il pubblico ha esaurito tutte le recite: Jonas Kaufmann.
Se fossimo al Globe Theatre ci troveremmo probabilmente di fronte ad una delle interpretazioni più sconvolgenti e storiche di Otello. Purtroppo (o per fortuna, a seconda dei casi) ci troviamo a Covent Garden e all'interpretazione del personaggio bisogna aggiungere la parte vocale scritta da Verdi. Sia chiaro subito, Kau canta la parte bene, bene ma non benissimo. Quanto meno non canta così bene quanto recita.
L'inizio è comprensibilmente guardingo. "Esultate" risuona vittorioso ma senza gloria. "Abbasso le spade" manca di quel senso di onnipotenza del Moro, quasi una voluta dimostrazione di essere un perdente già dall'inizio. Il duetto invece è splendido per colori, intensità, nuances vocali che credevo ormai perdute nel bagaglio di Kaufmann.
Il secondo atto, così caratterizzato dal Credo barbarico, trova uno splendido Kaufmann nelle intenzioni più che nella vocalità. Il colloquio con Jago è soffertissimo, addirittura ripiegato sulla sofferenza, tenuto quasi su un filo di voce, estremamente soggiogante. Ma appena necessita di maggior forza (Miseria mia..... Amore e gelosia vadan dispersi insieme) la vocalità si fa carente. Faticoso l'"ora e per sempre addio" ma memorabile il finale di atto, nel quale la
presenza di uno Jago così tonitruante esalta la debolezza del personaggio di Otello, mettendone però in evidenza anche alcune mancanze vocali.
Kaufmann è però tenore di razza e assesta una zampata impressionante nel "Dio mi potevi scagliare", inizialmente sussurrato, sofferente, dolente, i la bemolle ripetuti uno diverso dall'altro con un suono sempre più cupo fino all'esplosione finale dove la voce si fa sofferenza, dove l'acuto si fa dolore: in una parola "terrific". Bello anche il finale: "Otello fu", rallentato, scurissimo, con un colore vocale plumbeo ma ricchissimo di armonici.
Insomma un Otello interessante, su cui poter parlare a lungo. Probabilmente un Otello da risentire. Sicuramente un Otello da perfezionare. Se ne avrà la voglia, il tempo e soprattutto al vocalità.
docFlipperino