Domenica, 06 Ottobre 2024

Backstage: Fidelio a Firenze - di Filippo Antichi

Aggiunto il 07 Maggio, 2015

Che Mehta raccolga un'ovazione a Firenze non è certo una novità. Il capoluogo toscano lo adora anche quando dovrebbe meno. Ma ieri sera le grida di giubilo alla fine dell'ultima recita di Fidelio erano interamente giustificate. Il direttore indiano ha una propensione all'alta routine, soprattutto in un certo repertorio (a tal proposito viene in mente l'ultima Traviata fiorentina ma anche tutto il Verdi che ha portato in riva all'Arno negli ultimi anni). Ogni tanto però si desta dal torpore e trova opere a lui congeniali: ed ecco allora la Turandot di due anni fa, il Tristano dello scorso anno e infine questo Fidelio.
Diciamolo subito: non è il Fidelio rivelatore del singspiel mozartiano, e nessuno si aspettava questo da un direttore come Mehta, come non ci si aspettava da Barenboim alla Scala. Questo era un Fidelio di tradizione quindi un Fidelio dall'anelito romantico, con l'Ouverture 1814 al suo posto e la Leonora III prima del finale. Tuttavia era da tanto che non si sentiva un Mehta così padrone della situazione e con un tale impeto drammaturgico da far da motore primo alla stessa azione sul palco. E in tutto ciò l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, con cui lavora da trent'anni, lo seguiva ovunque senza mai sbavare.
Già dall'Ouverture si sentiva che era in serata: l'inizio solenne si è via via stemperato in un crescendo, dipanandosi fino al finale liberatorio. E da lì è stato un tripudio di colori, di dettagli nitidi che emergono dalla trama orchestrale. In tutto ciò i cantanti si inseriscono con i loro strumenti alla perfezione.
L'afflato romantico c'è tutto, ma più che a Wagner questo Fidelio sembra guardare a Mendelssohn con qualche occhiata alle sinfonie Beethoveniane. Tale sguardo al sinfonismo tuttavia non si traduce in una discontinuità dovuta alle forme del singspiel, ma in esse la musica e il dramma si alimentano in un insieme coerente e unitario.
L'unico momento di turgore si nota nella Leonora III, in cui Mehta silascia andare a un po' troppo volume negli ottoni e calca un po' troppo la mano in direzione superomistica, ma forse è l'unico difetto che gli si può annoverare.
Insomma una direzione teatrale, concentrata, estremamente bella e curata, con un Mehta che quando vuole dimostra di essere ottimo concertatore e direttore d'opera.
Più deficitari gli altri versanti.
La scelta dei cantanti era sicuramente di stampo tradizionale. Ecco quindi che Leonore viene affidata ad Ausrine Stundyte, soprano lettone che canta Sieglinde, Katerina Izmajlova, Tosca e Chrysothemis; ovviamente era fuori parte, ma le note le aveva tutte e anche una discreta presenza scenica (per quanto possibile in una regia del genere). Fidelio non è certo l'opera migliore per valorizzarla.
Burkhard Fitz fatica nella parte di Florestan ma ne esce facendo il suo compitino e senza strafalcioni.
Evgeny Nikitin esce bene dalla parte di Pizarro senza faticare e urlare troppo come fanno molti di quelli che interpretano tale parte.
Spicca la giovane Marzelline di Anna Virovlansky: dotata di bel timbro, fatica un po' inizialmente nel registro centrale, ma si riprende presto cantando meravigliosamente la sua aria e tutti i suoi interventi successivi.
Non tanto buono Eike Wilm Schulte come Fernando, corretti il Rocco di Manfred Hemm e lo Jaquino di Karl Michael Ebner.
E infine c'è la regia. C'è da chiedersi con che coraggio si possa ancora affidare regie a Pier'Alli. Nessuna idea, neanche per costruire un minimo i personaggi. Alla fine si contano qualche scenografia bella e qualche ideuzza in un mare di niente. Totale incapacità di muovere interpreti e masse che sostanzialmente stanno fermi a guardare il direttore. E quando le masse si muovono è anche peggio con coreografie di soldatini che fanno molto Buckingham Palace for tourist (anche se le divise facevano più cambio della guardia a Copenhagen). Non parliamo poi delle proiezioni e del finale in cielo con ilcoro vestito di orribili colori pastello smunti. Si ride per non piangere. Poi si guarda al programma di sala dove si legge il regista dell'ultimo Fidelio fiorentino di 12 anni fa e compare il nome di Robert Carsen. E uno si chiede: cosa abbiamo fatto di male per meritarci questo?


Filippo Antichi aka reysfilip

Categoria: Backstage

 

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