Domenica, 06 Ottobre 2024

Backstage: Lucio Silla alla Scala – di Filippo Antichi

Aggiunto il 17 Marzo, 2015

Lucio Silla non è opera dalla grande fortuna esecutiva e discografica. E nonostante sia un'opera composta proprio per il pubblico della Ur-Scala, fino ad oggi era stata proposta nella sala del Piermarini solo nella produzione firmata Patrice Chéreau del 1984. Stavolta si è importato lo spettacolo realizzato per la Mozartwoche salisburghese del 2013, poi ripreso nel festival estivo dello stesso anno. A capo dell'operazione c'era, e c'è ancora nella ripresa milanese, quello che Pietro Bagnoli chiama il re Mida dell'opera, Marc Minkowski. Si trattava invero del suo debutto scaligero, ed è stato un signor debutto pur con le sue luci (tante) e ombre (poche). La sua direzione è stata nel complesso tutto ciò a cui Minkowski ci ha abituato negli anni: una piena comprensione della musica per il teatro e nel teatro, unita a una vitalità che ha trasformato un'opera assai statica e classicamente stilizzata nelle sue passioni in un essere vivo e palpitante, innervando così un classicismo che cerca di liberarsi dalla sua costrizione marmorea, quasi fosse un Prigione michelangiolesco. Memorabili a tal proposito le ultime due scene del primo atto. L'"atrio magnifico alquanto oscuro" segnato come ambientazione nel libretto emergeva effettivamente dalla partitura ben più che dalla scena. In poche battute si è sintetizzata sia la grandezza che l'oscurità ambigua che pervade l'ambiente descritto dal libretto. L'oscurità si è poi dipanata durante la scena dell'agnizione fino a un "D'Elisio in sen m'attendi" dolce e malinconico, assolutamente vivo, in cui orchestra e interpreti respiravano all'unisono.
Minkowski non ha ovviamente tralasciato la massima cura nei recitativi accompagnati, parte fondamentale di quest'opera, in cui risaltano i veri sentimenti e soprattutto le angosce dei personaggi, quasi preludio del verbo mozartiano degli anni a venire. A tal proposito il recitativo più spiazzante è stato il "In un istante, o core" di Giunia, che dovrebbe fare da preludio all'aria

"Parto, m'affretto", qui tagliata come da tradizione. Minkowski condensa in quella manciata di minuti tutte le angosce e i timori di Giunia, dandogli vita, anche in momenti di ansia quasi nevrotica. Mai tale momento era apparso così vero.
Una tale direzione che sprizza vitalità da ogni nota è stata visivamente supportata dalla regia di Pynkoski, fondatore della compagnia canadese Opera Atelier insieme a Jeanette Lajeunesse Zingg, qui coreografa dei balletti. Pynkoski, principalmente un ballerino, e profondamente interessato agli stilemi registici del XVII e XVIII secolo, ha ideato una regia che vuole riprendere l'idea di spettacolo del Settecento e riproporla ai giorni nostri. Dunque in una scenografia che rimanda ai paesaggisti per eccellenza, Poussin e Lorraine, gli interpreti si muovono in quella che è più una coreografia che una regia. Infatti i personaggi rimangono poco approfonditi, più che altro stilizzati. La loro idea diventa subordinata al linguaggio esecutivo della regia e non è inusuale che cantino buona parte delle arie percorrendo il palco diagonalmente o fermi, a sedere di fronte al direttore, quasi ad affrontare il pubblico con trilli e colorature. Se all'inizio una tale visione sbaraglia o può risultare noiosa, col passare della recita acquista quantomeno un suo fascino. Per fortuna che là dove non può la regia, può la direzione d'orchestra a cui spetta il compito di incendiare arie e recitativi, e che sicuramente in questo modo emerge in tutta la sua potenza.
Forse una visione del genere poteva funzionare con i primi interpreti principali dell'allestimento, che erano Villazon come Silla e la Peretyatko come Giunia. Villazon era stato annunciato come interprete del dittatore anche a Milano ma la sua rinuncia ha fatto avanzare in tutte le recite Kresimir Spicer, tenore che ha già collaborato con Pynkoski. Spicer canta bene, ha ottime potenzialità, ed è comunque un Lucio Silla migliore di quelli che compaiono nella discografia, ma gli

manca quel quid per fare il salto ulteriore. Il suo problema, anche se non propriamente suo, è che si aggira in una cornice non pensata per lui. Spicer ha l'aria troppo buona, un viso che comunica troppa bonarietà e ben poche frustrazioni. L'attuale Villazon, pur con tutti i suoi problemi, avrebbe sicuramente reso meglio una caratterizzazione così nevrotica del personaggio, oltre a possedere un'aura di divismo che non sarebbe guastata.
La Peretyatko invece è stata sostituita da Lenneke Ruiten, scelta perfettamente Minkowskiana dato che il direttore l'aveva già presa per interpretare la parte di Ophélie nell'Hamlet di Bruxelles. Anche se all'inizio appare in difficoltà, recupera presto la situazione sia interpretativa che vocale nel duetto con Cecilio di fine primo atto e nell'aria "Ah se il crudel periglio", che si è rivelato forse il suo momento migliore. L'unica pecca che le si può contestare è ancora una certa acerbità vocale, ma in pochi anni potrebbe fare una splendida carriera.
Ancora un po' acerbe, ma assai promettenti si sono rivelate anche Marianne Crebassa e Giulia Semenzato. La prima è stata un ottimo Cecilio, niente di più da aggiungere; la seconda ha fatto emergere il personaggio più marginale di Celia dall'aria di comprimariato che le si potrebbe dare, risolvendo anche i passaggi più ardui con semplicità. Le sue arie sono state infatti alcuni dei momenti più belli dello spettacolo.
Fuori parte, è apparsa purtroppo Inga Kalna come Lucio Cinna.
A onor del vero bisogna dire che tutti gli interpreti sono partiti un po' in sordina, ma sono migliorati assai durante il corso della recita.
Tuttavia c'è anche qualche aspetto controverso nello spettacolo. Lucio Silla è un'opera effettivamente lunga e a tratti prolissa se eseguita nella sua integralità, quindi i tagli sono all'ordine del giorno. Esiste un'unica incisione integrale realizzata da Hager nel 1975, e poi solo versioni con tagli più o meno diversi: c'è chi taglia

alcune arie, come è documentato nel DVD di Salisburgo del 2006, e chi taglia interamente il personaggio di Aufidio, come è successo anche qui. Minkowski nel programma di sala dice di seguire la versione incisa da Harnoncourt nel 1990, omettendo quindi le parti drammaturgicamente non interessanti. Dunque un sacrificio per la teatralità.
Inoltre, per dare più consistenza e realtà drammaturgica al personaggio principale, si è deciso di aggiungergli un recitativo e conseguente aria ("Amor, gloria...se al generoso ardire" dalla versione dell'opera di Johann Christian Bach) prima del finale. La motivazione, oltre che drammaturgica, è anche in qualche modo "filologica": secondo Minkowski, Mozart, amico di Johann Christian Bach, che ha anch'egli musicato Lucio Silla su libretto di Gamera, avrebbe potuto benissimo comporre quell'aria se non avesse avuto problemi con l'interprete del dittatore. Teatralmente, ma anche musicalmente, è un momento di grande effetto, con l'interprete di Silla che va a cantare accanto al direttore, come se tutto fosse un enorme monologo di pensieri entro la sua testa. Tuttavia si può pensare a quanto sia lecito effettuare un'operazione del genere per quanto valida sul piano teatrale. Allora è giusto fare tagli per poi aggiungere un'aria che forse Mozart avrebbe composto se avesse avuto il giusto interprete? Meglio salvare l'integrità musicale o dare più consistenza al teatro pur tra tagli e aggiunte spurie?

Filippo Antichi - Reysfilip

Categoria: Backstage

 

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