Domenica, 06 Ottobre 2024

Backstage: Aida all´Accademia Nazionale di Santa Cecilia - di Beckmesser

Aggiunto il 02 Marzo, 2015

L’Aida di Santa Cecilia si presentava senza dubbio come l’ evento clou del (peraltro miserello) panorama operistico italiano del 2015, e non ha deluso le aspettative. Merito in primo luogo di Pappano: di solito è direttore che convince ma non stupisce; stavolta no: un’Aida uguale a nessun’altra mai sentita prima. Si legge spesso di direttori che discutono del carattere intimistico di questa partitura, della necessità di alleggerire le sonorità, di tralasciare la cornice e concentrarsi sui protagonisti. Di solito sono solo chiacchiere: con Pappano invece Aida è veramente diventata l’opera di individualità sfumate e sconfitte in partenza, schiacciate da un fatalismo senza speranza e senza orizzonte. Evidente punto di partenza è la seconda Aida di Karajan, ma per molti aspetti Pappano va persino oltre, e persino il bataclan che chiude il secondo atto, pur nell’inevitabile generosità di decibel, suonava sfumato, intimidente; la marcia trionfale con le terzine legate (come scritto da Verdi) e non scandite alla bersagliera; le danze (momento veramente magico) completamente ripensate, non più un simpatico divertissement orientaleggiante ma ricondotte anch’esse ad una sorta di rito lontano e atemporale. Certi momenti, complice un’orchestra in stato di grazia, sono stati mozzafiato: cito solo l’accompagnamento al “Padre a costoro schiava non sono” di Aida, dove era sbalorditivo sentire un suono dei violoncelli così rarefatto ed intenso al tempo stesso. L’unico, inevitabile, scotto da pagare ad una lettura di questo tipo è il rischio di una generale uniformità di tinte: rischio non del tutto evitato (alcuni momenti passavano in secondo piano) ma, ancora una volta, la strepitosa bravura dell’orchestra rimediava senza problemi.

Del cast, il solo Kaufmann si poneva al livello del direttore, anzi persino oltre: ancora una volta, potremo stare a discutere per giorni del suo tipo di emissione, se conviene oppure no ad un autore come Verdi, e altre amenità del

genere. La realtà è che ancora una volta il personaggio, in questo caso Radames, esce completamente ripensato: non un guerriero, né tantomeno il solito cretino abbindolato da tutti quelli che lo circondano, ma un uomo innamorato e sconfitto prima ancora che l’opera inizi, schiacciato dall’impossibilità dell’amore che si è scelto. Serata aperta da un “Celeste Aida” incredibile, con una sezione centrale sussurrata e sognante come dovrebbe essere (e con arcate di fiato che nemmeno Bergonzi aveva osato); e chiusa dalla più bella scena finale che abbia mai sentito: dal colore terragno e come spento del recitativo con cui la scena inizia, al caleidoscopio di grigi messi in campo ad ogni ripetizione della melodia del duetto finale.

La Harteros gli è decisamente inferiore. L’idea sarebbe anche giusta: provare una strada alternativa alle solite Aidone ricche di vibrato e sensualità posticcia, puntando piuttosto a quel senso di nostalgia metafisica che, in pagine come l’aria del terz’atto, un’emissione meno vocalistica dovrebbe naturalmente sprigionare. Ma la Harteros è decisamente troppo debole in basso e troppo fissa in alto per venire a capo di certe pagine e, malgrado l’evidente impegno, la sua è più una miniera di buone intenzioni più che un personaggio compiuto.

Tézier è bravissimo per quel che non fa: non urla, non fa il pazzo, non cade insomma nel solito Amonasro selvaggio e vociferante che si sente di solito. Ma è tutto: il personaggio fugge via senza lasciare traccia.

Bravo Schrott (e sono sorpreso): Ramfis guadagna in sottigliezza se si evitano le trombonate dei bassi profondi e cavernosi.

Buco nero della serata, l’Amneris della Semenchuk: che, per due terzi della parte, si sentiva appena e, per il terzo rimanente, non si sentiva affatto, col che la grande scena del giudizio è diventata un curioso brano sinfonico per orchestra e coro di bassi.

In definitiva, una grande serata,assolutamente da sentire per Pappano e, soprattutto, Kaufmann. Sicuramente nell’incisione anche le piccole sbavature sentite dal vivo andranno a posto e ne uscirà un’edizione uguale a nessun’altra: che, in fin dei conti, è l’unica ragione valida per farla…

Beckmesser

Categoria: Backstage

 

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