Editoriale: L'opera come show business: la Venezia di Pier Francesco Cavalli - di Giuseppe Culcasi
Aggiunto il 11 Dicembre, 2015
Esistono buoni motivi per ritenere che il XXI secolo sarà quello dell’affermazione definitiva di Pier Francesco Cavalli (1602-1676) e del suo riconoscimento come uno dei più grandi operisti di sempre. Per quanto ancora quasi sconosciuto in patria, Cavalli di anno in anno compare sempre più nella programmazione dei teatri lirici europei e non, Francia in testa. Di stagione in stagione si susseguono splendide produzioni di sue opere: la straordinaria Elena diretta da Garcia Alarcon è stata nel 2013 il vero e proprio fenomeno operistico nella vicina Francia, dove ha esordito nel Festival di Aix-en-Provence per poi essere eseguita in ben 8 teatri. Adesso sta girando una lussuosa produzione dello Xerse (il cui libretto fu poi riadattato per il Serse di Handel) diretta da Emmanuelle Haim: in ottobre a Lille, in novembre a Vienna, e prossima tappa Caen in gennaio. Si prepara a Parigi per il prossimo anno un attesissimo Eliogabalo ancora con Garcia Alarcon. Il "Venetian Center for Baroque Music", sotto le cure - guarda caso - del francese Oliver Lexa si ripromette di promuovere la messa in scena nei prossimi anni di tutte le opere di Cavalli, ed è a cura di tale Centro che a Venezia è stata messa in scena l’Eritrea nel corso del 2014 con la direzione di Stefano Montanari. Inoltre, se agli inizi del millennio l’operismo di Cavalli era ridotto ai margini della discografia, nel corso degli ultimi 15 anni molte opere sono state registrate in audio ed in video, consentendone le fruizione a chiunque voglia accostarsi. Si tratta di una renaissance tardiva, ma meritatissima, che ricorda da vicino quanto accaduto negli ultimi anni dello scorso millennio con le opere di Handel.
Per comprendere Cavalli e la sua produzione, abbiamo l’obbligo di iniziare dal contesto storico, nel caso specifico decisivo. Esiste una data fondamentale nella storia dell'opera lirica: il 1637. E' l'anno dell'apertura del primo teatro d'opera a pagamento in Venezia. L'opera, che prima di
allora era stato un fenomeno riservato alle feste di corte, diviene un fenomeno impresariale: nasce con tale evento quello che oggi chiamiamo lo "show business". Infatti, nel giro di pochi anni l’opera a Venezia (e poi nell’Italia tutta) finirà per occupare quello spazio ricreativo e culturale che al giorno d’oggi è occupato dal cinema. Non è solo un mutamento socio/economico: è soprattutto una rivoluzione stilistica, sia poetica che musicale. L’opera di corte (pensiamo all’Orfeo di Monteverdi, il vertice della categoria) era aulica, legata più alla poesia pastorale che al teatro in senso stretto; i personaggi non interagivano, dialogavano solo raramente e per lo più narravano: basti pensare alla morte di Euridice nell’Orfeo, che non è “messa in scena”, ma soltanto raccontata. Il teatro impresariale scompiglia le carte sul tavolo: il committente non è più il mecenate, ma è il pubblico, e l’opera deve venire incontro alle esigenze dell’epoca, divenire in una parola “moderna”. Dalla poesia aulica si passa così al teatro in senso stretto: le trame divengono più ricche ed intricate, con l’elemento comico che si interseca inestricabilmente all’elemento tragico, i personaggi interagiscono, dialogano, litigano, si amano e disamano, muoiono in scena… e soprattutto “cantano”. In altre parole: se l’atmosfera aulica delle corti prediligeva il recitar cantando, disdegnando il canto strofico in quanto “volgare”, il pubblico al contrario inizia a richiedere le arie strofiche, più “orecchiabili”. Il cambiamento è talmente drammatico che Lorenzo Bianconi, nel suo libro sul Seicento musicale, scrive più o meno che una qualsiasi opera impresariale del ‘600 è più lontana dall’Orfeo di Monteverdi di quanto non lo sia da un’opera ottocentesca.
L’opera impresariale veneziana avrà un protagonista assoluto ed indiscusso: Pier Francesco Cavalli. Nato a Crema nel 1602 con il nome di Pier Francesco Caletti Bruni, figlio di Giovan Battista Caletti, maestro di cappella del locale Duomo,
viene notato per il suo talento musicale e condotto nel 1616 a Venezia dal nobile Federico Cavalli, al termine della sua missione come governatore di Crema per conto della Repubblica Veneziana. Fu un gesto di riconoscenza nei confronti del nobile veneziano la scelta del giovane Pier Francesco di mutare il proprio nome in Cavalli. Il giovanotto venuto dalla lontana provincia farà molta strada: nel 1630 raggiungerà la tranquillità economica, in seguito alle nozze con la ricca vedova Maria Sozomeno, ma sarà a partire dal 1639, anno dell’esecuzione e messa in scena della sua prima opera, Le nozze di Teti e Peleo, che la carriera di Cavalli prenderà il volo. Nel giro di pochi anni sarà il compositore più pagato della Serenissima, i suoi melodrammi percorreranno l’Italia in lungo e in largo, varcandone in qualche occasione i confini, e nel 1659, in occasione delle nozze di Luigi XIV, sarà Cavalli ad essere invitato a Parigi per comporre un’opera per l’occasione, lo sfortunato seppur bellissimo Ercole Amante. Sarà una sua opera, il Giasone, a costituire il maggior successo dell’epoca che definiamo “barocca”. Dopo 17 rappresentazioni a Venezia nel 1649, il Giasone sarà rappresentato fino al 1690 (un record ineguagliato fino al XIX secolo) a Firenze, Milano, Lucca, Bologna, Napoli, Piacenza, Livorno, Brescia, Perugia, Velletri, Ferrara, Viterbo, Genova, Ancona, Reggio Emilia, Roma, Palermo. Del Giasone infatti possediamo non soltanto il manoscritto dell’Autore, come gran parte delle opere di Cavalli, ma addirittura una dozzina di copie. Forse non è un azzardo asserire che, se il melodramma fu uno dei fattori unificanti dell’Italia ancora divisa, fu proprio il Giasone il primo a rivestire tale funzione.
Ma, al di là delle note biografiche, quello che a noi interessa davvero è la personalità artistica di Cavalli. Purtroppo, la debole musicologia del nostro Paese ha dedicato pochissimi studi al Nostro, che in Italia viene generalmente liquidato come una sorta di
continuatore ed allievo di Monteverdi, senza che si siano approfonditi adeguatamente i contenuti musicali e drammaturgici delle sue opere. Eppure proprio in Cavalli troveremo, per la prima volta nella storia allo stato maturo ed artisticamente compiuto, quasi tutti i topòi e le convenzioni teatrali che caratterizzeranno il teatro d’opera nei secoli a venire. Opera dopo opera, il recitativo si libererà delle eredità madrigalistiche del recitar cantando per trasformarsi nell’ossatura drammaturgica del melodramma, e le arie diverranno sempre più nette, più compiute, più elaborate, più psicologicamente pertinenti. Nella Didone troviamo la prima scena di pazzia davvero potente del teatro musicale (quella di Iarba rifiutato da Didone); nel Giasone troviamo la prima grande scena di magia (la “stanza degli incanti di Medea”) che sarà imitata decine di volte e che costituirà il calco di tutte le scene di magia successive; nell’Ercole Amante persino grandi arie e duetti con il da-capo (consuetudine, questa, che si affermerà solo una quarantina d’anni dopo); in quasi tutte le sue opere ci imbattiamo in quelle arie-lamento strofiche su tetracordo discendente, nelle quali Cavalli eccelse in grado sommo e che ritroveremo in Purcell e la cui ossatura armonica costituirà la pulsazione segreta dell’ultimo capolavoro drammatico di Handel: Theodora. Per comprenderci meglio: proprio come Handel e Mozart, Cavalli non inventa alcunché, ma sviluppa al massimo grado quelle che erano le potenzialità musicali e drammaturgiche del teatro dell’epoca, e lo fa grazie ad un talento melodico e ad una capacità di penetrazione psicologica che lo pongono nello stesso territorio dei grandi di ogni tempo nell’ambito del teatro lirico.
Ma veniamo alle esecuzioni di opere di Cavalli ed alle conseguenti registrazioni, utilissime per chi voglia approcciarsi al teatro musicale del Nostro… e lo facciamo iniziando da una chicca storica. Lo sapevate che la prima opera di Cavalli messa in scena in
forma integrale in epoca moderna fu la Didone? Correva l’anno 1952, ed il direttore era niente di meno che Carlo Maria Giulini. Seguì, nell’anno 1961, un Ercole Amante alla Fenice di Venezia, diretto da Ettore Gracis.
Ma si tratta di “preistoria”: il primo direttore a mettere in scena con una certa frequenza le opere di Cavalli fu Raymond Leppard, che tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80 diede vita alla Calisto, all’Ormindo e all’Egisto, iniziando nel 1967 a Glyndebourne con quest’ultimo, poi registrato su vinile e ristampato in CD. Ma si tratta di “arrangiamenti” più che di esecuzioni fedeli: Leppard, che era anche compositore di colonne sonore, trascrisse le opere per grande orchestra sinfonica, rispettandone poco lo spirito intimo e raccolto. Tuttavia, per strano che possa apparire, i suoi risultati sono suggestivi e – fatta la tara sulla questione stilistica – finiscono per essere appetibili ancora al giorno d’oggi. Storica è la sua incisione per la Decca, ancora reperibile in CD, della Calisto con Janet Baker, Ileana Cotrubas e James Bowman, e molto interessante è un DVD in stereo registrato nel 1982 a Glasgow, reperibile nei siti bootleg, con l’Egisto, in cui spiccano Della Jones ed ancora James Bowman. Lo stile “leppardiano” lo ritroviamo nel nuovo millennio in Alberto Zedda, che ha inciso nel 2004 per la Naxos Gli amori di Apollo e Dafne con grande orchestra.
Sempre nell’ambito della produzione pre-filologica, segnalo di sfuggita l’Ercole Amante pubblicato dalla Erato nel 1980 con la direzione di Michel Corboz. Nulla di eccezionale e poca giustizia per la grande bellezza dell’opera, eseguita con un notevole grado di pesantezza.
Poi venne Renè Jacobs, che incise nell’ordine, per la Harmonia Mundi France, Xerse, Giasone e la Calisto (quest’ultima anche in DVD). All’epoca (tra il 1985 e il 1996) la sua apparve come una rivoluzione, ma l’uso di un’orchestra sovradimensionata e di tanti apporti estranei, come l’uso diinterludi strumentali di altri autori o l’inserimento di arie da altre opere, ce lo fanno ormai apparire come più vicino a Leppard che ai nuovi direttori. Si tratta comunque di bellissime registrazioni, in cui Jacobs fa letteralmente miracoli, se si pensa che siamo di fronte ad esecuzioni pionieristiche. Oltre al DVD della Calisto registrato nel 1996, che è ancora godibilissimo e che costituisce – anche in virtù della bellissima regia – un documento storico imperdibile, è essenziale il suo Giasone del 1988, recentemente ristampato, con Gloria Banditelli in stato di assoluta grazia nel ruolo di Medea. In teatro Jacobs ha anche eseguito, nel 2004 a Bruxelles, un acclamato Eliogabalo, mai pubblicato in DVD anche ne esistono le riprese filmate, dato che la Harmonia Mundi France ne aveva promesso la pubblicazione… progetto poi misteriosamente abortito. Ne esiste un bootleg in solo audio, ma mi sembra che – rispetto a quanto ottenuto più recentemente da altri direttori – il risultato mostri un po’ la corda, anche a causa di una certa carenza di eleganza e sensualità, che stanno diventando, un po’ alla volta, le caratteristiche più richieste nelle esecuzioni cavalliane del nuovo millennio.
Nel primo decennio del 2000 iniziarono finalmente a susseguirsi le incisioni filologiche di opere di Cavalli, segnando finalmente un primo passo verso la sua definitiva renaissance.
Iniziò il nostro Antonio Florio con i suoi Turchini, incidendo nel 2003 per la Opus 111 una bellissima Statira con cantanti tutti italiani, tra cui Roberta Invernizzi e Maria Grazia Schiavo. L’opera, di rara bellezza, contiene alcune tra le arie-lamento più belle di Cavalli ed è eseguita in maniera rigorosa e nel rispetto della più vera cantabilità italiana. A confronto di Renè Jacobs, sicuramente c’è meno fantasia e meno animazione, ma la strada è quella giusta. Un vero peccato che tale incisione sia fuori catalogo: la consiglio caldamente a chi abbia la fortuna di reperirla nell’usato.
Poi fu la volta, nel 2006, di Eliogabalo. Mentre ci aspettavamo il DVD di Renè Jacobs ripreso a Bruxelles, uscì per la Ducale un CD live registrato a Crema alla fine degli anni ’90, con la direzione di Antonio Solci. L’assenza di fantasia e di senso drammatico, i cantanti quasi tutti mediocri, la registrazione non eccezionale… tutti elementi che non rendono giustizia a questo grande capolavoro dell’ultimo Cavalli, che attende ancora adesso un’edizione discografica o in video degna della sua altezza.
Sempre nel 2006 uscì un nuovo Ormindo in CD, il terzo dopo l’incisione storica di Leppard e quella altrettanto vetusta di Renato Fasano (quest’ultima basata sull’arrangiamento dello stesso Leppard). Stavolta a dirigere era il francese Jerome Correas per la Pan Records: filologia e rigore di certo, ma cantanti tutti francesi e poco avvezzi alle sfumature della lingua italiana, con conseguente monotonia dovuta anche ai lunghi recitativi ed ai pochi brani veramente cantabili. Bisogna dire che Ormindo non è un capolavoro; presenta, è vero, una pagina eccezionale, quella finale del finto avvelenamento con l’addio reciproco tra i due amanti convinti di vivere l’ultimo istante della loro esistenza, ma il resto non è certo tra le vette cavalliane. In ragione di ciò questo doppio CD, recentemente ristampato, merita l’acquisto soltanto se si conoscono già le altre opere di Cavalli e si desidera un approfondimento.
Nel 2007 fu la volta di un nuovo DVD edito dalla Dynamic anche in CD, la Didone diretta da Fabio Biondi, uno spettacolo che fu eseguito a Venezia, Milano e Torino. Finalmente la Didone, dopo la mediocrissima incisione in CD di Thomas Hengelbrock del 1997, aveva – almeno all’apparenza – una versione di riferimento. Ma bisogna dire che Fabio Biondi, nell’occasione, fallisce la prova nonostante i mezzi a disposizione (ottimi cantanti ed orchestra filologica). Il fraseggio di Biondi è monotono, molto spesso alcuni versi scivolano dal cantato ad un bruttoparlato per motivi imperscrutabili e l’esecuzione finisce per naufragare nella noia.
Con Fabio Biondi al comando della sua Europa Galante, uscirà poi, nel 2011, un nuovo DVD per la Naxos: La Virtù de’ strali d’Amore, piccolo capolavoro giovanile ricchissimo di belle pagine anticipatrici. Nonostante la regia poco attraente, si tratta di un buon documento. Biondi non è affine al mondo di Cavalli, lo si era compreso con la Didone, ma stavolta è alle prese con una commedia leggera e non ha quindi la sfortuna di incappare nell’universo tragico e complesso della Didone, per cui le cose vanno un po’ meglio, anche se permane il vizio incomprensibile di trasformare di tanto in tanto il cantato in parlato.
Nel 2008 fu poi la volta de Gli amori di Apollo e Dafne, pubblicato in CD dalla K.617 con la direzione di Gabriel Garrido. Come sempre nelle sue incisioni secentesche, Garrido immerge il canto in un mare vellutato di strumenti a pizzico elegantemente suonati, per cui quest’opera (giovanile ma molto bella) finisce per risplendere di un’aura luminosa piacevolissima. Ma Garrido cade laddove la piacevolezza deve cedere il passo all’espressività, per cui pagine intensissime come il Lamento di Procri finiscono per apparire emotivamente inerti, seppur benissimo eseguite.
Eccezionale fu la pubblicazione, nel 2010, dell’Ercole Amante in DVD Opus Arte, con la direzione di Ivor Bolton, un documento registrato ad Amsterdam con l’eccellente orchestra Concerto Koln, che ci mostra un Cavalli diverso dal solito, eseguito con una certa dose di urticante ruvidità. La regia di David Alden è sarcastica e visionaria, alcuni cantanti (soprattutto gli italiani Luca Pisaroni ed Anna Bonitatibus) offrono prestazioni di altissimo livello e l’opera – un autentico capolavoro visionario che anticipa Purcell, la tragedie lirique francese ed addirittura l’opera riformata di Gluck – riceve finalmente quella giustizia che attendeva da più di tre secoli.
Nel 2011 fu volta diArtemisia, una registrazione in CD della Glossa con la direzione di Claudio Cavina. L’opera, anche se soffre per la presenza di un libretto di scarso valore drammaturgico, è ricchissima di splendide arie, e la direzione di Cavina, idiomatica e ben centrata, ne coglie in pieno la bellezza anche se è un po’ carente di sensualità.
Dello stesso anno è la Rosinda diretta da Mike Fentross, un CD dal vivo della Ludi Musici con ottimi cantanti. Inizia in maniera entusiasmante dal punto di vista del fraseggio e delle scelte, ma poi si perde per strada diventando monotona. Un'occasione tutto sommato perduta, per un’opera che in questo caso appare minore, ma che potrebbe rivelarsi splendida se adeguatamente eseguita.
Nel 2012 ci fu un’ulteriore importantissima uscita (sia in CD che in DVD per la Dynamic) del notissimo capolavoro Giasone. La direzione viva e drammaturgicamente efficace di Federico Maria Sardelli, unitamente alla buona scelta dei cantanti ed alla regia fantasiosa, rende questo Giasone, seppur non definitivo, ottimo in ogni caso. Purtroppo Sardelli neutralizza l’impatto sensuale ed emotivo della prima aria di Giasone (“Delizie, contenti…”) con una direzione inerte dal punto di vista del fraseggio, ma l’errore veramente grave è il taglio quasi totale della prima aria-lamento di Isifile, musicalmente fondamentale. Ciò non toglie che si tratti di un documento imperdibile, l’unico in video dell’opera di maggior successo dell’età barocca.
Quasi contemporaneamente al Giasone di Sardelli, il 2012 vede l’uscita da parte della Opus Arte di una nuova Didone in DVD, stavolta con l’accuratissima direzione di William Christie. Si tratta di un’esecuzione eccezionale, nella quale Christie coglie in pieno l’aspetto tragico dell’opera (forse la più tragica di tutto il teatro veneziano del ‘600), ed offre un’esecuzione viva, vibratile, ricca di sfumature. Notevolissima è la prova di Anna Bonitatibus nella parte di Didone, in una prestazione veramente regale,che da sola varrebbe l’acquisto. Anche in questo caso, si tratta di un DVD da non perdere, anche se purtroppo mancano i sottotitoli in italiano.
Infine, il 2014 è stato l’anno della pubblicazione di Elena in DVD da parte della Ricercar, con la direzione di Leonardo Garcia Alarcon. L’opera, inspiegabilmente mai eseguita prima d’allora in epoca moderna, si rivela un capolavoro assoluto, ricchissima di brani cantabili e concertati, e la direzione del giovane direttore argentino è quella che da sempre attendevamo nelle opere di Cavalli: senso della misura, fantasia nella realizzazione del continuo e una continua sottolineatura degli aspetti sensuali e cantabili della partitura, fino ad arrivare ad autentiche pause estatiche nei duetti d’amore, distillati con sensualissima lentezza. Non ci sono i sottotitoli in italiano, ma tale e tanta e la cura del rapporto con la lingua italiana (pur in presenza di cantanti tutti stranieri) da rendere comprensibile ogni sillaba. Elena, ultima opera composta da Cavalli nel 1658 prima della sua partenza per Parigi, è il vero e proprio testamento dell’opera veneziana ludico-erotica, con i suoi equivoci sessuali, i travestimenti ed i colpi di scena sentimentali. Quando Cavalli tornerà da Parigi quattro anni dopo, il clima artistico di Venezia sarà irreversibilmente mutato: in luogo degli intrecci sentimentali, la moda richiederà argomenti eroici e guerreschi. Cavalli si adeguerà, ma il suo testamento artistico (quell’Eliogabalo che ancora attende una registrazione ufficiale che gli dia giustizia) costituirà un ritorno agli antichi argomenti.
Un’occasione per ripercorrere idealmente la carriera di Cavalli attraverso le sue opere è costituita dal doppio CD+libro Heroines of the Venetian Baroque, a cura della casa discografica Ricercar e sempre con la direzione del giovane e bravissimo argentino Leonardo Garcia Alarcon. Si tratta di un tributo che finora la discografia non aveva mai dedicato ad alcun compositore d’opera, ossiaun’antologia comprendente almeno un brano di tutte le 27 opere di Cavalli ad oggi pervenute, in senso cronologico e con un intento che esula dallo spirito “greatest hits” per offrire invece una panoramica la più esaustiva possibile di tutte le forme impiegate dal Nostro nella messa in musica dei libretti, ossia: lamenti, prologhi, interludi strumentali, recitativi, arie sensuali, arie comiche, dialoghi amorosi, scene d’incanto etc….
E’ un viaggio la cui bellezza è addirittura inebriante, non solo a cagione della musica sempre straordinaria di Cavalli, ma anche e soprattutto per la direzione di Garcia Alarcon, il cui basso continuo vario e fantasioso riesce ad offrire una ricchezza ed una varietà emozionale che nessun altro direttore che finora abbia affrontato Cavalli è riuscito finora a conseguire. Qualcuno ha paragonato Garcia Alarcon al suo conterraneo Garrido, ma – a parte la nazionalità comune e l’uso sempre in primo piano degli strumenti a corda – ben poco li unisce: Garrido, il cui suono è pur sempre di cristallina bellezza, non si avvicina neppure lontanamente alla comunicativa ed all’empatia offerta dal fraseggio caldo e cantabile di Garcia Alarcon. Le voci che ci accompagnano nel viaggio sono quelle di due giovani cantanti: il soprano Mariana Flores ed il mezzosoprano Anna Reinhold, entrambe brave (la Flores bravissima) nella loro prestazione idiomatica quant’altre mai. Cavalli non richiede virtuosismo né si presta ai sacri dogmi della vociologia cellettiana: richiede piuttosto giusta articolazione, capacità di sottolineare il senso delle parole, comunicativa… tutte doti che la Flores possiede. In ragione del senso cronologico, il percorso che questa pubblicazione offre all’ascoltatore consente anche di rendersi conto dell’evoluzione artistica di Cavalli. Si noterà come il recitar cantando ancora “latente” nelle prime opere si trasformerà un po’ alla volta in un recitativo moderno, ricco di spunti cantabili, in cui scompariranno i madrigalismi perlasciar posto ad un rapporto strettissimo tra linea melodica e senso drammatico della frase. Si noterà altresì il progressivo ampliamento delle frasi melodiche e la trasformazione delle arie (all’inizio brevi e di carattere madrigalistico) in vere e proprie grandi arie barocche.
Nel libro allegato, il francese Olivier Lexa, che ha già scritto una biografia di Cavalli pubblicata da Actes Sud di Arles ed ha firmato a Venezia l’anno scorso la regia dell’opera cavalliana Eritrea, esprime chiaramente l’intenzione – in accordo con Garcia Alarcon – di promuovere nei prossimi anni la messa in scena, un po’ alla volta, di tutte le opere di Cavalli, molte delle quali – vorrei ricordarlo – non hanno mai visto la luce nell’epoca moderna. Questo doppio CD+libro, oltre ad essere bellissimo in sé, costituisce quindi un piccolo frammento di storia, in quanto costituisce l’atto fondativo di tale impresa.
GIUSEPPE CULCASI