Domenica, 01 Settembre 2024

Editoriale: Stradivarius chiude bottega - di Pietro Bagnoli

Aggiunto il 19 Febbraio, 2011

Lo dico brutalmente come l’hanno detto a me: Stradivarius chiude.
Questa è una notizia che riguarda essenzialmente i milanesi per i quali questo negozio, che esiste da circa 30 anni, è sempre stato un riferimento.
Io me lo ricordo sin da quando ero ragazzino: quando ancora non era in via Caretta come oggi, ma stava in via Stradivari, una lunga e ampia via che piomba a perpendicolo in piazza Loreto, e aveva due piani. In quello superiore c’era la roba commerciale di pronto consumo, ma poi, a richiesta (“m’hanno detto che avete quel tal disco…”), c’era quello inferiore, umido di muffa e pieno di scaffali misteriosi che nascondevano dischi meravigliosi, dalle etichette strane che non erano le solite gialle tedesche o i cagnolini con l’orecchio attaccato alla tromba del grammofono. Ricordo l’emozione di scorrere i titoli meravigliosi che, già all’epoca, facevano parte del mio mondo di melomane in formazione; e ricordo la sorpresa di scoprire che i vinili neri potevano avere etichette diverse da quelle cui ero abituato, ma soprattutto interpreti misteriosi di cui all’epoca nemmeno sospettavo l’esistenza.
Presiedeva il rito iniziatico allora come adesso il signor Giorgio Sgorbati, per tutti Giorgio: di costituzione robusta, capelli scarmigliati, occhiali rotondi, barba e baffi da intellettuale di sinistra post-sessantotto Guccini style. Giorgio, cultura enciclopedica in qualunque genere musicale, dai madrigali all’heavy metal, passando attraverso l’opera lirica e Vasco Rossi.
Giorgio, serio e preciso, sapeva tirar fuori dallo scaffale non il disco che volevi, quello che eri andato a cercare – quello tuttora non ce l’ha quasi mai – ma quello che in realtà desideravi veramente in cuor tuo anche se non te n’eri ancora reso conto a livello cosciente.
Giorgio infatti si è sempre fatto carico della corretta gestione dei gusti del cliente abituale, sconsigliando prodotti che avrebbero potuto deluderlo e preferendo indirizzarlo verso iltitolo inizialmente trascurato ed estratto dalla pila quasi con nonchalance, ancora incellophanato, che ti cadeva fra le mani come qualcosa di infinitamente ambibile, l’oggetto che desideravi più di ogni altro al mondo.
Giorgio – che, per inciso, non ha mai fatto una lira di sconto a nessuno – non è il proprietario del negozio, ma Stradivarius non esisterebbe e non sarebbe quello che è stato sinora se non ci fosse stato lui a caratterizzarne così profondamente l’essenza. È uno di quei posti come Bongiovanni a Bologna, o Papageno a Parigi in cui è possibile essere accolti come se si facesse parte di una comunità di gente che non vuole né cerca il prodotto commerciale che hanno tutti, ma quello che ti distingue, che ti fa fare bella figura con gli amici e che ti dà l’idea di aver quasi sfidato le Leggi per potertelo assicurare. Negli Anni Settanta-Ottanta, quelli di quando il brand Stradivarius significava soprattutto lo scantinato di via Stradivari, uscivi dal negozio nascondendo i vinili perché avevi l’idea di aver acquistato dei bootleg e, anche se oggi sappiamo che non era quasi mai così, anche questa piccola emozione è stato un pezzo della nostra gioventù.
Oggi, in questi giorni in cui di tutto ho voglia fuorché di musica, ho buttato il naso dentro a quel negozio dove si serviva anche Giorgio Gaber, e il commesso replicante di Guccini mi ha detto senza troppi giri di parole che a marzo si chiude. Be’, certo, rimane pur sempre la casa discografica che si è assemblata intorno al marchio e ho anche un indirizzo mail cui forse il buon Giorgio risponderà, ma non sarà la stessa cosa.
Perché Stradivarius chiude? Semplice: è stato sconfitto dagli mp3, dai circuiti peer to peer, da Amazon e da iTunes. È il progresso che avanza, va bene, è naturale, ma nessun ragazzo di oggi potrà provare più l’emozione di quelli della mia età che scendevano lungo una scala a chiocciola ripida in un locale umido e polveroso per trovare il disco di cui nemmenosospettavano l’esistenza, e tanto meglio se si sentivano un sacco di scricchiolii e di fischi, perché voleva dire che era ancora più raro, misterioso e prezioso.
Il tempo ha cambiato tutto: il ragazzo che ero è diventato un uomo di mezza età grasso e pelato; anche Giorgio si è stempiato e i capelli rimasti sono diventati grigi.
Oggi, quando mi ha annunciato l’imminente chiusura, era triste; e nonostante le dichiarazioni di “anch’io finalmente lavorerò dal lunedì al venerdì”. È vero: la tradizione di questo marchio glorioso rimarrà grazie al sito internet, ma non sarà più la stessa cosa, e anche lui lo sa bene. Finisce un pezzo di storia di Milano, come sempre capita allorquando chiude un negozio glorioso.
Ma, per noi appassionati di dischi d’opera, con Stradivarius finisce un modo di intendere la musica, quello cioè mediato dal negozio. È già da un po’ che tutti noi acquistiamo principalmente attraverso i canali internet, tanto precisi e affidabili ma anche tanto più impersonali. È possibile che su Amazon riusciremo a trovare tutto, dalle rarissime incisioni di Adelina Stehle sino all’ultimo DVD che documenta – spero prestissimo – i Meistersinger di Terfel con la regia di Jones; ma nessun negozio virtuale di internet ti proporrà mai quell’acquisto che, in cuor tuo, tu desideri veramente anche se non te l’eri ancora confessato. Forse con Stradivarius finisce proprio il concetto di disco; sarà per quello che oggi, credo per l’ultima volta, ne ho fatto incetta?...
E, come sempre, senza sconto
Pietro Bagnoli

Categoria: Editoriale

 

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