Requiem
Aggiunto il 04 Giugno, 2015
Al di là del packaging di rara bruttezza nel suo lugubre color nero, questa registrazione live del Requiem verdiano non è affatto così brutta come ce l’hanno raccontata. Anzi. Se dovessi indicare un frutto adeguato dell’impegno di Barenboim nel repertorio italiano, sceglierei proprio questo Requiem che riesce a essere di inquietante bellezza grazie all’impegno profuso da tutte le sue componenti.
Orchestra impegnatissima con un Barenboim molto più attento ed esigente di quanto lo abbia mai visto o sentito alla Scala in performances operistiche (con l’eccezione del repertorio wagneriano). E si sente: le trombe di “Tuba mirum” suonano come probabilmente non le abbiamo mai sentite durante il periodo in cui il direttore argentino-israeliano ha retto il podio del teatro milanese. L’idea che Barenboim guardi solo all’esteriorità dei momenti più bombastici della partitura è spazzata via dal rilievo attento e preciso che dà a tutti i pianissimo con relativi segni di espressione, a cominciare dal “Requiem aeternam” iniziale, ma per proseguire col “Lacrymosa” – pensoso e contemplativo, senza essere lagnoso – e con un “Offertorium” in cui i cantanti si inseguono in un dialogo sommesso.
Dicevamo della prova dell’orchestra, davvero eccitante e con le stigmate di una predestinazione alla perfezione formale in questa partitura sin dalle più antiche prove testimoniate su disco (vedi, per esempio, De Sabata), come se esistesse una specie di feeling segreto che si trasmette attraverso le generazioni degli strumentisti, indipendentemente dai direttori.
Parimenti, il coro di Bruno Casoni è impegnatissimo ma, come per l’orchestra, esiste evidentemente una specie di eredità sotterranea che fa sì che questa partitura, nelle mani di questo coro, diventi qualcosa di palpitante, con una naturalezza che lascia sconcertati. Questo coro ha un “respiro” potente, ed è qualcosa che si percepisce sempre in tutte le registrazioni che provengono dalla Scala; il fatto che Barenboim sia riuscito – d’intesa, ovviamente, con Casoni – a mantenerlo vivo e palpitante, è la migliore conferma della bontà del lavoro fatto con questo splendido Requiem.
Kaufmann è strepitoso. Avevamo pensato che un ruolo come questo non fosse la tazza da tè per un declamatore come lui, ma l’Ingemisco è un’esperienza incredibile, con il suo sapiente utilizzo di pianissimi come probabilmente nessun altro rima né dopo. Tale abilità suprema, sua e di nessun altro, è esplicitata anche in “Hostias” – uno dei momenti complessivamente più alti di questa splendida registrazione – in cui il pianissimo trova un’espansione di estasi assoluta; e, tra l’altro, Barenboim si bea nell’accompagnarlo con un suono ricamato come una trapunta: non pesta solo e sempre con la grancassa. Risuona nel cnto di Kaufmann anche la sua esperienza di liederista, fra i massimi non solo del nostro tempo; comunque la si rigiri è una prova miracolosa. Nessuno, oggi, è come Kaufmann; anche in parti apparentemente così lontane dal suo mondo espressivo.
Almeno allo stesso livello la favolosa Madame Garanča che si conferma cantante di rango assoluto in questo ruolo Waldmann, con una voce da assoluta protagonista, ricca di fremiti e di autorità, oltre che di attonito stupore di fronte al mistero della Morte raccontata da Verdi. Il suo attacco di Agnus dei con la Harteros è semplicemente meraviglioso.
Appena inferiore la prestazione di René Pape, comunque a suo agio sul tappeto sonoro di Barenboim.
Alla fine, la prova probabilmente più interlocutoria è quella di Anja Harteros, che non sembra avere completamente il passo per i ruoli Storz. Canta benissimo, è brava, convincente, ma sembra sempre che le manchi qualcosa per attingere la perfezione. Notevolissimo, come detto sopra, il suo duetto con il mezzosoprano, ma ho la sensazione che questa parte richieda una marcia in più, e che non basti giocare la sola carta della mestizia, esattamente come in Aida.
In conclusione, un Requiem inaspettatamente bello, guidato da un direttore ispirato e concentratissimo, con orchestra e coro idiomatici, che portano questa partitura nel genoma; e un quartetto di cantanti fuoriclasse.
Un’edizione di riferimento, se non assoluto, quanto meno attuale
Pietro Bagnoli