Editoriale: Loris con la dentiera - di Pietro Bagnoli
Aggiunto il 15 Gennaio, 2011
Qualche tempo fa mi sono imbattuto in una registrazione audio di uno spettacolo di “Fedora” con un giovane Domingo. Be’, trattandosi di Domingo il termine “giovane” non può mai essere speso con sicurezza, ma penso che persino lui – fra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio dei Settanta – potesse essere considerato giovane. Bene: arrivato al celeberrimo “Amor ti vieta” tirò fuori talmente tante “domingate” che il pubblico ne fu conturbato, obbligandolo al bis, che fu concesso pur non venendo così magico come l’originale, ma insomma fu più che accettabile.
Intendiamoci: nulla che non avessimo già sentito in decine di altri interpreti storici. Sennonché quel magico cocktail di comunicativa, di musicalità, di suoni mesmerizzanti fu talmente adeguato da risultare perfetto, anche all’ascolto odierno.
Furbate? Sì, forse: dopotutto, se non hai gli acuti sfolgoranti e vuoi diventare un tenore, anzi: “IL” tenore, devi puntare decisamente in altre direzioni. Fatto si è che su furbate come queste Domingo ci ha costruito una carriera di tutto rispetto. E il Nostro non si è mai risparmiato nemmeno le palle: ci ha mentito ripetutamente, per tutta la sua vita artistica, convinto che gli avremmo perdonato qualunque cosa perché ce lo chiedeva lui.
Ma adesso il giochino è finito: le bugie hanno le gambe corte. Una delle ultime palle ce la raccontò in occasione della registrazione di “Tristan und Isolde” per la Emi, con la Stemme e Pappano: correva l’anno 2004 e tutti guardammo con tristezza a quei dischi perché El Tenòr ci aveva dato a intendere che sarebbe stata la sua ultima registrazione. Ci cascai anch’io, recensendoli; mi lasciai commuovere dal terzo atto (davvero bello, pur se faticoso), convinto di trovarmi di fronte a un uomo che si guardava indietro facendo il consuntivo artistico della propria vita.
Che pirla che sono stato: ha fatto in tempo a farne non so quante altre. L’ultima, appena messa in commercio, risale in realtà a tre anni fa – al2008 – e trattasi appunto di “Fedora”, per la Deutsche Grammophon. So che la domanda sorge scontata: che ruolo fa? De Siriex? Boroff? Dimitri? Nossignori: Domingo riprende in mano la parte di protagonista maschile, con il risultato di farci percepire – per la prima volta – la voce del nonno di Loris.
Ne valeva la pena?
Ma soprattutto: l’etichetta del bollino giallo non ha proprio nulla di meglio a disposizione nella sua scuderia? Siamo ancora fermi all’idea che un disco d’opera vende solo se c’è Domingo?
Questo quesito mi sembra particolarmente interessante per iniziare l’anno di Operadisc, perché questo è un sito che studia l’evoluzione della rappresentazione operistica partendo dal disco. Per noi il disco non è – se non molto raramente – un valore assoluto né un mantra da recitare nei momenti di disperazione di cui peraltro non soffriamo. Per noi il disco è semplicemente un’istantanea: la fotografia di un momento storico, da guardare con ammirazione, con rimpianto, ma quasi mai come valore assoluto.
Certo: c’è il disco da tramandare, da riascoltare mille volte perché ha una valenza che trascende il momento della registrazione. Gli esempi possono essere i più vari: la prima “Norma” della Callas, il “Rosenkavalier” dell’accoppiata Karajan-Schwarzkopf, il “Parsifal” di Karajan e altri ancora; ma sono felici eccezioni alla regola. È anche per questo che, in linea di massima, troviamo esercizio sterile quello dei paragoni: non ci servono, perché pensiamo che il disco, qualunque disco, è l’espressione di un momento irripetibile da un punto di vista culturale, sociologico e antropologico.
Piuttosto il ragionamento potrebbe essere un altro: in un momento come questo in cui le registrazioni in studio del Grande Repertorio stanno diventando sempre più rare, ha senso proporre adesso, in questo momento, un disco di questo genere? La Deutsche Grammophon ha già in repertorio una “Fedora”: quella del Met diretta da Roberto Abbado conMirella Freni e – ci credereste? – Plàcido Domingo! C’era bisogno di un’altra Fedora, diretta da Veronesi, con un tenore ampiamente fuori dal tempo massimo e privo, a questo punto della sua vita, di qualunque credibilità in un ruolo del genere? E per di più di fronte a una delle poche cantanti che possono essere impiegate in un ruolo così improbabile come Fedora?
Ed è per questo che mi chiedo: può Domingo essere considerato lo specchio, la fotografia del nostro “momento” storico? La risposta è: assolutamente no. Questa sarebbe stata un’operazione in cui arruolare per esempio Jonas Kaufmann; o, al limite, un giovinastro scapestrato dotato di voce arrogante e di temperamento aggressivo. E invece no: ancora il nonnetto ultrasettantenne che gioca a fare il gagà! Santa pace: ci incavolavamo o no quando alla fine degli Anni Novanta l’ultrasessantenne Alfredo Kraus faceva ancora il tenore della “Traviata” avendo di fronte interpreti di papà Germont più giovani di lui?
Per quanto tempo ancora ce lo dovremo sorbire, per di più in questi ruoli da ragazzino immaturo piuttosto che – per esempio – un Captain Vere in cui avrebbe ben altre verità da raccontarci?
Ma canta proprio così male, Domingo? Certo che no: si è sentito di peggio. Domingo non canta mai male, tanto più in sala di registrazione dove i problemi possono essere sistemati abbastanza agevolmente, ma ormai siamo fuori tempo massimo per un’operazione del genere: semplicemente questo anziano signore, per affascinante che possa essere sulle ragazzine in cerca di una figura paterna di riferimento, o per le signore fresche di menopausa, non può essere credibile nella parte di un ragazzotto isterico e dalla sensibilità esasperata. La scansione bruciante delle frasi del finale del secondo atto o di tutto il terzo lo vedono terribilmente in difficoltà, specie di fronte alla “posizione” vocale pressoché perfetta di Angela Gheorghiu, lei sì assolutamente adeguata a un’operazione di questo genere.
Io mi sono ascoltato questa registrazione sotto forma di economico iTune; per una volta, nonostante l’affetto che mi lega all’icona di questo cantante, l’ho fatto solo per necessità documentaria. È scivolato via come un compitino inutile, ed è un peccato perché la prova della Gheorghiu – cantante per la quale ho poca simpatia – è davvero notevole; e Fabio Maria Capitanucci ad ogni registrazione si sta confermando uno dei cantanti più intriganti dell’ultima generazione.
Auguro a questa registrazione di vendere poco e niente: merita di essere la pietra tombale di un modo di produrre musica che non ha più nessuna ragione di essere
Pietro Bagnoli