Nozze di Figaro
Aggiunto il 10 Luglio, 2007
Rispetto al Don Giovanni, con queste Nozze saliamo di qualche gradino sul versante musicale grazie – tanto per cominciare – ad una direzione degna di tal nome, anche se ci troviamo su un piano completamente diverso rispetto a quello cui siamo abituati con quest’opera.
Dopo altre prove, ormai dobbiamo rassegnarci ad un assunto di base: per Nikolaus Harnoncourt evidentemente le “Nozze” non sono una folle journée, bensì una riflessione profonda sui rapporti interpersonali. Da questo particolare punto di vista, è ottima l’intesa con il regista che realizza forse non la migliore interpretazione possibile della pièce, ma quella più funzionale alla direzione d’orchestra.
Andiamo con ordine.
I tempi sono lenti, esasperati, con poche folate che non c’entrano nulla con la comicità ma molto con l’ironia delle situazioni: un esempio per tutti, il duettino Susanna-Marcellina “Via resti servita madama brillante” che è condotto su un ritmo talmente spiritato da creare uno iato impressionante con quello che c’è prima e dopo. Questa lentezza di base è stata sottolineata da molti critici, ma spesso senza rilevare un paio di aspetti tipici di Harnoncourt: l’estrema chiarezza espositiva della materia e la leggerezza della trama orchestrale che, pur nella lentezza dell’agogica, riesce a dipanare la materia con molta souplesse. Sono lente, queste Nozze, ma francamente non ce ne si accorge più che tanto, proprio per la sagacia con cui il direttore amministra gli equilibri riuscendo a dare il giusto spazio ad ogni aspetto.
Di comicità ce n’è poca, dicevamo; ci sembra piuttosto un trattato sull’incomunicabilità degli esseri umani. È questa una visione che rispecchia il pensiero di Mozart? A noi sembra complessivamente di sì: dopotutto questa è la storia di un tentativo di sopruso da parte di un prepotente e del modo con cui gli altri protagonisti riescono a smontarne la trama. Ed ecco quindi che, come già nell’incisione audio di qualche anno fa, Figaro (un sempre più bravo Ildebrando D’Arcangelo) declama il suo “Se vuol ballare signor Contino” con rabbia e amarezza; ma tutta l’interpretazione del bravo basso italiano è tesa come in un arco di violenza repressa che va decisamente contro le tradizioni esecutive del ruolo.
E Susanna? Anche la Netrebko offre un’interpretazione seria, compassata, del tutto in linea con quanto proposto dalla buca direttoriale e dalla regia; peraltro, tale interpretazione non è affatto fredda, ma colma di quella che potrebbe essere un’intensa partecipazione emotiva, più da Contessa che non da Susanna.
E qui è necessario iniziare a parlare della regia di Guth che, notoriamente, si ispira al teatro di Strindberg e realizza un’ambientazione piuttosto curiosa: una trasposizione della vicenda nel fine 800 di una casa evidentemente patrizia, nell’androne di una scala che sale verso i piani alti dove sono localizzati gli appartamenti dei nobili. L’androne è la stanza dove vivranno Figaro e Susanna, realizzando così una netta dicotomia fra le vicende dei piani bassi – quelli della servitù – e quelle dei piani alti, che però non vengono quasi mai visualizzati: la porta rimane per lo più chiusa, sono i nobili a scendere a livello dei loro sottoposti. Al di là della netta impostazione ideologica abbastanza sinistrorsa, l’ambientazione non manca di una certa suggestione soprattutto nel quarto atto, ove il giardino profumato viene evocato dall’ombra delle foglie che viene proiettata nell’androne invaso dalla penombra.
Dicevamo dell’incomunicabilità: il sipario si apre sui personaggi fermi, immobili come statue, che vengono “animati” da un mimo in guisa di Cherubino (con tanto di alette sulle spalle) che li tocca con una piuma risvegliandoli e, per così dire, riportandoli alla vita con l’afflato della sensualità di cui lo stesso paggio è il paradigma. Ne deriva un’atmosfera ovattata – cui la concertazione di Harnoncourt dà un movimento dolce, sereno e languido – nella quale i personaggi trovano gli unici momenti di interazione reciproca. Splendido paradigma di questa atmosfera languida e sensuale è la scena meravigliosa e splendidamente riuscita della vestizione di Cherubino del secondo atto, in cui il paggio viene spogliato da una trepida Susanna e conteso mollemente dalle due donne che, a turno, lo baciano lentamente ed appassionatamente, portando l’eros del momento ad un parossismo quasi insostenibile. Quando invece manca Cherubino, i personaggi declamano al vuoto: vedasi per esempio il monologo della vendetta cantato da Bartolo lasciato da solo da Marcellina su una sedia a rotelle, su un equilibrio precario (tanto che poi cade per terra).
È quindi l’amore a portare avanti le vicende di questo gruppo di persone? Non diremmo: è piuttosto l’eros, quasi mai platealmente esibito ma piuttosto sottinteso, alluso e concentrato sempre intorno alla figura di Cherubino.
Ciò che lascia un filo interdetti, peraltro, è la pesante caratterizzazione ideologica (ovviamente di sinistra) con cui il regista analizza le vicende dei protagonisti, specialmente quelli nobili, che mai ci sono apparsi così terragni, vili, gretti e meschini di fronte ai loro antagonisti del popolo. Il Conte, perennemente sudaticcio, è letteralmente devastato dalla passione per Susanna che, peraltro, non disdegna di concederglisi (castamente) ad ogni occasione; e quando canta la sua rabbia nei confronti di Susanna, Cherubino gli monta in groppa a dimostrare quanto sia dominato delle passioni che gli ottenebrano le facoltà di giudizio. La Contessa, timida, grassoccia, quando si traveste da Susanna appare molto più dimessa di lei, e non riesce neanche ad evocare quella superiore immagine di perdono che dovrebbe promanare da lei nella scena conclusiva, quando tutto finalmente si risolve.
Domina il tutto – non poteva essere altrimenti – Anna Netrebko con il suo splendido charme e con una maturità di interprete che, se non è già compiuta, comunque poco ci manca. La sensualità che letteralmente promana da ogni frase pronunciata da questa Susanna è qualcosa che proietta il personaggio in una dimensione nuova. Non è più la servetta che difende la propria castità dagli attacchi del padrone infoiato: è una donna intelligente, nervosa, spiritosa, che dà persino il sospetto di essere dolcemente alienata, ma perfettamente conscia dell’ascendente che ha sugli uomini, in particolare il Conte e lo stesso Cherubino, che bacia appassionatamente a turno. La padronanza del palcoscenico di Annina è perfetta: ha letteralmente in mano il pubblico che, infatti, le decreta un trionfo. Se un appunto le si vuol fare, è che ormai ha un po’ passato la stagione per Susanna e sarebbe ora che si dedicasse ad altro, ma la resa vocale è comunque entusiasmante, con un medium carnoso e ricco di ombreggiature ed una musicalità di altissimo rango. Splendida in tutto: dal già citato “Venite inginocchiatevi” ad un duettino della canzonetta che sarebbe stato perfetto con altra Contessa per arrivare ad un “Ah vieni non tardar” ricco di languore ma anche di spirito. Nulla da dire: è la cantante del momento.
Ciò che non si può dire di Dorothea Röschmann; che, come Pamina, non fa nessuna fatica ad essere la migliore in campo del Flauto Magico di Abbado, ma come Contessa manca non solo del peso specifico (e sarebbe il meno), ma anche la caratura: la personalità esibita è infatti modesta e comunque irrimediabilmente inferiore a quella messa in campo dalla Netrebko, di fronte alla quale soccombe nettamente. È una brava cantante, la Röschmann, ma la preferiamo nei ruoli haendeliani.
Di Ildebrando D’Arcangelo dicevamo che si tratta di uno splendido protagonista, anche perché l’artista ha ormai raggiunto una piena e completa maturità; ma Skovhus, alle prese con una realizzazione piuttosto sgradevole del proprio personaggio, fa decisamente fatica a venire a capo della parte e il confronto con il suo servo lo vede decisamente perdente.
L’altra trionfatrice della serata è indiscutibilmente la Schäfer, voce sopranile prestata ad un ruolo per lo più affidato ad un mezzo, ma cantante di notevole spessore e fascino. La sua adesione – anche fisica – al personaggio è stupefacente; la voce forse non ha tutti gli armonici per poter rendere piena giustizia a questo personaggio, ma la resa globale è talmente avvincente che le si perdona facilmente qualche dettaglio.
Molto bene la gloriosa marie McLaughlin, nei panni di una Marcellina più giovane del consueto, mentre Selig è un po’ troppo serioso come Bartolo anche in una produzione come questa...
Complessivamente bene anche gli altri