Editoriale: Wolfgang Wagner esce di scena - di Pietro Bagnoli
Aggiunto il 22 Marzo, 2010
È morto Wolfgang Wagner.
È una notizia importante, perché il personaggio è stato una delle grandi personalità musicali del secolo scorso e di quello appena iniziato.
Nato a Bayreuth nel 1919, figlio di Siegfried e di Winifred, era il fratello minore di Wieland, il vero genio di famiglia, quello che fu la vera anima pulsante della Neue Bayreuth, il Grande Riformatore del vecchio rito. Dopo la scomparsa di Wieland nel 1966, tenne le redini del Festival sino al 2008, quando ne passò la gestione nelle mani delle figlie, Katharina e Eva, cui auguriamo la migliore fortuna ma che d’acchito non pensiamo all’altezza manageriale del padre. E questa considerazione ci porta dritti al punto centrale, e cioè il ruolo di Wolfgang nella costruzione della Bayreuth che vediamo oggi.
Conosciamo bene le produzioni firmate da Wieland: drammaturgicamente semplici, poco problematiche, molto didascaliche, al limite anche francamente brutte. Non pensiamo di fare un torto al grande manager che fu se affermiamo che la sua ispirazione come regista fu nettamente inferiore a quella del fratello. Il merito vero di Wolfgang fu quello di inserirsi nella scia del rinnovamento e di chiamare a Bayreuth quei nomi che avrebbero dettato legge nel campo dell’esecuzione wagneriana.
Si ricorda – e giustamente – la grande intuizione di aver scelto, per il Ring del Centenario (1976), la coppia Chèreau-Peduzzi; ma non meno geniale fu l’idea di chiamare, per il medesimo allestimento, quel Pierre Boulez che creò l’ennesimo spartiacque, l’ennesimo prima/dopo nella storia esecutiva di questo capolavoro. Ma la storia esecutiva di Bayreuth non s’è fermata a Chèreau: c’è stato Kupfer, con il suo incredibile “Olandese” e un Ring da brivido; e Herzog, con il suo Lohengrin che ha fatto storia; e tanti altri, in ultimo Marthaler, Dorst e – perché no? – anche Katharina, con il suo interessante e sbarazzino Meistersinger. E direttori di primissimo livello che si alternavano aiKapellmeister collaudatissimi e di casa in Franconia, come Schneider e Stein: penso soprattutto a Sinopoli – mi si perdoni il campanilismo – ma anche il più recente Thielemann, oltre ovviamente a Solti, Bohm, Barenboim. Fra i cantanti, non manca nessuno dei grandi nomi del canto wagneriano, quelli che ne hanno fatto la storia: Rysanek, Nilsson, Jones, King, Adam, sino ai più recenti, alcuni dei quali sicuramente discutibili, ma con alcune eccellenze di altissimo livello come Struckmann, Herlitzius, Westbroeck, Youn, Vogt, Volle, Theorin. Wolfgang fu quello che fissò il canone esecutivo di Bayreuth, espungendo una volta per tutte le opere che appartenevano alla fase primordiale e che non hanno particolare significato nell’evoluzione creativa del grande musicista.
Piaccia o no – e ad alcuni non piace – lo stile di Bayreuth ha una sua storia che nasce da Cosima, che si è affinato con Siegfried, che si è intellettualizzato con Wieland e che si è diffuso nel mondo sino ad avere una valenza universale con Wolfgang. Con tutto il rispetto per altre idee esecutive, che pure hanno la loro dignità e che contribuiscono a quella pluralità che è il sale non solo dell’interpretazione dell’opera, ma della vita tout court, lo stile di Bayreuth è quello con cui si confrontano tutti, magari anche per denigrarlo o sbertucciarlo, ma che è servito anche come base per l’interpretazione di altri repertori.
Con Wolfgang finisce una stirpe di grandi manager, quelli dotati magari di scarsa inventiva personale ma in grado di vedere molto in là, di fissare le tendenze esecutive, di dare al pubblico quello che il pubblico si aspetta in quel determinato momento storico. Dispotico, intransigente, monotematico, poco fantasioso, autocratico: tutto quello che si vuole. E tuttavia, pur mancando del talento visionario del fratello maggiore, la sua presenza ha segnato maggiormente non solo il Festival, ma anche tutta la storia dell’interpretazione di questo meraviglioso repertorio.Wolfgang ci ha fatto percepire l’importanza di un manager in grado di piazzare le proprie pedine nel posto giusto e nel momento giusto, riuscendo a dettare le regole del gioco anziché subire quelle degli altri. Avendo sotto gli occhi esempi calzanti di manager molto meno dotati di lui, possiamo dire tranquillamente che ne sentiremo la mancanza
Pietro Bagnoli