Lunedì, 07 Ottobre 2024

Editoriale: Il ritorno di Adriana Lecouvreur a Firenze - di Milady

Aggiunto il 03 Marzo, 2010

Dopo trent’anni circa, l’Adriana Lecouvreur è finalmente tornata a Firenze : un felicissimo ritorno. .Prima di soffermarmi su questa recentissima edizione, aprirò il baule dei miei ricordi. Rivedo me bambina che andava all’opera appesa alla mano del nonno,, tutta in ghingheri , col vestito delle feste in velluto nero -guai a sgualcirlo!- colletto bianco di pizzo ,inamidato e unteccherito tipo mummia di Tutankamen –come bucava il collo!- le scarpine buone di vernice nera, lustre come uno specchio .Tocco finale : le codine fissate in cima alla testa da inamovibili fiocconi , stile aeroplano o uovo di Pasqua :“ Zitta!Non protestare! Non si gira con i cernecchi!”
Arrivati in piccionaia o loggione che dir si voglia, dopo una salita a razzo delle scale, degna di Bartali e Coppi, venivo depositata accanto ad una colonna che , secondo il nonno,assicurava la migliore acustica nella sala. Lui ascoltava invece nascosto dietro ad una delle rosse tende del loggione : “ Non voglio farmi incantare come un grullo dalle diavolerie dei registi d’oggi. Io vengo solo per sentire i cantanti e la musica. Il resto , mancia, roba per i grulli ”.
Tutto questo, lo so, risale ad un’epoca anni luce anteriore all’attuale trionfo – o tonfo- tecnologico ,che , nel corso di vari decenni ,ha democraticamente garantito ai poveri ascoltatori di qualsiasi settore del teatro della mia città un’acustica, che, solo per amore del “tetto natio”, mi limito a definire “fortunosa ”.Una inesausta sperimentazione ha portato a questo mirabile risultato: o si rischia di diventare sordi e con la “ testa grossa come un cestone”, se si capita vicino all’orchestra, oppure , se se ne è lontani, i suoni arrivano ovattati o a corrente alternata , come se fossimo tutti dei poveri pesciolini boccheggianti dentro ad un acquario . W la tecnologia!
Prima della recita ogni opera era oggetto di lunghe eaccese discussioni – ma l’Adriana godeva del pieno favore del pubblico : “ C’è una gran bella musica e anche una orchestrazione di prim’ordine” –affermava perentoriamente il nonno, pronto a definire “ignoranti” i dissidenti,caldamente invitati poi ad “andare a zappare la terra”.Si discuteva accanitamente anche dei cantanti , ma, nel nostro caso , un solo nome risuonava , e proferito con la più devota deferenza : Magda Olivero. In barba alla cronologia - l’opera è stata composta tra il 1900 e il 1902- sentivo sentenziare :“Sissignori, Cilea l’ha scritta proprio per lei, per l’Olivero”. “E sennò , per chi?” era la conclusione senza diritto di replica. Anche gli incontentabili amici del nonno erano completamente d’accordo: “La Magda l’è proprio l’Adriana : punto e basta. E niente storie”.
Andammo in molti a sentirla , fuori di Firenze, ma non ricordo più dove. Durante il lungo viaggio in treno , il Chianti, attinto copiosamente ai generosi fiaschi di una volta, scioglieva la lingua e la gola degli adulti- d’obbligo il “Va pensiero”- e spargeva dovunque un’atmosfera di allegria “risaiola”. Noi bambini bevevamo a garganella le nostre aranciate e gazzose ,dal pessimo sapore e dai colori poco rassicuranti :“State attenti a non sbrodolarvi, brutti frittelloni !Poi le sentite voi le vostre mamme!”. A seguire , ricchi panini con gli affettati. Un amico del nonno che aveva di natura “l’emissione mista” alla Beniamino Gigli ,e che , pur essendo un accanito mangiapreti,cantava in chiesa dalla mattina alla sera come un grillo alla festa del grillo ,si produsse in un’applaudita esecuzione di “Io son l’umile ancella” , coronata da “Poveri fiori”, previo preambolo scaramantico : “Oh, gente , io faccio quel che posso . Non son mica l’Olivero!”. Partiti con larghissimo anticipo ,arrivammo presto nei pressi del teatro. Preceduta da un reverente mormorio, vidi così la divina Magda prima della recita .Emanava da lei quell’aura distaccata di chi sembra davvero provenire da un altro pianeta, altro che i marziani di Sandro Giacobbo : “ e par che sia una cosa venuta/ di cielo in terra a miracol mostrare”.
In scena , con la sua figura slanciata , la gestualità teatralissima ed il carisma della vera Diva , calamitò l’attenzione di tutti gli spettatori e, naturalmente, la mia , grazie anche ai fastosi costumi settecenteschi , costellati di gioielli : un’apparizione . L’impressione di allora è stata riaffermata dal successivo ascolto in disco e dalla trasmissione televisiva : una dizione aulica ,un canto ora appassionato, ora estenuato, modellato sulle più sottili nuances della parola scenica , e, insieme , su ipnotici arabeschi liberty. Anche nei momenti di scoperta passionalità, Adriana Lecouvreur,secondo Magda Olivero , era , nella vita come sulla scena, una primadonna sull’orlo di una controllatissima crisi di nervi, capace di risolvere sempre -e con assoluta facilità- i numerosi problemi di una partitura malignissima, prodiga di acuti , frasi scoscese, e , giunta alla derrata , gravitante di continuo sul passaggio di registro. Ci furono anche , se non vado errata, qualche singulto e qualche cedimento al parlato, ma tutto il personaggio rispondeva ad una logica interpretativa ferrea. Chapeau! Certamente la Olivero era la diva che ti saluta con un flautato : ”Ciiiuaauuo”, come d’altra parte prescrive il libretto di Arturo Colautti . La Lecouvreur appare infatti per la prima volta sulla scena declamando :“Del sultano Amuratte mi arrendo all’imper… Tutti uscite! E ogni soglia sia chiusa all’audace …”. E poco prima di morire vaneggia :“Scostatevi ,profani !...Melpomene son io!” Nel personaggio magistralmente delineato dalla Olivero tout se tient. Prendere o lasciare. Io opto per la prima ipotesi : un simile imprinting è indelebile.
Anni dopo, vidi alla TV come Maurizio di Sassonia unformidabile Corelli di magnifica prestanza fisica e vocale. Mentre ascoltavamo in mistico silenzio la TV al bar del quartiere, un tizio, stufo della silente adorazione del “cantante bellone” da parte del pubblico femminile, ebbe la sciagurata idea di dire ad alta voce: “Ovvia, donne ! A voi vi piacerebbe Corelli anche se cantasse la Biritullera” . Subito tacitato , al pari di Cavalcante de’ Cavalcanti nel X dell’Inferno : “ supin ricadde e più non parve fora”.
Mi limiterò ora, salvo qualche veloce digressione , alle mie “Adriane” fiorentine.
So già che alcuni miei giudizi provocheranno presso alcuni devoti le stesse reazioni che, prima della seconda guerra mondiale, suscitavano nel ribollente loggione i cantanti svociati o in serataccia . Il nonno, fuggito come la peste dai claqueurs “prezzolati”, mi raccontava che , prima di beccare di brutto un cantante , lui ed il suo gruppo di “bastian contrari” aspettavano, se possibile, la fine del I Atto. “La voce si deve riscaldare”, dicevano magnanimi. Quando le cose volgevano al peggio, i ragazzini venivano mandati d’imperio al mercato di San Lorenzo, con il compito di raccattare in due balletti una ricca messe di avanzi di verdura e frutta ,nonché , se possibile,qualche uovo marcio. Se le beccate al vetriolo cominciavano a fioccare impietosamente già prima della fine del primo atto, quando poi la situazione precipitava , vuoi per le stecche vuoi per le reazioni inviperite dei canentes , piovevano sui malcapitati, con una mira alla Guglielmo Tell , verdure, e , nei casi più tragici, uova marce.
Riprendo il filo del discorso. Non posso non citare tra le più celebri Adriane , quella della Tebaldi, dalla voce , lo sappiamo tutti, di strepitosa bellezza e colore. Ascoltata in disco, mi parve che alla grandissima Renata il personaggio andasse o troppo stretto o troppo largo, non so. Quanto alla Caballé , non ho sentito tutta la sua Adriana, masolo le due romanze più note: due straordinari pezzi belcantistici da antologia. Lo so che è stata più volte accusata di cantarsi addosso: sarà ,ma per me è un gran bel cantare.
Ho pure ascoltato, in disco e per intero, la Scotto, “ la prima interprete veramente moderna” secondo il grande E. Giudici . E già vedo verze e pomodori puntati su di me. Che sia una fraseggiatrice finissima è Vangelo,il primo, ma qui il suo fraseggio è un po’ troppo di lambiccato. Che sia di un’astuzia volpina nel risolvere con la massima intelligenza in chiave elegiaca o di instabilità nevrotica i non pochi momenti perigliosi assai per la sua voce , è il secondo Vangelo. Che abbia una tecnica da manuale , è il terzo. Ma il quarto è che , quando ha inciso l’Adriana nel 1977, gli acuti già stridevano o ballavano alquanto , e di acuti in quest’opera ce ne sono davvero molti per la protagonista. E parecchi risultano parecchio sofferti.
Ed ora ,con Mirella Freni ,sento già piovermi addosso in ricca sassaiola gli ingredienti di cui sopra. L’ho ascoltata in disco e vista in DVD. So bene che E. Giudici loda - e giustamente- la vera e propria “lezione di canto” offerta dalla grandissima Mirella , e su questo sono pienamente d’accordo. Giudici loda anche la sua Adriana non più tragédienne de la Comédie , ma solo donna, dai “connotati spontanei ,immediati , ‘comuni’ , per dir così, della donna innamorata” . E qui non sono più tanto d’accordo. Il libretto è ineludibile: “carta canta” . Sono io la prima a dire che una declamazione sempre enfatica e sopra le righe è oggi improponibile. La voce della Freni è però troppo solare e sana per rendere al meglio questo difficilissimo personaggio, che dovrebbe invece, a mio avviso, realizzarsi in un difficile equilibrio tra la dimensione aulica della divina della Comédie e il coté privato della donna perdutamente innamorata. Aggiungo che ,alla luce del DVD , per quanto sine maculaet sine ruga, la Freni non ha l’allure , il volto e la figura , propri di una acclamata e nevrotica tragédienne , che resta tale , secondo me, anche nei momenti di più scoperto abbandono.
Aveva il volto, la figura e l’ allure della tragédienne nel 1981, Raina Kabaivanska, straordinariamente bella- una aristocratica miniatura il volto - , supremamente elegante e vera dominatrice del palcoscenico. Solo che si riannodò scopertamente all’archetipo - Olivero, senza averne , ad esempio, la dizione scolpita. .E qui debbo,ma molto , molto a malincuore, dar ragione a Giudici. Il fatto ‘ è che tutto ciò che alla Olivero calzava come un guanto , risultava sopra le righe nella bella( e pur brava) Raina. Aggiungo doverosamente che , dal vivo, la sua voce , non fonogenica,suonava molto più armoniosa e rotonda che nelle incisioni. Comunque una grande Adriana. Come Principessa di Bouillon si esibì Fiorenza Cossotto, impegnatissima a dimostrare, al colto e all’inclita, urbi et orbi , che aveva tanta ma proprio tanta voce: ascoltare per credere .Ho sentito anche di recente le cronache musicali favoleggiare di un leggendario scontro all’ultima nota tra le due celebri primedonne, tale da scatenare l’ entusiasmo al calor bianco del pubblico. Evidentemente sono stata proprio sfortunata : applausi calorosissimi , sì,ma la canora tenzone non ha fatto “casca’ o teatro”. Una breve chiosa:, così non è stato nel 1981, ma lo scontro tra le due primedonne , a suon di voce-e chi più n’ha , più ne metta- rischia di cadere nella famosa rissa plebea , narrata da Zola nell’ Assommoir .
Nella rappresentazione del 21 Febbraio 2010 , le scene, i costumi e la regia di Ivan Stefanutti erano ispirate agli stilizzati moduli liberty in voga ai primi del Novecento ed alla gestualità di famose dive del muto , in particolare di Lyda Borelli: un’idea felicissima, perché musica e libretto hanno un sapore molto più “decadente”e crepuscolare che settecentesco La direzione di Patrick Fournillier ha sottolineato , mediante una intenzionale atomizzazione, le molte finezze, di ascendenza francese o europea , profuse da Cilea nella raffinata orchestrazione del suo capolavoro. Nel periglioso ruolo di Adriana ha fatto il suo debutto Adina Nitescu , che ha recitato con molto gusto e sobrietà . Alla gestualità da diva del muto, ma intelligentemente contenuta, rispondeva un’Adriana aulica quel tanto che basta, ma delicatamente astratta, senza eccessi. A parte qualche occasionale durezza nel settore acuto , sul piano vocale posso tranquillamente parlare di un ottimo debutto. Marianne Cornetti, nel ruolo della Principessa di Bouillon , aveva molti Kg e suoni forzati in più del dovuto nei gravi,oltre ad oscillazioni negli acuti, ma era comunque in parte. Non aveva certo l’aspetto favolosamente seducente di Maurizio di Sassonia, Fabio Sartori ,dotato di una voce un po’ brada ma generosa. Melanconico, espressivo e persuasivo Michonnet è stato Stefano Antonucci , magari censurabile per qualche difficoltà nel passaggio di registro, ma il personaggio, grazie ad una notevole recitazione, c’era tutto. Magnifico il divertissement del III Atto,ostensibilmente ispirato ai Ballets Russes di Diaghilev e Nijinski ,e dunque perfettamente intonato all’impostazione dello spettacolo. Il regista e gli esecutori hanno capito che , particolarmente per l’Adriana Lecouvreur , occorre “esagerare” ,ma solo un po’ ,con juicio e “in levare”.

Milady

Categoria: Editoriale

 

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