Editoriale: OperaTrash - di Pietro Bagnoli
Aggiunto il 19 Aprile, 2009
Reduce dalla “Tosca” di Zurigo, spettacolo di eccezionale complessità e modernità, la mia attenzione è stata catturata ieri mattina dalla trasmissione “Loggione” su Canale5 che si occupava della stessa opera andata in scena nei giorni scorsi a Parma.
Cantavano Micaela Carosi, Marcelo Alvarez e Marco Vratogna. Sostanzialmente un'onesta recita di provincia nel senso più pieno del termine, con tutti gli annessi e connessi del caso: cantanti che per lo più non si potrebbero esibire sulle piazze veramente importanti, applausi alla fine delle arie cantate con piglio strappacore, richieste deliranti di bis, cantanti che si chinano a ricevere gli applausi come se fossero ad un concerto e ovvia concessione della replica dell'aria, affrontata ovviamente come se fosse al di fuori di un contesto drammatico ben preciso. E fin qui, nulla di strano: siamo pur sempre nel cuore della provincia italiana. Il bis è la logica risposta ai desideri di un pubblico che espressamente cerca questo tipo di cose, nessuno escluso; chi va a Parma a vedere Tosca si aspetta di vedere e sentire un certo tipo di spettacolo, quindi poi non se ne deve lamentare.
Tutto questo, ovviamente, non riguardava il sottoscritto che – nella fattispecie – stava pelando un chilo di fagiolini mentre vedeva questo spettacolo che sembrava piombato da un altro mondo. “Ma come – mi dicevo – sono reduce da uno spettacolo rivoluzionario, cantato da almeno due Artisti fra i più celebrati ed osannati al mondo, che si sono sforzati di dire cose completamente nuove, e guarda te cosa mi tocca vedere ancora nel terzo millennio”. E invece era proprio così: Scarpia con il regolamentare codino, Tosca con la coroncina ad avvolgere la cofana e Cavaradossi singhiozzante con la manina destra rivolta al pubblico, mentre con la sinistra si strappava i peli del torace per buttarli come reliquie al pubblico delirante. Ed era proprio Cavaradossi ad attirare la mia attenzione, giacché si tratta di uno dei tenori chemaggiormente attirano l'ammirazione del pubblico per la sua “generosità”. Quella della “generosità” è una caratteristica che accomuna, solitamente, pugili e, appunto, tenori. Il “pugile generoso” è quello che ne prende un fracco e una sporta ma suscita simpatia. Il “tenore generoso” è quello che canta con la mano rivolta al pubblico, con i colpi di glottide, sudando come un cammello, strappandosi le corde vocali e offrendole al pubblico in delirio. L'esempio più classico di “tenore generoso” è, oggi, Marcelo Alvarez, cantante argentino dal ciuffo unto, noto ai più per dare dei cani ai suoi colleghi e degli incompetenti al pubblico italiano (cfr. intervista al giornale argentino “Dìa dìa” nel 2007). Alvarez, nato a Cordoba nel 1962, è molto legato all'Italia e a agli italiani che lo ricambiano con una passione ai miei occhi abbastanza inspiegabile. Ieri, per esempio, si è presentato all'intervista del giornalista di “Loggione” ancora vestito da Cavaradossi, bello rubicondo e – ovviamente – sudato, con due importanti favoriti di quel tipo che nell'Ottocento solevano chiamare “scopettoni” e spiegava la sua filosofia interpretativa di “E lucevan le stelle”: “Per me – diceva il tenore generoso – è il momento che sento diverso, dell'uomo che sta per morire. Non c'è bisogno che urla... All' “ora è fuggita”, comincio ad urlare solo in quel momento... Io faccio: Oh dolci baci (pausa) Oh languide carezze, non Oh dolci baci-oh languide carezze (lega il suono). È molto bello di fare questo con una tradizione belcantista, si interpreta meglio la parola. A me piace e anche al pubblico che chiede sempre il bis: si vede che gli piace la mia interpretazione (ride)”. Cioè, se capisco bene: Alvarez – che da un certo punto in avanti smette di cantare e comincia ad urlare – rinuncia al legato in ossequio ad una strana tradizione belcantista che conosce solo lui, ed il pubblico applaude ridendo allegramente. Non male. In definitiva, mi sento un po' pirla: non c'è ragione che io mifaccia trecento e rotti kilometri per andare a Zurigo a sentire il più importante tenore del momento, giacché ho già ad un tiro di schioppo un fenomeno che propone una nuova linea esegetica mirata solo alla richiesta di bis, l'unico valore artistico che appare interessante.
Siamo alle solite: quando il provincialismo si spinge alle estreme conseguenze, il risultato supera ogni più rosea aspettativa permettendo a chi, come me, è amante del kitsch e del trash di godere le emozioni più intense. Un tenore così, che pare uscito dalla casa del Grande Fratello o dall'hacienda della Fattoria non può essere nemmeno lontanamente paragonabile a quel Jonas Kaufmann che, come raccontiamo più sotto nella sezione backstage, ha completamente reinventato il ruolo che impersona; eppure ci ammanisce queste perle di saggezza, dandoci ad intendere che la tradizione belcantista (quale?) può andare in soccorso al Verismo “staccando” le frasi.
Marcelo, siamo onesti: ma chi credi di prendere in giro?
Pensi che tutto il pubblico italiano sia fatto solo di gente che smania all'idea di poterti applaudire e subissarti di richieste di bis?
Pensi che una prestazione vocale ottimale sia solo all'insegna di quell'anema&core che sembra essere il tuo unico valore espressivo?
Se è questo il tuo pensiero, allora hai ragione di ritenere che quello italiano sia un pubblico di incompetenti. Sì, perché – e in questo, purtroppo, sono costretto a darti ragione – c'è una larga quota di pubblico italiano che ritiene che l'alfa e l'omega della rappresentazione operistica sia in Italia, nei meravigliosi palcoscenici di provincia giudicati ancora vergini e, possibilmente, senza quei fastidiosi impedimenti che sono gli artisti che cercano di imporre la forza della loro personalità e le regie che, negli ultimi trent'anni, hanno cambiato drasticamente le regole del gioco. Se Alvarez avesse fatto lo stesso discorso sopra riportato, per esempio, ad un giornalista diZurigo, avrebbe ottenuto in risposta grasse risatazze e, probabilmente, la richiesta di non prendere il proprio interlocutore per le natiche. Belcantismo? Ma mi faccia il piacere! Questo tenore argentino strappalacrime, beniamino di tutte le desperates housewives che vanno in sollucchero quando lui dà dei cani ai suoi colleghi, dissennato dilapidatore di uno dei materiali vocali più interessanti degli ultimi vent'anni, non ha nessun titolo per parlare di Belcantismo. E non glielo nego a nome di un cellettismo di ritorno, ma per conto di quel buon gusto che gli è venuto a mancare dal momento in cui ha deciso di autoconsacrarsi principe dei tenori utilitè. Noi non abbiamo bisogno di questi cantanti dal labbro tumido e dal ciglio umido. Si goda il successo della provincia italiana, l'unica – nonostante il suo disprezzo – a tributargli un successo incondizionato, ma non pretenda di dare lezioni di stile a chi non ne ha affatto bisogno