Meyerbeer Gran Operas di Diana Damrau
Aggiunto il 22 Maggio, 2017
Strana sorte quella del singolare Giacomo Meyerbeer: osannato e discusso in vita, certamente fu un pilastro della cultura musicale del proprio tempo ma oggi la sua produzione è quasi interamente scomparsa dai cartelloni internazionali. La Deutsche Oper di Berlino sta tentando di proporre un titolo annuale, per altro chiamando in causa grandi star (Florez, Alagna) e nostre glorie nazionali (Mariotti); qualche teatro francese sta facendo altrettanto. Ma in Italia possiamo dire che Meyerbeer è praticamente sconosciuto: ci ha provato Venezia nel 2007 (con “Il crociato in Egitto”) e ci proverà Luisi in questo Festival della Valle d’Itria 2017 (con “Margherita d’Anjou” rappresentata per la prima volta alla Scala!); alla Scala manca dal 1962 con una gloriosa produzione de “Les Huguenots”; per il resto tabula rasa.
Prima di conoscere singolarmente opera per opera forse è buona cosa farsi un’idea dell’arte meyerbeeriana, e questo recital può aiutare ad addentrarsi nei numerosi meandri della sua produzione, grazie anche alla partecipazione di uno dei più grandi soprani cosidetti “di coloratura” degli ultimi anni: Diana Damrau.
La produzione di Meyerbeer viene solitamente divisa in tre periodi, o preferirei dire macroaree: il melodramma italiano; il Grand-Opera francese; l’opera tedesca. A dispetto dal titolo del recital, il principale interesse di questo cd sta proprio nella selezione stessa di stralci di opere di tutte e tre queste tipologie, seppure vi è una forte preponderanza di aria del repertorio francese in cui decisamente Meyerbeer fu uno dei maestri assoluti.
La Damrau apre la registrazione con l’aria di sortita dell’orfana Berthe dal grand-opéra “Le Prophète” (1849) ed è un po’ uno strizzare l’occhio alla grande tradizione italiana. Infatti Giuseppe Verdi porrà quest’opera al disopra di tutte le altre opere di Meyerbeer. Verdi troverà senz’altro ispirazione dal Profeta per il proprio “Don Carlo”. La vicenda infatti è ambientata nel Cinquecento, e anch’essa tratta di controriforma e di fanatismo religioso. Quest’aria mette subito in luce le abilità (piro)tecniche della Damrau che saranno il cavallo di battaglia di tutto il recital.
Si prosegue poi con la cavatina di Isabelle del quarto atto di “Robert le Diable” (1830), il più grande successo mai ottenuto da Meyerbeer. “Robert le Diable” fu guardata quale capolavoro da Wagner e Hector Berlioz e può essere considerata l’opera più internazionale di Meyerbeer, grazie alla forte presenza del fantastico romantico caro, per esempio, a Weber, un melodismo attento all’evocazione ambientale e gli immancabili ballabili. Quest’aria invece è un giusto contraltare della precedente, in cui la Damrau può dar sfoggio a tutta l’eleganza della propria linea vocale, con un’interpretazione davvero di grande fascino.
Viene poi preso in considerazione anche il genere immancabile dell’Opera-Comiques con “L’Étoile du Nord” (1854) e “Le Pardon de Ploërmel” (1859; conosciuta anche come “Dinorah”, dal nome della protagonista), gli unici due titoli con cui Meyerbeer si cimentò nel genere. L’aria di Catherine “C’est bien l’air que chaque matin” de “L’Étoile du Nord” è una delle numerosissime dell’opera che segue la caratteristica forma acouplet. Inoltre vi è grande interesse per un’estrema arditezza virtuosistica nella linea vocale. L’impiego di arie virtuosistiche di stampo italiano rientra d’altronde nei canoni dell’opéra-comique e di fatti troviamo un bellissimo esempio anche in “Le Pardon de Ploërmel”, con l’aria del secondo atto “Ombre légère qui suis mes pas”. Scritta per un vero soprano di coloratura (e cavallo di battaglia di Adelina Patti), il brano va fatto risalire alla lunga tradizione ottocentesca di arie di follia: su un ritmo di valzer, Dinorah canta e balla con la sua ombra, invitandola a non allontanarsi da lei, e intreccia con il flauto vertiginose cadenze. Due flauti sono altresì protagonisti dell’aria “C’est bien l’air que chaque matin”: bellissimo è il lavoro di fino che il soprano tedesco mette a punto con i due flauti dell’Opera de Lyon, restituendoci una grandissima esecuzione, scintillante, energica ma anche sensilmente attenta alla pulizia del dettaglio. Molto interessante anche il bell’equilibrio tra patetismo e arditezza tecnica di Dinorah.
Il fulcro del recital si ha ovviamente con le due opere più famose di Meyerbeer: “Les Huguenots” (1836) e l’ultimo capolavoro del 1865, “L’Africaine”. De “L’Africaine”, il soprano tedesco presenta due diverse arie, proprio sottolineando l’importanza di questo ultimo lavoro. “Ô beau pays de la Touraine” è decisamente il momento più alto del recital, nonchè di tutta la produzione meyerbeeriana, in cui la Damrau riesce bene a conciliare la propria impeccabile tecnica con squarci più meramente lirici.
Per quanto riguarda l’opera di genere “tedesca” troviamo quali esempi due arie da Singspiel dimenticati: “Alimelek, oder die beiden Kalifen”, rappresentata la prima volta a Dresda, e “Ein Feldlager in Schlesien” (Berlino, 1844), revisionato più volte e i cui materiali musicali entreranno a far parzialmente parte di “L’Étoile du Nord”. In queste due aria la Damrau può lasciar spazio alla propria grande interpretazione tipica mozartiana che l’ha resa indimenticabile in questo repertorio, avvicinandosi a questi due titoli con l’ironia, la schiettezza e la freschezza necessaria.
Ho lasciato volutamente per ultimo il periodo italiano perchè proprio in Italia Meyerbeer lasciò molte tracce e fu partecipe in un duello a distanza con il maggiore compositore italiano del periodo: Gioacchino Rossini. “Emma di Resburgo” fu rappresentata per la prima volta al Teatro San Benedetto di Venezia nel 1819, a pochi mesi dall’”Eduardo e Cristina” di Rossini la quale venne completamente eclissata dal trionfo meyerbeeriano. Nonostrante questo Meyerbeer ebbe modo di conoscere Rossini e i due furono legati da una profonda amicizia. Segnalo per altro che “Emma di Resburgo” è stata recentemente registrata in forma integrale a Vienna. “Il crociato in Egitto” fu rappresentato nel 1824 sempre a Venezia ma alla Fenice e divenne in breve il maggior successo di Meyerbeer in Italia. Le novità di questa partitura sono molteplici. Innanzitutto Meyerbeer fu il primo, in questo aprendo la strada a Vincenzo Bellini e Giuseppe Verdi, a stabilire un rapporto di collaborazione con il librettista (in questo caso Gaetano Rossi, futuro autore del libretto della “Semiramide” di Rossini), documentato da un ampio epistolario. L’opera, scritta espressamente per l’ultimo grande castrato, Giovan Battista Velluti, è uno spartiacque tra il passato e il futuro del teatro musicale meyerbeeriano. Sono notevoli, accanto ai travestimenti e alle agnizioni tipici dell'opera seria, gli inserimenti di danze, marce, assiemi fragorosi, colpi di scena e scene di carattere che, unitamente al gioco teatrale vario e ricco, all'orchestrazione molto più ambiziosa ed elaborata rispetto a quello che si riscontra nel coevo melodramma italiano e all'opulenza della concezione generale. L’ampio stralcio da “Il crociato in Egitto” è un vero omaggio di Meyerbeer alla produzione seria rossianiana (grazie anche alla fugace presenza di Laurent Naouri) e forse per questo la Damrau non è a completo agio; la si sente fin da subito in difficoltà con una difettosa pronuncia e anche la scrittura vocale non è risolta nel migliore dei modi. Leggermente meglio nell’aria patetica di “Emma di Resburgo”, ma bisogna dire che le pagine in cui il soprano tedesco mostra più sicurezza e un risultato più consono sono quelle proprie del Grand Opera, dell’Opera Comique e quelle del Singspiel.
La Damrau è sempre ottimamente sostenuta da una pregevole Orchestre de l’Opéra National de Lyon e un coro vigoroso e puntuale, sotto la bacchetta di Emmanuel Villaume, sicuro interprete del repertorio francese, che si mostra non solo attento all’esigenze della star ma anche alla ricerca di colori, di dettagli e di timbri idonei.
In conclusione possiamo dire che assolutamente un cd che delizia le orecchie sia dell’ascoltatore più ricercato ed esperto, sia di chi si avvicina alla prima volta a questo repertorio.
Fabrizio Meraviglia