Handel di Julia Lezhneva
Aggiunto il 22 Novembre, 2015
Un piccolo passo indietro rispetto alle performance precedenti, questo disco di Julia Lezhneva che esplora la produzione di un Handel suo coetaneo all’epoca in cui fece il viaggio in Italia, ove compose i suoi primi capolavori.
È nel 1707 che debutta nel mondo dell’oratorio con “Il trionfo del tempo e del disinganno”, ampiamente rappresentato in questo recital. L’aria “Lascia la spina” è il primo abbozzo di quella che poi diventerà l’aria di Almirena nel posteriore “Rinaldo”, e cioè “Lascia ch’io pianga”
E, sempre nel 1707, compone la prima opera italiana, “Rinaldo”, rappresentata a Firenze (fu commissionata da Ferdinando de’ Medici).
La seconda opera del periodo italiano fu invece la più famosa “Agrippina”, su libretto di Grimani, rappresentata a Venezia nel 1709. “Agrippina” contiene elementi comici e paradossali tipici dell’opera veneziana, ma il personaggio principale non è affatto buffo e richiede una cantante non solo a posto vocalmente, ma anche in grado di far percepire quei contrasti e quelle ambizioni su cui Handel lavora già in modo molto maturo.
Ed è proprio da questa constatazione che mi corre obbligo iniziare la mia recensione perché, purtroppo, è il brano peggiore e di gran lunga, al punto da essere quasi caricaturale: sentire una brava cantante come la Lezhneva fare la voce grossa per cercare di rendere i tormenti del proprio personaggio, è peggio che brutto: è parodistico. E purtroppo questa grave caduta di gusto abbassa drasticamente il livello di un disco che avrebbe molti motivi per essere interessante.
Innanzitutto proprio la protagonista, Julia Lezhneva. Di lei abbiamo già parlato con entusiasmo al comparire del primo disco, quello del 2010 dedicato a Rossini e diretto da Minkowski. Da allora, la cantante russa ha avuto una carriera eccezionale: amata e coccolata dai più importanti direttori, entrata nel giro discografico importante (è ormai – e non da oggi – una affermata star Decca), le manca solo una più precisa affermazione teatrale che, al momento, le sembra ancora preclusa per limiti interpretativi che, anche all’ascolto di questo disco, sembrano essere quelli più rilevanti.
Non gli unici, peraltro.
La voce, infatti, pur di un colore ambrato assolutamente bello, pur dotata di fiati interminabili, si sviluppa prevalentemente “in bocca” col risultato che le agilità, anche se sgranate con una liquidità, precisione e intonazione adamantine, non appaiono adeguatamente sostenute. Ne deriva una fonazione rapida e vertiginosa che – pur se non “isterica” come quella della Bartoli – ad essa finisce per assomigliare se non nell’attualità, quanto meno nella prospettiva.
A ciò si aggiunga il repertorio, sicuramente interessante e molto tematico, ma che dà l’impressione di voler sviluppare una tesi, quella cioè del “famolo strano”. Non che ci sia oggi qualcosa di strano nel Barocco in genere e in Handel in particolare; ma l’impressione rimane.
Infine, sempre per rimanere in area bartoliana: basta recital! I recital sono importanti, però per misurare la reale dimensione artistica di una cantante occorre l’opera intera. Da questo punto di vista, la registrazione integrale del “Siroe” di Hasse con Petrou (sempre Decca) rimane a tutt’oggi la cosa migliore fatta dalla Lezhneva; anche meglio di “Alessandro”.
Fatte queste doverose premesse, rimane però la considerazione che Julia Lezhneva è realmente una cantante interessante, di classe superiore, con enormi potenzialità da sviluppare (ha poco più di 25 anni); ma deve sviluppare un lavoro teatrale che adesso le manca in tutti i sensi, e come pratica fisica, e come senso dell’interpretazione. E questo, per una cantante d’opera moderna, è un limite pressoché inaccettabile.
In tal senso, è incomprensibile la scelta del brano di “Agrippina”. Perché proprio un’aria della protagonista che, attualmente, le è lontana le mille miglia (e tale, considerando le caratteristiche della Lezhneva, credo continuerà ad esserle anche negli anni che verranno)? Non sarebbe stato meglio scegliere un’aria di Poppea? Ce ne sono così tante e bellissime, non si capisce per quale motivo non valorizzarle, tanto più che in tempi recenti c’è stato un lavoro enorme di direttori come Jacobs che hanno “centralizzato” la posizione di questo personaggio…
Molto belli invece i brani religiosi, la cui tessitura per lo più centralizzante esalta il meglio del medium vocale di Julia. Fra questi segnalo, anche per la particolare intensità compositiva, il “Salve Regina”, fra gli esiti più alti della letteratura musicale sacra di ogni tempo; e la Lezhneva ne è interprete attenta, commossa e partecipe.
Piacevole anche il “Lascia la spina”, staccato da Antonini con un tempo lentissimo, che lascia presagire una Almirena di potenziale, notevolissimo interesse.
I brani del giovane Handel italiano sono complessivamente interessanti pur se non, ovviamente, come quelli delle opere della maturità. Non manca ovviamente lo “stacchetto” sinfonico che permette a Antonini e al suo Giardino Armonico di risaltare con il dovuto sbalzo.
Peccato – come dicevo prima – non aver puntato maggiormente in altre direzioni avendo a disposizione composizioni di tali potenzialità e una cantante con queste caratteristiche.
Oggettivamente non si può aver tutto
Pietro Bagnoli