Turandot
Aggiunto il 02 Giugno, 2017
Un solo vero motivo di interesse per riascoltare questi dischi, ed è la presenza dell’immensa Inge Borkh che, giusto in questi giorni, ha raggiunto le sue invidiabili prime cento primavere.
Nata Ingeborg Simon a Mannheim nel 1917, all’epoca di questa registrazione aveva 36 anni ed era nel pieno dei propri straordinari mezzi.
La sua Principessa, peraltro vocalmente irreprensibile, non è la solita spada d’acciaio, ma una creatura palpitante e viva, piena di inquietudini. Eccellente sin da “In questa Reggia”, che viene reso con un tono malinconico affascinante e, in quel momento storico, del tutto inconsueto e inusuale.
La scena degli enigmi è poco interessante anche per la presenza di un partner davvero generico ancorché vocalmente soverchiante.
Molto più interessante è il terzo atto, che ripropone integralmente il “Del primo bacio, sì, straniero”, spesso tagliato, che rende con un’ansia febbrile davvero inconsueta nella discografia; la trionfalata finale è, ancora una volta, trascinata verso il basso dalle intenzione del tenore.
Mario Del Monaco si astiene dall’acutazzo orrendo di tradizione sul “Ti voglio tutta ardente d’amor”, ed è il meglio che si possa diredi tutta la sua performance. Per il resto, fa sentire la sua presenza soverchiante (anche in sede di mixaggio) con un tono plebeo che anticipa il Gassman stracciarolo di “Se permettete parliamo di donne”, dimostrando per le stesse e per i loro turbamenti una considerazione di analogo livello.
Niente da dire sul piglio da heldentenor: era uno dei pochi che se lo potesse permettere e lo fa con una sicurezza invidiabile; ma siamo lontani anni luce da campioni vocali parimenti stratosferici come Corelli o Bjoerling, e di lui molto più appropriati.
Fra questi due poli, ci sta la bellezza olimpica di Voce d’Angelo, che smorza meravigliosamente sulla prima aria e che replica con un’estatica messa di voce su “Principessa, l’Amore”, ma che per il resto è generica e forse anche un filo troppo pesante per una parte come questa.
Il resto del cast fa media routine, senza particolari lodi e qualche discreta disistima, soprattutto alla voce Altoum, qui rappresentato da un cantante proprio inadeguato.
Modesta, inoltre, la direzione di Erede, che fa uso e soprattutto abuso di effetti coloristici sovrasaturando il Technicolor, probabilmente anche allo scopo di mettere alla frusta i mezzi tecnici della Decca; ma i colori non arrivano a comporre il quadro, che infatti è la solita tiepida zuppetta sentimental-pucciniana di chi di Puccini coglie solo il sopranatante. È anche presente il solito taglio nel terzetto delle Maschere (Ne abbiam visti arrivar degli aspiranti)
Pietro Bagnoli