Adelson e Salvini
Aggiunto il 11 Aprile, 2017
“Adelson e Salvini” venne rappresentata per la prima volta nel febbraio 1825 al conservatorio reale di Napoli e fu il primo dei soli dieci titoli composti nell’arco di dieci anni da Vincenzo Bellini (1801-1835); nessuna grande composizione precede “Adelson e Salvini”, solamente alcune cantate da chiesa o esercizi di strumentazione. Bisogna pensare invece che solo due anni dopo, nell’ottobre 1827, Bellini fece ingresso in uno dei maggiori teatri italiani dell’epoca: al Teatro alla Scala venne rappresentato “Il pirata”. “Adelson e Salvini” può essere considerato tranquillamente quindi il vero grande spartiacque nel corso della breve vita e fulminante carriera del compositore catanese.
È difficile accostarsi all’ascolto di questo titolo come qualcosa di già compiuto piuttosto che ponendosi alla ricerca della volontà musicale di un compositore alle prime armi ma che di li a poco sarà universalmente riconosciuto come uno dei più grandi. Già per esempio nella sinfonia di “Adelson e Salvini” si possono ravvisare temi che saranno utilizzati nel successivo “Il pirata”, o ancora interi numeri che verranno riciclati in nella versione rivista di “Bianca e Fernando” (1828), oppure “La straniera” (1829) e “I Capuleti e i Montecchi (1830)”. Tuttavia, nonostante questi autoprestiti, risulta abbastanza difficile trovare stretti legami tra tutti i successivi titoli e “Adelson e Salvini”, per il quale viene utilizzato un libretto presistente e per di più di modesta qualità, a differenza dei successivi grandi libretti di Felice Romani, oppure ancora l’uso del dialogo anzichè del recitativo per le parti di azione o ancora la presenza dell’unica figura buffa (e per giunta cantante in dialetto napoletano) di tutto il repertorio belliniano. Piuttosto bisognerebbe guardare al passato che al futuro nell’analisi di quest’opera: per esempio al fatto che alla prima rappresentazione i ruoli futurono tutti, senza eccezioni neppure per i personaggi femminili, interpretati da studenti maschi del conservatorio, oppure ancora come la trama guardi più al gotico imperante nel fine Settecento piuttosto che ai grandi temi romantici che sarebbero sopraggiunti di lì a poco.
Della vita di Bellini agli esordi della carriera si sa ben poco, ma siamo certi che arrivò a Napoli nel 1819, capitale del regno delle due Sicilie e con dimensioni all’epoca dieci volte superiori a quelle della sua città natale, mentre la vita musicale cittadina era dominata dall’attività di rinnovamento di Rossini che in quegli anni era a metà del proprio mandato quale direttore artistico del Teatro San Carlo, proponendo proprio nel 1819 capolavori del calibro di “La donna del lago” e “Ermione”. Il conservatorio era diretto invece da Niccolò Zingarelli che promuoveva i valori melodici tradizionali della gloriosa scuola napoletana, per intenderci quella di Cimarosa e Paisiello. Gli studenti, tra cui ovviamente Bellini, erano quindi divisi e attratti da questi due grandi poli: la modernità rossiniana e la magnificenza del San Carlo da un lato; la scuola tradizionale e l’ambiente modesto del conservatorio dall’altro.
Bellini tuttavia non tardò a primeggiare e a trovare la propria strada. Dal 1823 venne innalzato al grado di “primo maestrino”, una sorta di tutor che seguiva gli allievi più giovani e in alcuni casi suppliva il maestro. Quale privilegio aggiuntivo Bellini aveva diritto a una stanza personale e a un lasciapassare per il San Carlo da utilizzarsi il giovedì e il sabato. E l’anno successivo arrivò quindi l’invito a comporre un’opera per il teatrino del conservatorio: nacque così “Adelson e Salvini”.
La possibilità di scrivere un’opera al termine degli studi non era concessa a tutti, al massimo a uno studente per anno scolastico, ed era una chiara opportunità di mettere solide basi per l’inizio di una carriera compositiva. Probabilmente il libretto venne distribuito direttamente a Bellini senza che egli possa avere avuto un’opinione al riguardo. La scelta fu abbastanza semplice: si rimase all’interno della produzione musicale napoletana, con un libretto scritto dal letterato Andrea Leone Tottola messo già in scena nel 1816 al Teatro dei Fiorentini con musica di Valentino Fioravanti, a cui aveva preso parte un giovane Giovanni Battista Rubini (il quale diverrà il tenore preferito da Bellini stesso e fonte di ispirazione per molte sue opere). Perchè proprio “Adelson e Salvini”? Non dobbiamo dimenticare che si trattava di mettere in piedi una recita scolastica e il libretto di Tottola offriva pochi cambi scena e i momenti di spettacolo quali l’incendio della fattoria (atto II) e la descrizione del castello di Adelson avvengono in realtà fuori scena, delimitando l’area di svolgimento dell’azione a una scena di giardino all’aperto per i primi due atti e a un lugubre e cupo padiglione per il terzo. Inoltre, seppure potrebbe far pensare a una cosa meno modesta, il libretto prevedeva otto ruoli cantanti (tre personaggi femminili, come abbiamo detto comunque interpretati da contralti uomini, e cinque maschili, di cui uno per voce tenorile) e dava la possibilità di prendere parte alla recita a più studenti. Comunque Bellini dal libretto originario tagliò un’aria destinata a Madama Rivers (governante di Adelson) e ridusse il ruolo di Fanny, redendo di fatto questi due personaggi come secondari.
Tottola aveva tratto il libretto da una novella del letterato francese François-Thomas-Marie de Baculard dal titolo “Adelson et Salvini. Anecdote anglaise” (1792), un testo infarcito di stilemi romantici e di sentimentalismo che ebbe grande circolazione in Francia, Germania, Inghilterra ma anche in Italia. Purtroppo non abbiamo alcuna fonte che ci dica se Bellini conoscesse o meno questa novella.
“Adelson e Salvini” è stata concepita inoltre su influenza dell’opéra comique in voga nel primo Ottocento a Napoli, quindi con numeri interamente cantati inframmezzati da dialoghi parlati. Pertanto Bellini potè concentrarsi totalmente alla composizione delle sole arie, dei duetti e degli ensembles. Per quanto riguarda le scelte stilistiche, specie nel primo atto, molte delle arie e passaggi sono senz’altro continuazione ideale degli esercizi melodici e di contrappunto imposti dallo Zingarelli, sintomo che Bellini aveva bene appreso la lezione del maestro. Il solo di Fanny che apre il primo atto (“Immagine gradita”), per esempio, è delizioso nella sua semplicità che mostra comunque una bella e non omologante armonia di fondo. La successiva aria di Struley (“Tu provi un palpito”) è anch’essa in qualche modo una retrospettiva sul percorso di studi, però ha adattato la linea melodica alle potenzialità vocali del primo interprete del ruolo (tale Talamo) che sembrava avesse un ristretto registro ma in possesso di un re acuto oltremodo squillante e sonoro. D’altro canto però l’andamento ritmico della sinfonia e le scintille vocali degli ensembles (si veda il finale del primo atto o il duetto tra i due protagonisti del titolo nel secondo atto) ammiccano visibilmente allo stile rossiniano, mettendo in bella luce le grandi abilità di Bellini (nonchè degli interpreti della sua musica). Nelle opere più mature Bellini di solito era abilissimo a sintetizzare la più fresca melodia con scelte più ardite ma in “Adelson e Salvini” si paga ovviamente lo scoglio dell’inesperienza. Se però vogliamo cercare a tutti i costi qualcosa che ricordi il Bellini maturo, piuttosto che negli ensamble e nei duetti dobbiamo guardare alla romanza di Nelly del primo atto, “Dopo l'oscuro nembo”, divenuto anche oggi brano di appannaggio di qualche diva nei propri recital anche perchè venne ripreso ne “I Capuleti e i Montecchi” nella famosa aria di Giulietta “O quante volte”, oppure l’aria di Salvini del terzo atto “Sì, cadrò ma estinto ancora”.
Purtroppo “Adelson e Salvini” paga quindi dazio nell´essere spesso vista come un’opera acerba, dalle molte sfaccettature che, seppure buone, non creano un’opera omogenea nella fattura. Per esempio, nella seconda metà del primo atto abbiamo la cavatina di Bonifacio che ci guida direttamente al suo duetto con Salvini (più propriamente sarebbe un’aria di Salvini con intromissioni del buffo); Salvini si mostra subito come un personaggio incandescente che raggiunge spesso gli apici del registro; poi si ha subito la romanza di Nelly che porta al lungo finale primo e solo quasi al termine di esso sentiamo per la prima volta la voce di Adelson. E ciò avviene con una musica di grande floridità, di certa influenza rossiniana, ma nel frattempo mostra anche il carattere del personaggio. In poche parole, quel che Bellini acquisisce da Rossini, più che singole caratteristiche stilistiche, è la modalità di gestire il virtuosismo belcantistico quale parte imprescindibile del melodramma, uno strumento per dare completo dispiego alle possibilità delle risorse vocali.
“Adelson e Salvini” venne recepito con grande favore dal mondo musicale napoletano che spinse la direzione del San Carlo a coinvolgere Bellini per un’altra opera: nacque così “Bianca e Gernando” (1826). Il compositore venne così in contatto con Domenico Barbaja, a quel tempo impresario del maggior teatro di Napoli, che lo scritturò per un altro titolo per l’altro grande teatro che gestiva: vide così la luce “Il pirata”, rappresentato per la prima volta alla Scala di Milano 27 October 1827. Questi sono i primi passi dell’astro belliniano.
Da alcune lettere di Bellini all’amico cantante Florimo, intorno al 1828 il compositore pensava seriamente di rimettere mano alla partitura di “Adelson e Salvini” in modo da metterla in scena al Teatro del Fondo di Napoli o anche in altro teatro, facendo aggiunte e revisioni e autorizzò Florimo a modificare, secondo l’esigenza, la partitura in modo da portare la rappresentazione in due atti anzichè tre.
La trama in poche parole. Il giovane lord Adelson, chiamato a Londra dallo zio, sta per fare ritorno a casa, dove lo attende per le nozze l’amata Nelly. Il perfido colonnello Struley ha introdotto in casa di Adelson il servo Geronio con lo scopo di rapirla, ma di Nelly è innamorato anche il pittore italiano Salvini, amico di Adelson. Salvini consegna a Nelly una lettera in cui Adelson le comunica la volontà dello zio di obbligarlo a Londra ad un matrimonio di convenienza. A leggere ciò, Nelly sviene e Salvini la soccorre, ma ne è respinto mentre l’improvviso ritorno di lord Adelson è accolto con festeggiamenti.
Struley pensa quindi di far leva sui sentimenti di Salvini per poter avere Nelly. Nel mentre Adelson ha salvato Salvini dal suicidio e pensa di poterlo aiutare dandole in sposa Fanny, di cui lo crede innamorato. Struley però fa credere a Salvini, mediante falso scritto, che Adelson sia già sposato. Questo è un pretesto per farsi aiutare dallo disgustato Salvini nel progetto di rapimento. Adelson quindi presenta Fanny a Salvini per il fidanzamento, ma Salvini ne rimane imbarazzato. Tutti nel mentre vengono distolti dall’incendio della vicina fattoria e Struley ne approfitta per rapire Nelly. Salvini però si pente e vuole salvare Nelly se non che gli parte un colpo di pistola con cui crede di avere ucciso la ragazza.
Adelson vuole sistemare la situazione ed interroga Bonifacio che gli conferma l’amore di Salvini e anche Salvini, che crede morta Nelly, gli conferma che il colpo era in realtà destinato al colonnello Struley. Adelson finge di voler punire Salvini del tradimento mostrandogli la salma di Nelly. Nelly in realtà appare sana e salva perchè il colpo partito non l’aveva neppure sfiorata. Adelson si mostra magnanimo e concede a Salvini di tornare in Italia.
Come sempre, grazie alla beneamata etichetta Opera Rara possiamo riscoprire questo titolo rarissimo del catalogo belliniano. Opera Rara, con il supporto del musicologo Fabrizio Della Seta, si è impegnata nella ricostruzione più plausibile della prima versione e, come spesso capita per questa etichetta, le parti aggiunte e le revisioni della seconda versione del 1826-29 sono state registrate come appendice. In un saggio contenuto nel solito esauriente e dettagliatissimo opuscolo di accompagnamento, Della Seta presenta in modo chiaro e avvicente la ricostruzione dell’edizione critica da lui eseguita su entrambe le versioni.
Punto forte della registrazione è sicuramente la direzione di Daniele Rustioni. Mi è capitato di sentirlo in teatro solamente impegnato in titoli verdiani e le prove erano abbastanza interlocutorie. Nonostante il giovane direttore milanese credesse nella partiture del Verdi minore, possiamo dire che l’idea sormontava di gran lunga l’esito musicale: l’orchestra era spesso imprecisa e caotica, con dinamiche monocrome e tendenti tra il forte e il fortissimo. In questo “Adelson e Salvini” invece vediamo decisamente una prova di maggior maturità da parte di Rustioni. Ancora una volta il direttore crede in quel che dirige e lo vuole presentare non come un Bellini minore, ma come il titolo che ha portato il compositore siciliano alla gran carriera futura. Ed ecco allora che abbiamo sonorità levigate e dinamiche perfette fin dall’esposizione della sinfonia. L’orchestra è in grandissimo spolvero e risponde al meglio possibile, anche nelle singole parti come avviene per esempio nel duetto tra Adelson e Bonifacio in cui il clarinetto dialoga meravigliosamente con le due voci.
A differenza di molti titoli proposti da Opera Rara, quest’edizione ha il lusso di avere nei quattro titoli principali altrettanti cantanti che primeggiano nell’attuale panorama belcantistico o comunque italiano in generale. Daniele Barcellona è la grandissima interprete che tutti conosciamo. Il ruolo di Nelly non è stratosferico ma deve affrontare una delle più entusiasmanti, se non la più bella, aria belliniana: “Dopo l’oscuro nembo” che diverrà poi celeberrima quale ripresa nella cavatina di Giuletta (quindi trasposta per soprano) ne “I Capuleti e i Montecchi”. L’aria è poi anche registrata una seconda volta nella variante scritta per la seconda versione. La cantante triestina esibisce tutto il fascino della propria voce con timbro assolutamente vellutato, dizione cristallina e tecnica invidiabile. Anche tutte le altre entrate son praticamente perfette e menzione speciale va anche alla gestione dei dialoghi.
Simone Alberghini sta facendo una bella carriera sui palcoscenici italiani (ma non solo) quale acclamato interprete rossiniano e donizettiano (ma non solo). E lo strumento è infatti invidiabile: bel timbro rotondo e brunito, dizione perfetta, perfetto controllo di tutto il registro. Stupendo il suo ingresso nel finale del primo atto, ma capolavoro della registrazione è il suo duetto con Salvini nel secondo atto, “Torna, o caro”. Alberghini trova infatti un buon contraltare in Enea Scala. Il tenore ragusano ha bella tenuta e registro fascinoso nella zona media, purtroppo però in alto tende alcune volte a fibrarsi e assottigliarsi. Potremmo dire che potrebbe essere un validissimo “tenore contraltino”, ma deve lavorare maggiormente sugli acuti. Infatti l’interpretazione c’è tutta ed è magnifica, così come l’articolazione del fraseggio perfetto nei numerosissimi e sfiancanti numeri in cui è in scena. A tal proposito vale ricordare l’ingresso in scena nel primo atto a fianco di Bonifacio con il duetto “Speranza seduttrice” oppure ancora l’aria “Sì, cadrò ma estinto ancora”, in cui la fresca voce di Enea Scala interpreta molto bene l’ideale romantico del pittore timido e corroso da una passione interiore.
Bonifacio è Maurizio Muraro che diviene il mattatore della registrazione. Muraro deve interpretare il ruolo forse più strano all’interno della produzione belliniana, perchè è l’unico buffo presente nel catalogo e per di più usa il dialetto napoletano. E ne esce un personaggio che si avvicina ai grandi ruoli comici rossiniani e paisielliani (per esempio il poeta Isidoro nella “Matilde di Shabran”). Per creare questi ruoli bisogna puntare tutto sulla dizione e sull’articolazione delle singole sillabe e Muraro non sbaglia un colpo, creando un personaggio a tutto tondo: imbelle, alcune volte duro e deciso, ma con un cuore d’oro, timido e fermo nel proteggere il proprio padrone, ovvero Salvini.
Purtroppo le parti di fianco mostrano parecchi limiti, e in particolare tutti quello della lingua italiana. Lo Struley di Rodion Pogossov è troppo rude e sgraziato e la sua aria iniziale è veramente inquietante, così come il suo aiutante Geronio, impersonato da David Soar. Le due donne (Kathryn Rudge quale Fanny e Leah-Mariah Jones quale Madama Rivers) poi sono al limite della sufficienza, mostrando emissione stridula in tutta la tessitura; c’è da dire che i loro ruoli son molto brevi e non fan in tempo a danneggiare il tutto.
Il coro di soli uomini (elementi del Opera Rara Chorus) ha bel impasto sonoro e incisività nei tre finali d’atto in cui riesce bene a mettere in luce la gioiosità e la festosità al ritorno di Adelson (atto I) e nel classico finale in cui il padrone mostra la propria magnanimità (atto III), ma anche tristezza e paura con il rogo del secondo atto.
Finalmente Opera Rara ci regala una gran bella registrazione per un titolo che tutto sommato merita di essere conosciuto per comprendere al meglio la produzione belliniana nel suo insieme ma anche la sua relazione con l’opera italiana coeva.
Fabrizio Meraviglia