Duets di Netrebko,Villazon
Aggiunto il 23 Aprile, 2007
Ecco un disco che colpisce subito nell’inalberare in copertina la coppia che sognare il mondo operistico fa: quella che assembla Villazon e Netrebko in un melange molto glamour che, probabilmente, tenta di ripercorrere la stessa operazione commerciale che già fu esperita ai tempi del duo Alagna-Gheorghiu. Qui non ci consta che esista una liaison sentimentale, ma la copertina e le foto del booklet sembrano suggerirlo in un’atmosfera vagamente gossip.
A parte questi aspetti frivoli, il disco presenta un contenuto interessante: otto duetti tratti da opere famose e non. Le ultime due selezioni sono un grazioso omaggio che ognuno dei due cantanti fa alla Patria d’origine del partner. E mentre la Iolanta gode sicuramente di un’ottima tradizione esecutiva, la Zarzuela di Federico Moreno Torroba (composizione del 1932) è sicuramente meno famosa dalle nostre parti ma, come tutte le composizioni provenienti da quell’area geografica, meriterebbe una considerazione maggiore.
Ma – per venire allo specifico – come sono i nostri?
Prevedibilmente molto bravi. Il programma è scelto con la massima cura che permetta di evitare i trappoloni per lui (le scene in cui tende ad andare fastidiosamente sopra le righe) e per lei (quelle in cui è messa alla prova la tenuta della coloratura), privilegiando invece momenti di tenerezza, possibilmente calati in atmosfere conosciute, senza nessuna pretesa di reinventare la storia della musica – il che, dato il contesto, non sarebbe nemmeno richiesto – quanto piuttosto di regalare un’oretta e rotti di serenità e buon umore.
Annina diventa sempre più brava ogni giorno che passa. L’avevamo ammirata recentemente nella Manon di Massenet, e non solo per la sua bellezza e la sua ormai collaudatissima capacità di stare in scena, ma anche per le sue notevoli capacità vocali, che la facevano stare a proprio agio anche nelle asperità del Cours de la Reine. Ascoltando questo disco di duetti non possiamo fare altro che confermare l’impressione: è ormai una realtà di quelle con cui bisogna fare i conti nel repertorio lirico, in cui si pone di fatto come l’erede di Kiri Tekanawa rispetto alla quale vanta una maggior sensualità e sessappiglio non solo nella figura e nella recitazione, ma proprio anche nel mezzo vocale e nel modo in cui viene utilizzato. Consideriamo per esempio la sua Mimì: siamo lontani le mille miglia dalle caste estenuazioni di tante cantanti affezionate all’immagine della fioraia tisica e sfigata; questa voce carnosa, rigogliosa di femminilità getta una luce nuova sul personaggio di cui d’ora in avanti bisognerà tener conto anche per superare la tradizione fra il floreale e il liberty che ha sempre oppresso questo personaggio.
Anna di disimpegna bene anche in Lucia, ma si capisce che non è il suo ambito di elezione; così come non lo è più Gilda, da cui è ormai psicologicamente lontana. Mentre invece – ed è una bella cosa – viene proposto il duetto della Manon in cui il canto della cantante russa può trovare il suo vero e proprio territorio di elezione; anche se non si può prescindere dalla visione dello spettacolo di Vienna, per ora solo teletrasmesso ma speriamo presto oggetto di un’edizione in DVD. Ottima, prevedibilmente, anche Iolanta; strepitose Leïla e Juliette, a confermare il notevole feeling di Annina con l’opera francese. Un po’ più pesce fuor d’acqua appare nella zarzuela, probabilmente anche per problemi linguistici non banali.
Nonostante si abbia la sensazione che Anna renda molto meglio sul palcoscenico che in sala di registrazione, questa è nel complesso una prova non solo simpatica, ma anche densa di contenuti tecnici di tutto rispetto, a confermare che si tratta di una cantante importante e probabilmente titolare di riferimento per i ruoli lirici negli anni attuali e a venire.
Più complesso il discorso per Villazon. A lui invece la sala di registrazione permette un maggior controllo di tutti quegli istrionismi sempre sopra le righe che profonde a piene mani sul palcoscenico.
La voce è una di quelle che contano tanto. L’ispirazione a Domingo è sempre evidente almeno nella zona centrale del pentagramma, ma rispetto all’illustre modello non c’è mai una tendenza a far valere il carisma e la simpatia, quanto piuttosto la violenza nel porgere. Paradigmatico, da questo punto di vista, il suo Edgardo: debole, insicuro, eppure violento nell’emissione, quasi smargiasso, ma in modo da far tenerezza; ricorda un po’ – e sarebbe un complimento – Di Stefano. Anche lui appare a disagio nell’aspra tessitura del Duca (complessivamente è il pezzo meno riuscito), mentre è straordinariamente efficace come Des Grieux, ove riesce a coniugare disperazione e voglia di tenerezza. Nella Iolanta si sforza di seguire la compagna, ma anche a lui è nemica la prosodia nella lingua straniera, mentre invece – per pareggiare i conti – mostra maggior sicurezza nella zarzuela, tipologia in cui peraltro ci sembra che il vecchio leone Domingo abbia ancora molte più frecce al proprio arco.
Complessivamente la prova di Villazon, pur gradevole, non ci sembra all’altezza di quella della partner, ma non per questo appare censurabile; quello che però si evince è ancora un’affannosa ricerca di una precisa identità d’interprete che sarebbe doverosa in un cantante così lanciato.
Molto buono l’accompagnamento di Luisotti (che si ritaglia due piccoli cammei nel duetto del Rigoletto) e la presenza opulenta della compagine della Staatskapelle di Dresda appare financo un lusso