Lunedì, 07 Ottobre 2024

Falstaff

Aggiunto il 09 Ottobre, 2015


Giuseppe VERDI
FALSTAFF

• Sir John Falstaff GIUSEPPE TADDEI
• Ford ROLANDO PANERAI
• Fenton FRANCISCO ARAIZA
• Dr. Cajus PIERO DE PALMA
• Bardolfo HEINZ ZEDNIK
• Pistola FEDERICO DAVIÀ
• Alice RAINA KABAIVANSKA
• Nannetta JANET PERRY
• Quickly CHRISTA LUDWIG
• Meg TRUDELIESE SCHMIDT


Wiener Staatsopernchor
Chorus master: Walter Hagen-Groll

Wiener Philharmoniker
HERBERT VON KARAJAN

Luogo e data di registrazione: Wien, Maggio 1980
Ed. discografica: Decca (precedentemente Philips, poi DGG), 2 CD

Note tecniche sulla registrazione: eccellente rimasterizzazione

Pregi: nessuno in particolare

Difetti: incisione fallimentare in tutte le sue componenti

Valutazione finale: images/giudizi/mediocre.png


Considerando la discografia dell’estremo capolavoro verdiano, si rimane colpiti dal numero insolitamente alto (per un’opera verdiana) di incisioni fallimentari, ivi comprese anche quelle recenti. È come se i direttori – sostanzialmente con la luminosa eccezione di Giulini che, più passa il tempo, più si staglia come un gigante nella comprensione della materia – faticassero a capire lo spirito crepuscolare che pervade quest’opera.
Il protagonista non è un pagliaccio, un guitto di periferia: è un Cavaliere, verosimilmente dell’Ordine della Giarrettiera (c’è nell’opera un sia pur larvato riferimento). Il suo monologo all’inizio del terzo atto ci racconta sul personaggio molto più di quello che potremmo supporre fermandoci alla superficie della sua pancia:
“Io, dunque, avrò vissuto tanti anni,
audace e destro
Cavaliere, per essere portato
in un canestro
E gittato al canale co'pannilini biechi,
Come si fa coi gatti e i catellini ciechi”
E poi, la tragica amarezza:
“Va, vecchio John, va,
va per la tua via; cammina
Finchè tu muoia.
Allor scomparirà la vera
Virilità del mondo”
L’amarezza si stempera nel monologo del trillo, in cui tutti coloro che prima avevano fatto la voce grossa, faticano a trovare il giusto equilibrio.
Ma non può essere un equilibrio del solo protagonista; occorre anche la fondamentale partecipazione del direttore (e, se in teatro, del regista) che deve respirare letteralmente col cantante.
Ma qui, proprio, questa partecipazione non esiste.

Karajan, grandissimo interprete verdiano, propone qui una strana via di mezzo fra una pensosa riflessione sulle prospettive di estrapolazione di un ipotetico sinfonismo verdiano e la revisione dei criteri di comicità italiani visti da un’ottica mitteleuropea.
Aveva già tentato di farlo anni prima con l’incisione Emi, ma aveva mantenuto un tocco leggero e complessivamente più gradevole, nonostante anche lì il cast presentasse riserve non banali; ma qui, per voler portare il discorso alle estreme conseguenze, il gioco riesce infinitamente peggio.
Karajan tenta di perseguire il suo bizzarro disegno servendosi dei mezzi sontuosi dei complessi orchestrali e corali dei Filarmonici di Vienna, e questo è un bene perché la musica dell’ultimo Verdi ha una luminosità meravigliosa, soffusa, crepuscolare, dolcissima, come ce la si può immaginare associata alla vecchiaia di uno che è stato un grande eroe e che ora si gode la vita.
Ma lo fa anche con cantanti a fine corsa, o pesantemente inadeguati a questo tipo di repertorio, chiedendo loro – deduco – di fare i buffoni come si faceva nella prima metà del secolo scorso sui palcoscenici della provincia. Ma quella tedesca, però.
Il risultato, anche rivalutato col senno di poi e al netto della tara degli anni passati, era e continua essere di infima qualità.
Taddei, per esempio, è un disastro completo, totale; e lo dico da grandissimo estimatore dell’arte del baritono genovese, per me uno dei più grandi di sempre. Ultrasessantenne all’epoca di questa registrazione, è messo in terribile difficoltà da una parte che è molto più esigente di quanto possa superficialmente sembrare: fa una fatica bestiale, sin dal monologo dell’Onore che è compitato con una serie di suonacci e di inflessioni parlate, di quelle che non c’entrano nulla con il declamato che sembrerebbe voler evocare (e il tutto è peggiorato dal ritmo letargico di Karajan che scambia questo momento per il Monologo di Philippe II del Don Carlos). Le caccole fischianti, la vocetta da vecchietto dei film western all’italiana, le trovate ridicole da politeama estivo o da teatraccio bavarese di quart’ordine non rendono onore al grandissimo artista che è stato; ma sospetto che siano messe lì a bella posta per mascherare le difficoltà tecniche. Il “Quand’ero paggio del duca di Norfolk” rivela ancora qualche sprazzo del grande fraseggiatore che fu, ma manca totalmente di spontaneità, di sale, aggiustato com’è su un tempo letargico; e la mezzavoce è totalmente spoggiata. A quest’ultimo riguardo, l’uso perenne di un tono sussurrato vorrebbe evocare un parterre di finezze che, invece, mancano nei fatti: è tutto falso e artificioso, tutto costruito e artefatto, tutto terribilmente sgradevole. Raramente mi sono imbattuto in un Falstaff così farlocco; e, che lo proponga il glorioso Taddei, è qualcosa che mi lascia davvero stupito.
Panerai funziona ancora abbastanza bene: quello di Ford è un personaggio che nel 1980 conosce anche capovolto e lo rende complessivamente ancora più che bene. L’ha inciso non so più quante volte, fa i botti nel monologo delle corna e lì, fondamentalmente, si ferma; come se fosse il Toreador in una vecchia Carmen in stile Guiraud-Choudens.
La Kabaivanska fa di tutto per non farsi notare e ci riesce benissimo. Inspiegabile la sua scelta per una parte che dovrebbe essere piena di sale: non c’entra proprio niente con questo repertorio, quindi sembra accennare per fare la raffinata. Siamo davvero anni luce lontani dai riferimenti del ruolo, gente insomma come Ilva Ligabue e, al limite, anche Katia Ricciarelli con Giulini.
Pessima Christa Ludwig: è incredibile come una intelligente e raffinata come lei sembri mancare così tanto di senso dell’umorismo! Anche lei si inventa una voce inesistente, contraffatta, ridicola.
Ingiudicabile la Schmidt per l’esiguità della parte e discreto Araiza in una parte che non sembra interessarlo più che tanto; la Perry è carina e niente più.
Immenso come al solito il grandissimo Piero De Palma in una di quelle parti di carattere che ha nobilitato con la sua presenza e discreti gli altri.
Pietro Bagnoli

 

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