Sabato, 23 Novembre 2024

Otello

Aggiunto il 03 Ottobre, 2015


Giuseppe VERDI
OTELLO

• Otello JON VICKERS
• Desdemona LEONIE RYSANEK
• Iago TITO GOBBI
• Cassio FLORINDO ANDREOLLI
• Roderigo MARIO CARLIN
• Lodovico FERRUCCIO MAZZOLI
• Montano FRANCO CALABRESE
• Un araldo ROBERT KERNS
• Emilia MIRYAM PIRAZZINI

Coro dell’Opera di Roma
Chorus Master: non indicato

Orchestra dell’Opera di Roma
TULLIO SERAFIN

Luogo e data di registrazione: Roma, 1960
Ed. discografica: RCA GD 81969 {2CDS} (UK) (1988)ª; RCA 1969-2-RG {2CDS} (USA); RCA Victor «Living Stereo» 09026 63180-2 (1998)ª

Note tecniche sulla registrazione: assolutamente perfetta

Pregi: il miglior Otello di Vickers

Difetti: Gobbi

Valutazione finale: images/giudizi/buono.png

Il più bell’Otello di Vickers, con un direttore ispiratissimo e con un soprano che cambia la storia esecutiva del personaggio di Desdemona, è funestato dalla calamitosa presenza di Tito Gobbi nei panni del peggior Jago che si possa immaginare.
Il canto (?) di Gobbi è indescrivibile. Se avete sentito il francese Bianco del 1955 o il tedesco Metternich del 1958, vi accorgete proprio di essere su un altro pianeta: scanzonato e sornione il francese, forbito e chiaro il tedesco, per di più ognuno nella propria lingua; inascoltabile e osceno invece l’italiano che, all’epoca di questa registrazione, aveva 47 anni e la RCA dovette pagare i diritti alla Emi per averlo!
Non è questione di essere prevenuti: non c’è un inciso che sia illuminante; non c’è frase che non sia berciata in malo modo. Il canto è davvero di pessima qualità, con acuti faticosissimi e vocalizzazione bloccata su alcuni comodi fonemi; ma è in generale è il personaggio a essere completamente travisato, trasformato com’è nella parodia di un cattivo.
È incredibile che la RCA abbia allestito una registrazione per altri versi assolutamente rivoluzionaria, puntando su questo Jago così disastroso; può darsi che ci fosse la paura di non riuscire a vendere un prodotto nato in Italia ma con due protagonisti su tre stranieri e abituati a un repertorio di area tedesca. Può darsi che le cose siano andate così, quale risposta a una logica commerciale; ma tant’è, e purtroppo la sciagurata presenza di Gobbi abbassa drasticamente il livello di una produzione che, invece, tutto avrebbe avuto per entrare nel novero delle due-tre più importanti di tutti i tempi.
Perché c’è una splendida direzione di Tullio Serafin, bravissimo a differenziare tutti i piani: quello emotivo-sentimentale, quello politico, quello psicotico. Gli estimatori di quest’opera meravigliosi dovrebbero farsi un giro su questi dischi per rendersi conto di come si possa rendere tutta la doppiezza dei sentimenti in campo, la violenza e l’alienazione anche senza essere Karajan o Kleiber.
Perché c’è Leonie Rysanek, vale a dire una delle tre o quattro migliori Desdemone della storia del disco. Purtroppo sono tutte straniere, perché in Italia nessuna era (è) ancora arrivata alla piena comprensione di questo personaggio che non è un agnello sacrificale sull’altare della follia, ma una donna forte, volitiva e moderna che, in altri tempi, sarebbe riuscita a tener testa meglio al proprio consorte. Nonostante qualche nota lievemente stridente, la performance della Rysanek è – in assoluto – una delle migliori e più moderne assieme a quella di Dame Gwyneth Jones (Barbirolli).
E c’è infine lui, Jon Vickers: Otello, per definizione. Non ci sono parole per descrivere quanto e come Vickers, trentaquattrenne all’epoca di questa registrazione, sbaragli il campo consegnando un’interpretazione che rivoluzione completamente il modo di intendere questa parte. Del Monaco aveva 35 anni quando aveva debuttato il ruolo 10 anni prima, consegnandone l’interpretazione alla Storia; sembrava definitiva e, invece, a distanza di così poco tempo tutto cambia di nuovo. L’impostazione da heldentenor wagneriano non impedisce al cantante canadese di sfoggiare meravigliose mezzevoci e di cantare il suo “Dio mi potevi scagliar” come nessuno aveva ancora fatto, evitando cioè il solito monotono declamato e rifugiandosi in un sussurro affranto. Gli acuti non hanno l’arroganza di quelli di Del Monaco – ma, d’altra parte, chi mai prima o dopo ha avuto lo stesso sbalzo? – ma in compenso la frase ha un’incisività talmente profonda da farci vedere, per la prima volta, non più il solito selvaggio con la bava alla bocca ma il nobile condottiero, ipercontrollato, severo e sereno almeno sino alla corruzione indotta da Iago, tanto più incredibile se si considera qual è l’interprete di questo demoniaco personaggio. Sentite per esempio, nel primo atto, il modo in cui dirime la baruffa; o come affronta il duetto con la Rysanek, con tono composto e, nel finale, affranto dal presagio.
Eccellente poi il secondo atto, gestito pressoché da solo anche per la totale assenza di Iago.
Virtualmente perfetto il terzo in cui, nel grande concertato, letteralmente giganteggia. E straordinaria anche la conclusione dell’opera: nel “Niun mi tema” non sentire, per una volta, rutti e rantoli ma il solo abbandono alla musica è una benedizione.
Eccellente l’insieme dei comprimari, a cominciare dallo splendido Cassio di Florindo Andreolli, di cui prima o poi sarà il caso di ribadire l’importanza nelle seconde parti tenorili in cui è stato a lungo alternativo a Piero De Palma, di cui era conterraneo e coetaneo (erano entrambi pugliesi e del 1925)
Pietro Bagnoli

 

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