Rosenkavalier
Aggiunto il 06 Settembre, 2015
Suono un po’ fumoso e abborracciato, come quasi sempre nei broadcast che arrivano dal Met, ma Teatro allo stato puro grazie a un direttore ispiratissimo e a un cast favoloso.
Siamo ovviamente lontani le mille miglia dalla rarefazione “ye old Osterreich” di Karajan e dei suoi languori: qui c’è un’atmosfera un po’ più caciarona, decisamente molto più carnale, e tanta voglia di divertirsi a fare qualche sberleffo alla Vecchia Europa.
Il tutto è governato in modo magistrale da Fritz Reiner, qui al suo ultimo anno di permanenza al Met (vi era arrivato nel 1949), alla testa di un’orchestra che dovrà aspettare Jim Levine per potersi esprimere ancora a questi livelli stratosferici.
Divertentissimo l’intreccio orchestrale, governato da una splendida regia sonora che sì, certo, nelle registrazioni viennesi con Heger e Kleiber sr aveva goduto di maggior pertinenza stilistica, e che con Karajan tre anni dopo raggiungerà una quadratura talmente perfetta – sia in studio che dal vivo – da essere ineguagliabile (Bernstein a parte); ma che qui, comunque, riesce a ricreare un clima magari non idiomatico, magari poco viennese, ma in compenso umano e ricco di teatralità. Il modo in cui non cantano, ma anche “chiacchierano” gli archi – di questa orchestra, poi!... – è qualcosa che va ascoltato perché proprio non ci si crede.
Insospettabilmente fa-vo-lo-sa la Marescialla di Astrid Varnay, in quegli stessi anni al top delle sue performances come Brunnhilde a Bayreuth. Certo, il suo ruolo straussiano sarebbe stato Elektra (ce n’è una testimonianza del 1952 proprio a NY e sempre con Reiner; ne abbiamo parlato sul nostro sito qui: http://www.operadisc.com/rec_dischi.php?id=891), ma fa lo stesso un notevole effetto trovarla qui, su questo stesso palcoscenico e in una parte apparentemente così lontana dalla sua sensibilità. Qui non c’è la femminilità sorridente e carnale di Maria Reining, o quella disincarnata e misteriosa di Elisabeth Schwarzkopf, o quella raffinata e blasé di Lisa Della Casa. Questa è una donna integrale, totale, ricca di sessualità aggressiva. Nella già citata recensione della Elektra di Reiner facevo riferimento per i brani in appendice cantati dalla stessa Varnay a Gene Tierney e Susan Hayward: ecco, aggiungiamo anche Hedy Lamarr e Ava Gardner, e avremo la trentacinquenne Astrid Varnay alle prese con un ruolo di straordinario carisma, ma lontano anni luce da quello che contemporaneamente faceva su altri palcoscenici in Europa. Certo, c’è molto di quello spirito altero e sprezzante che la rendeva così unica. La parte, ovviamente, non la mette affatto in difficoltà; anzi, sembra che ci si diverta a far prorompere per ogni dove una sensualità divertita, rilassata, molto carnale e patinata, si direbbe quasi hollywoodiana. Inizialmente fa uno strano effetto; poi ci si abitua e ci si rende conto che su quel palcoscenico, in quel contesto, non si sarebbe potuta dare una Marescialla migliore.
Dicevamo delle difficoltà vocali, tutte superate con facilità irrisoria (dopotutto, stiamo parlando di una delle due più grandi Brunnhilde del secolo scorso assieme alla Nilsson), ma non è questo che conta. Ciò che affascina è il sorriso dolce e sensuale che questa meravigliosa interprete fa continuamente trasparire da un’interpretazione superlativa che merita assolutamente di essere conosciuta.
Al suo fianco, un Octavian del pari greve di sensualità nemmeno troppo repressa quello affidato a Risë Stevens, più vecchia di Astrid di 5 anni e già navigata nel proprio ruolo (esiste una testimonianza argentina almeno del 1938 diretta da Erich Kleiber). Carriera meno europea e decisamente più americana, quella di questa brava cantante che però suona precisa e musicalissima, oltre che davvero molto carnale.
Anche in questo caso, non considerate interpreti più ortodosse e raffinate (penso soprattutto a Ludwig e Jurinac): impetuosa, sessualmente aggressiva, solare, pragmatica (si pensi alla sua Carmen), la Stevens fa di Octavian una creatura viva e palpitante anche nei siparietti di Mariandl, per una volta non cretini e melensi come da tradizione soprattutto viennese imperante.
L’altro pezzo forte è però il Bue, il basso ungherese Endré Koréh. È il più vecchio dei tre, e proprio non ce lo si immagina in una parte come questa; eppure è spiritoso, salace, mai caricato. Naturalmente le note gravi come quella del celeberrimo “Beschämt” sono generosamente esposte, ma è il Grande Artista di rango che giganteggia al di là della bellezza delle singole note.
Sophie è la quarantaseienne Nadine Conner, popolarissima oltre Oceano anche come cantante di musica leggera. Canta molto bene, ma in modo assolutamente tradizionale, la propria parte. Portato pressoché inevitabile del Met di quegli anni, ma prestazione più che piacevole.
Con John Brownlee, uno dei più importanti interpreti mozartiani nei panni di Faninal, torniamo dalle parti dell’eccezionalità. Ed è proprio la presenza di un interprete così fortemente caratterizzato in senso belcantistico ad avvalorare tutta l’operazione di Reiner
Ed eccezionale la folta schiera di seconde parti, tutte pescate nel parterre del Met di quegli anni: tutti splendidi, senza eccezioni, se o ma. Si divertono come matti e lo fanno con proprietà stilistica. Certo, se compulserete le edizioni di Karajan e Kleiber troverete sicuramente maggior adesione stilistica, ma siamo pur sempre al Met del 1953 e questo non va dimenticato.
Complessivamente più che discreto anche Thomas Hayward alle prese con qualche fiato di troppo nell’ispida tessitura riservata al Cantante Italiano, ma niente che alteri la festa meravigliosa di questo spettacolo.
Pietro Bagnoli