Sabato, 19 Aprile 2025

Tosca

Aggiunto il 23 Aprile, 2014


Giacomo PUCCINI
TOSCA

• Tosca RÉGINE CRESPIN
• Mario Cavaradossi GIUSEPPE DI STEFANO
• Il Barone Scarpia GIUSEPPE TADDEI
• Cesare Angelotti MARIO VERAZZI
• Il Sacrestano EDUARDO FERRACANI
• Spoletta ITALO PASINI
• Sciarrone HÉCTOR BARBIERI
• Un Carceriere PINO DE VESCOVI
• Un Pastore CARLOS SLIVSKIN



Orquestra y Coro del Teatro Colòn di Buenos Aires
BRUNO BARTOLETTI


Luogo e data di registrazione: Buenos Aires, 11-7-1965
Ed. discografica: PONTO, 4 CD molto economici

Note tecniche sulla registrazione: buona la resa

Pregi: La direzione e Taddei

Difetti: Di Stefano e, in parte, la Crespin

Valutazione finale: images/giudizi/sufficiente.png


NB: questa registrazione è in un cofanetto Ponto con altre due registrazioni di Tosca e una di Dama di Picche. Per completezza, i quattro spettacoli sono recensiti in quattro articoli separati

Di “capolavori fulminei” il teatro musicale del ‘900 è assai ricco e Tosca senz’altro può fare compagnia a quelle vicende – come, ad esempio, Elektra e Salome – dove la passione ed il sangue scorrono frammisti ad una religiosità mista a politica dai tratti barbarici. La PONTO importante casa discografica che si interessa soprattutto di riprese ‘live’ ci propone un ricco cofanetto dell’opera pucciniana ad un prezzo invero modesto (7 Euro) e con una resa audio globalmente buona. Anche la veste editoriale appare migliore che in altre occasioni di altre case: l’unica foto che manca è quella di Noreika che è il migliore fra i Cavaradossi proposti qui all’ascolto. In questa ‘compilation’ campeggiano due primedonne assai diverse per assetto vocale, oltre che per provenienza e formazione culturale: Régine Crespin e Galina Vishnevskaya che, nell’interpretare l’infelice cantante romana, hanno avuto un punto di contatto. La Crespin chiaramente la cantava solitamente in italiano, al contrario della Vishnevskaya di cui esiste una edizione in studio diretta dal marito M. Rostropovic: molto bella sul piano strumentale e molto meno su quello strettamente vocale fatta eccezione per M. Manuguerra che, pur non facendo faville interpretative, è uno Scarpia composto e decente.
Accanto alla Crespin – tanto nell’integrale come nella selezione – abbiamo lo Scarpia di Taddei che, con Protti, Gobbi e Guelfi e qualche altro, si dividevano all’epoca questo personaggio, almeno a casa nostra. Bruscantini e Bastianini ci hanno provato con buoni risultati – specie il primo – ma meno frequentemente del baritono cremonese. Quanto a Gobbi è stato fatto passare alla storia per questo sinistro personaggio del quale, però, a mio avviso, dava prova di grande monotonia. E lo stesso discorso farei anche di Guelfi.
Nell’edizione integrale – con un pubblico argentino da tifo da stadio che, nella sua superficialità, sottolinea ogni entrata dei cantanti ed ogni loro prodezza nel bene come nel male – la direzione di Bartoletti è molto buona nel dinamismo con il quale anima la vicenda e si dimostra molto varia nei diversi momenti (ora liricizzanti, ora disperati) della partitura. Basterebbe ascoltare un dettaglio che spesso sfugge: l’inizio del dialogo Scarpia-Tosca («Ed or parliamo…») di grande dolcezza e levità. Lo stesso Bartoletti, per contrasto, dilaga più avanti quando Scarpia descrive a Tosca l’«orrida pena» con suoni davvero onnidivoranti. Molto buona la resa del Te Deum come anche il finale II. Bello anche il mattutino romano del III atto molto morbido nel motivo delle ‘stelle’. Molto movimentato il finale.
La Crespin ha avuto, come si diceva inizialmente, in Tosca uno dei personaggi clou e lei stessa spiega in qualche filmato presente in rete la visione di questo personaggio che, se nel I e nel III atto ha molte oasi liriche, nel II deve tirare fuori le unghie. Nulla da dire sulla resa dei momenti ‘amorosi’ ai quali la cantante francese dona anche una certa patina di giovinezza dato anche il timbro. Meno convincente appare nei momenti più roventi in cui cede un po’ ad aggiustamenti espressivi suggeriti più dall’enfasi che da un vero talento drammatico che produca suoni fluenti e corposi di suono. Ne segue che, nei momenti più incandescenti, appare un po’ caricata finendo a tratti nel parlato. La frase « E avanti a lui tremava tutta Roma» la si potrebbe definire ‘aulicamente inespressiva’ che stride non poco con tutta un’enfasi eccessiva mostrata nella morte di Scarpia. Il «Vissi d’arte» può piacere per il timbro, ma si sente che i fiati non sono ben manovrati in quanto le ascese verso il registro alto, non sono omogenee: iniziano bene, ma poi inspiegabilmente vengono troncate. Nonostante ciò il pubblico scoppia in un’ovazione da stadio: personalmente non ne sono entusiasta. Nel III atto si torna a tinte e toni meno impegnativi e drammaticheggianti e la Crespin si fa valere per tinte e frasi soavi, anche se – per essere pignoli – la dizione non è perfettissima. Ciò però non mi impedisce di arrivare ad una mia personale conclusione: vedo questa raffigurazione dell’eroina romana piuttosto manchevole se la si confronta con altre coeve e migliori cantatrici…
Taddei è uno Scarpia imponente e forse è l’unico motivo di vero interesse di quest’edizione e ciò non solo per un organo vocale robusto, ma anche per la sagacia interpretativa con cui dipana le varie frasi nei diversi momenti. Rispetto al tanto celebrato quanto monotono Gobbi, il baritono genovese vola molto più in alto offrendoci una grandissima tavolozza di espressioni, tinte e inflessioni. L’unico difetto che gli si può imputare sta in certa tendenza ad eccedere nei momenti più efferati e non ne avrebbe bisogno perché la voce risponde a tutte le altezze, ma l’effettaccio a volte non è assente. Dei tre principali personaggi è evidentemente il migliore giacché Di Stefano è l’ombra di quello che era stato con Karajan appena tre anni prima con la grandissima Price (della quale qui si sente la mancanza!!!). Canta a getto: con un volume spinto al massimo, ma fibroso, duro, senza squillo, con una dizione che definirla caricata ed aperta come una voragine è eufemismo (lo scontro finale con Scarpia con l’apostrofe reiterata «Carnefice» potrà anche colpire per la violenza, ma è gridata). A tratti abbiamo dei pianissimi («Floria sei tu» nel II atto oppure nel III l’inizio di «O dolci mani») accattivanti, ma raggiunti ‘di fortuna’. L’arioso del III atto è davvero brutto, anche se cantato con il cuore in mano (fiato poco e grande monotonia espressiva). Anche qui il pubblico, parafrasando Canio, applaude allegramente, ma ciò non toglie che siamo dinanzi ad un Cavaradossi disastroso nel quale dietro la cui patina giovanile e baldanzosa abbiamo lo sbaraglio….. tanto che, a tratti, sembra che le corde vocali si strappino! Si deve sentire, per avere una idea del livello assai problematico di questo Mario, lo svolgimento (e, aggiungo, lo scempio) di «O dolci mani» dove il pubblico accennando un’altra ovazione ferma addirittura lo spettacolo che, tuttavia, subito riprende. È il Di Stefano, genio e sregolatezza, che conosciamo, ma qui la seconda prevale sul primo elemento anche perché il declino è … rampante. Pensare – parafrasando la Minnie pucciniana – ‘cosa sarebbe potuto essere’ quest’artista dalla voce dorata!!!!
Al termine dell’opera c’è un delirio: ai nostri orecchi oggi forse eccessivo e immeritato e, a mio avviso, assolutamente ingiustificato. Resta da dire che, pur volenterosi, gli altri cantanti non fanno storia, ma il Sacrestano di tal E. Ferracani non si lascia andare a tante sciocchezze vocali che si udivano in quegli anni.
Luca Di Girolamo

Categoria: Dischi

 

Chi siamo

Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.