Lunedì, 07 Ottobre 2024

Don Pasquale

Aggiunto il 03 Luglio, 2013


GAETANO DONIZETTI
DON PASQUALE

• Don Pasquale SALVATORE BACCALONI
• Dottor Malatesta JOHN BROWNLEE
• Norina BIDÙ SAYAO
• Ernesto NINO MARTINI
• Un notaio ALESSIO DE PAOLIS


Chorus of The Metropolitan Theatre
Chorus Master: non indicato

Orchestra of The Metropolitan Theatre
FRITZ BUSCH

Luogo e data di registrazione: Teatro Metropolitan New York, 5-1-1946
Edizione discografica: Cantus, 2 CD

Note tecniche: discreta, con distorsioni nel primo atto

Pregi: la direzione e quasi tutto il cast

Difetti: la Sayao mostra gusto non ottimale

Giudizio complessivo: images/giudizi/discreto-buono.png

Peccato non avere il video: qui la gente si diverte un mondo! Don Pasquale è il capolavoro comico di Donizetti ed ha una fattura musicale di notevole finezza e sprigiona una grandissima comunicatività calamitando, se ben eseguito, letteralmente il pubblico. Cosa che qui puntualmente avviene. In quest’opera, l’elemento comico si fonde con quello elegiaco e sentimentale, ma il tutto si tinge – se si va in fondo – di una vena di malinconia se non addirittura di tristezza. È un’opera che personalmente ritengo un piccolo e prezioso monumento superiore alla sua sorella Elisir d’amore. Ci si diverte insomma con il Don Pasquale, ma forse non si fa caso che è una meditazione sull’esistenza umana e sul tempo che passa: il vecchio benestante che vuole prender moglie con quello che poi gli capita, fa ridere, ma è un personaggio attualissimo nella sua disillusione e nella burla amara che egli subisce con il compiacimento degli altri 3 personaggi. L’unica via di uscita che gli è concessa è il perdono generale che sigla la sua liberazione da una situazione divenuta per lui catastrofica e insostenibile, ma anche il tornare alla triste considerazione del tempus fugit.
A titolo di cronaca, editata sempre dalla stessa casa troviamo un’altra versione precedente a questa (1940) che con diverso direttore (G. Papi) schiera lo stesso cast con la variante di F. Valentino al posto di Brownlee (le presenze di Busch e di questo cantante che già conoscevo mi hanno spinto ad optare per la presente edizione). Si è dinanzi ad un’edizione abbastanza godibile, anche se spesso i solisti vanno sopra le righe in fatto di espressività. A dirigere è uno dei conduttori più acclamati ed eclettici del ‘900 che ci offre una colonna sonora particolarmente ricca di dinamismo a partire dall’iniziale Sinfonia, ma soprattutto che sa fare gioco di squadra con i solisti particolarmente affiatati. Però – e ciò pesa negativamente – è un direttore che non si fa scrupolo di tagliare ed accorciare (spariscono tutti i ‘da capo’ compreso quello della cabaletta finale di Norina, ma anche l’intera cabaletta di Ernesto e parte dell’intervento del coro dei domestici nel III atto come anche la seconda strofa del «Com’è gentil»). Il Coro è piuttosto chiassoso. L’accompagnamento della scena del matrimonio (specie nella stretta finale) e del «Cheti cheti» sprizzano scintille e teatro.
Protagonista è S. Baccaloni che ha rappresentato per molti anni l’icona del teatro lirico del genere buffo (debuttante in teatro con Bartolo nel 1922, mentre in disco nel 1927 con Sparafucile – che comico non lo è affatto – nell’edizione di Rigoletto resa famosa dalla giovanissima Pagliughi, proseguendo nel ‘29 con Bartolo ed aggiungendo poi altri 2 ruoli seri nel 1930: Angelotti in Tosca e lo Zio Bonzo di Butterfly. Del primo dei due titoli pucciniani menzionati divenne il Sagrestano fino al 1958): un Pasquale dotato di corposa e sonora voce con la quale risolve i vari momenti più comici senza camuffare il timbro. Al massimo troviamo qualche risatella o ammiccamento o qualche frase aggiunta. Non è un campione di sillabato, ma risolve da par suo con una singolare eloquenza l’ardua seconda sezione del duetto «Cheti cheti». Malatesta è quel J. Brownlee che, proprio con Baccaloni e Busch, aveva inciso uno dei primi Don Giovanni della discografia dell’opera mozartiana, se non erro nel 1935: qui si rovesciano i ruoli, il servo passa ad essere protagonista. La voce è molto morbida, l’interprete è molto signorile, anche se a tratti appare un po’ distaccato e causa è anche la dizione non italianissima (al confronto con Baccaloni) che appare, a volte dilatata (la vocale a diventa a tratti un … Colosseo) con effetto non gradevolissimo. Anche per lui il sillabato appare scoglio e lo risolve un po’ peggio di Baccaloni. Però la verve c’è ed è pronunciata anche la complicità con Ernesto e Norina.
La Sayao ci regala una Norina vivace e da vera primadonna qual’è si fa trovare pronta ad ogni situazione. Vocalmente resta sul piano più della soubrette che del soprano lirico qual dovrebbe essere Norina che ha anche momenti languidi («Tornami a dir che m’ami»). Acuti e sopracuti la trovano puntuale, ma si avverte nelle varie discese al registro grave un sentore abbastanza evidente di verismo. Finché si è nella zona medio-alta la Sayao maschera i difetti, meno quando scende divenendo una Nedda in miniatura. Per quanto riguarda la vocalizzazione non tutto è oro, giacché la parte finale della ‘virtù magica’ è tagliata e tutto finisce in un acuto appiccicato lì.
Anche la ballatella della morale finale mostra toni ed inflessioni più vicini a Leoncavallo che non all’Ottocento tempo in cui l’opera è nata. In certi momenti del finto matrimonio l’accento ed il comportamento scenico sono troppo marcatamente viperini (tant’è che arrivati alla promessa di busse a Don Pasquale – «finora a prenderti provato ho con le buone, saprò se tu mi stuzzichi le mani adoperar» – la Sayao deve passare a vie di fatto, giacché si ode Baccaloni emettere un «ahi.. ahi» fuori ordinanza ed il pubblico si sganghera dal ridere). Insomma del cast è l’elemento meno in regola (sarebbe interessante sapere se si comportava così anche nell’edizione di 6 anni prima, tenendo conto che nel ‘40 aveva già quasi 15 anni di intensa e varia carriera avendo debuttato all’Opera di Roma con Rosina nel 1926).
N. Martini (1902-1976), tenore veronese appassionato di equitazione dal repertorio non vasto ma eterogeneo, nonché attore cinematografico, è un’Ernesto fresco e simpatico, tendenzialmente liricheggiante, e credo che avrebbe eseguito bene anche la sezione finale del suo arioso «Cercherò lontana terra». Peccato davvero l’omissione (teniamo conto che Martini cantava gli ardui Puritani), perché nel resto, pur non facendo faville, Martini è leggermente migliore della sua compagna Norina. De Paolis è un normale Notaio.
La resa audio è discreta tenendo conto anche dell’età anche se, specie nel I atto, troviamo abbassamenti di tono e piccole distorsioni di suono. A giudicare dall’accoglienza del pubblico chissà cosa succedeva in scena…
Luca Di Girolamo

Categoria: Dischi

 

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