Forever di Diana Damrau
Aggiunto il 05 Febbraio, 2014
Non abbiamo certo scoperto Diana Damrau nel corso della recente “Traviata” alla Scala!
Nata essenzialmente con ruoli coloratura, sia pure affrontati con vocalità molto corposa e naturale tinta ambrata, nell’arco degli anni Diana Damrau è diventata un bel lirico, forse non spinto ma pur sempre un lirico. Le agilità sono meno spericolate, il mi bemolle meno perentorio, ma in compenso il peso vocale è più rilevante e questo proietta la cantante verso ruoli che non sono più solo le Violette ma, potenzialmente, Arianna o Marescialla.
Questo disco è invece un divertissiment: lo dice lei stessa nel fascicolo introduttivo, si abbandona al puro piacere del canto divertendosi con quello che le piace e che, talvolta, canta pure alla figliolanza.
Va quindi preso per quello che è – canto libero – e goduto come un momento di pura spensieratezza, sia pure realizzato molto, molto bene.
L’album inizia e si chiude con dei brani puramente vocalizzati: molto bene, va detto.
Per il resto, abbiamo pezzi di operette, musical o film e altre composizioni genericamente disimpegnate e caratterizzate da orecchiabilità e quella sensazione di “dejà vu” che ne accresce il fascino (mi riferisco, per esempio, ai brani di “My fair Lady” o “Mary Poppins”); e la Damrau è veramente brava a trovare sempre il giusto tono, l’allure, persino la ritmica che ne esalti i preziosismi musicali evitando la melassa che, normalmente, cola a manate.
Non amo le Czárdás, ma questo è probabilmente un mio limite; non le amo anche se vengono dall’ispiratissima penna di Strauss. Va detto, comunque, che la Damrau è diabolica nell’esaltarne la corretta cifra ritmica.
Nel “Mein Herr Marquis”, invece, dimostra quello che dicevo prima: ormai è più un lirico che un leggero, per cui le manca la verve un po’ petulante
Forse ne “La vedova allegra” le difetta un po’ il languore (languore: non glucosio!) che altre interpreti sapevano riversarvi a piene mani (simpatico il contributo dell’altrove riprovevole Villazon); mentre in “Meine lippen” della “Giuditta” la cantante patisce un po’ il confronto con la versione sfrenata della ben più esuberante Netrebko che ne ha sempre fatto un caposaldo dei suoi concerti.
Dove invece mi piace senza riserve è in Bernstein: un “I feel pretty” scattante e carico di gioiosa impazienza, come ci si aspetta da una ragazza innamorata.
E la amo immensamente nel brano di Mary Poppins che noi conosciamo nella giulebbosa versione italiana cantato da Tina Centi, quello della vecchierella che chiede i penny per il cibo degli odiosi uccellini: qui è bravissima nell’essere carezzevole e avvolgente senza essere lagnosa.
Molto bene anche il brano dal “Fantasma dell’Opera” di Webber, in cui la Damrau riesce a dispiegare una notevole varietà di emozioni; e addirittura fantastici, come già anticipato, i brani di “My fair Lady” in cui passa dal pecoreccio della prima versione di Eliza Dolittle, al raffinato del “dopo le cure” del professor Higgins.
Bellissimo anche il brano di “South Pacific”, uno dei miei musical preferiti
Interessante – senza essere trascendentale – “Summertime” che soffre di troppi confronti.
Complessivamente alto il livello di tutti gli altri brani che riempiono questo corposo disco.
Nell’insieme, un gran bell’album.
Ovviamente non soddisferà quelli che ritengono che una cantante d’opera debba dimostrare il proprio valore solo nel repertorio classico, ma aggiunge un tassello importante al ritratto di una delle più intriganti e importanti interpreti della nostra attualità e non solo
Pietro Bagnoli