Lunedì, 07 Ottobre 2024

Turandot

Aggiunto il 08 Gennaio, 2011


GIACOMO PUCCINI
TURANDOT

• Turandot GRACE BUMBRY
• Calaf KRISTJAN JOHANNSSON
• Liù MIETTA SIGHELE
• Timur CARLO STRIULI
• Altoum MARIO GUGGIA
• Ping ALFONSO ANTONIOZZI
• Pang SERGIO BERTOCCHI
• Pong JORIO ZENNARO
• Il Mandarino GIUSEPPE RIVA


Coro dell’Arena di Verona
Chorus Master: Aldo Danieli

Orchestra dell’Arena di Verona
DANIEL NAZARETH

Luogo e data di registrazione: Verona, 14 Luglio 1991
Ed. discografica: Le Grandi Opere in Arena, 2 CD

Note tecniche sulla registrazione: buon suono

Pregi: anzitutto Johannsson quindi un cast e direzione efficienti

Difetti: la Bumbry, pur impegnata e coraggiosa, è a disagio in una parte oltre le sue reali possibilità

Valutazione finale: images/giudizi/discreto.png

Recentissime sono alcune immissioni sul mercato di riprese di opere liriche prodotte in vari anni all’Arena di Verona, luogo dove la spettacolarità è di casa. Spettacolarità che a volte sacrifica i valori puramente musicali in quanto l’ampiezza dello scenario è enorme e arrivati ad un certo punto non è necessario porsi tanti ‘distinguo’. Come in questa Turandot, titolo che assieme a Carmen si pone a ridosso alla tradizionale ed inflazionata Aida in termini numerici di allestimenti e rappresentazioni. Di Turandot ne ho viste a bizzeffe e in Arena di buone edizioni (una in particolare in cui si fronteggiavano una regale Marton e una già malamente compromessa Ricciarelli) e tornerei a vederla, se mi si presentasse l’occasione anche nel più scalcinato teatro del mondo. Si tratta dell’estremo capolavoro di Puccini ed opera che in sé tende al kolossal, ma si renderebbe giustizia a questo concetto se, accanto alle scansioni imperiose ed altisonanti della partitura, si facessero risaltare anche i momenti più distesamente lirici oppure i silenzi, talvolta più espressivi del puro suono. Tre sono i motivi che mi hanno spinto all’acquisto di quest’edizione: per l’opera in sé (che è la mia preferita), per il costo davvero basso e per la curiosità di ascoltare G. Bumbry nell’aspro ruolo della principessa. D’altra parte però i sono posto il problema della resa acustica che reputavo accidentata, mentre con meraviglia mi sono reso conto che è decisamente buona.
Se dovessi recensire con un proverbio quest’edizione, quello che meglio si adatta è l’antico adagio “Non tutte le ciambelle riescono col buco” e questo proprio in riferimento alla protagonista. Qualche amico che ha assistito dal vivo a questa rappresentazione mi aveva detto che, tutto sommato, la Bumbry riusciva a venirne fuori con dignità. Il mio giudizio però è più severo proprio perché nonostante la volitività e al carattere particolare che ha fatto della cantante americana una scalatrice di ruoli sopranili davvero ardui (Lady, Gioconda, Abigaille, Tosca, Norma, Medea, Salome, per es.) Turandot resta un esperimento poco felice. La grinta c’è e, con essa, l’intenzione di primeggiare, ma non bastano perché tali connotati vanno applicati al suono in una tessitura altrettanto elevata che porta la voce, in certi momenti, a stagliarsi con violenza anche sull’ordito orchestrale e qui non ci siamo. Se mancano la perentorietà e lo squillo ad una frase come “Mi vuoi nelle tue braccia a forza riluttante e fremente” come qui si ode, ridotta a due suoni acuti molto generici e nemmeno tanto belli, Turandot scade. Ugualmente anche nell’a solo “In questa reggia” la Bumbry non possiede, anche se lo simula, quel carattere apocalittico di certe frasi, né può con tanta disinvoltura navigare in zona acutissima, dove appare forzata. I tempi veloci con i quali viene eseguito il brano la aiutano, ma non cancellano il senso di disagio che traspare. Ne deriva allora che certi suoni sono ben imbroccati inizialmente, ma di scarsa durata e spessore, quando non addirittura urlati (coincidenti con frasi imperiose e drammatiche: ad esempio il “Tenetelo” che, nel III atto sigla l’arresto momentaneo di Calaf) come accade in alcuni punti della scena degli enigmi oppure nei comandi dati nella scena della tortura di Liù nel III atto. Da tener conto che il duetto “Principessa di morte” viene eseguito nella sua interezza e questo permette di ascoltare l’arioso “Del primo pianto… C’era negli occhi tuoi” eseguito con certo sforzo specie quando la tessitura sale. Ciò che invece è particolare nell’esecuzione della Bumbry lo troviamo nella singolare combinazione di un timbro ‘brown’ applicato ad un personaggio che sappiamo essere glaciale. Questo induce a pensare che, pur con il carattere veemente e la passionalità interpretativa tipica del mezzosoprano mostrato in personaggi come Eboli, Amneris, Santuzza, ecc., la Bumbry – sulla via del soprano drammatico – con Turandot ha osato un po’ troppo e che quest’esecuzione lo prova, anche se non si può parlare di un livello completamente negativo. Ad acuire il divario vocale troviamo Johanssonn che qui, a carriera da poco iniziata, sfoggia una notevole freschezza ed estensione (anche se la variante acuta “Ti voglio tutta ardente d’amor” non è una perla) che fanno di Calaf il giovane principe ardimentoso che sappiamo, dotato anche di una bella dizione. Neppure si può dire che sia assente certa epicità come anche l’affettuosità della seconda parte del duetto finale, ma in questo tenore non udiamo quei suoni discutibili della protagonista, salvo la frase indicata sopra. Notevole è anche la Liù della Sighele che, sebbene meno rifinita in fatto di quei piani e pianissimi che la parte vorrebbe e che qui latitano, è perfettamente calata nell’indole dell’innamorata senza speranza e vittima per amore. Bella la dizione e corposa la linea vocale delle quali la Sighele ci dà una bella prova nelle due romanze e di notevole espressione il “Tanto amore segreto…” dinanzi alla principessa.
Striuli è bravo come re Timur anche se tende a cantare un po’ troppo forte. L’altro regnante (Altoum) e ben delineato senza suoni senescenti fuori luogo da Guggia. Validi anche i tre ministri che fraseggiano con eloquenza nella loro scena iniziale del II atto che registra l’inutile taglio delle frasi “Ne abbiam visti arrivar degli aspiranti… O quanti, o quanti! O mondo pieno di pazzi innamorati” per proseguire con l’elenco dei pretendenti uccisi. Lodevole Riva quale mandarino.
Daniel Nazareth dirige evitando di cadere nello sfarzo fine a sé stesso ed approda ad una narrazione dinamica, senza particolari innovazioni interpretative ma neppure senza banalità Da segnalare l’avvio del III atto che appare un po’ plumbeo e pesante, oltre che lento. Come si diceva è buona la resa audio in quanto non abbiamo il pubblico in primo piano. Semmai c’è da rammaricarsi di certi spostamenti in scena che offuscano, specialmente in un punto importante (la tortura di Liù), la ricezione delle voci. Ma complessivamente l’esecuzione è gradevole.
Luca Di Girolamo

Categoria: Dischi

 

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