Suor Angelica
Aggiunto il 04 Dicembre, 2010
Terza tappa della registrazione integrale del “Trittico” di Maazel: è forse il capitolo in cui maggiormente concentrare la nostra attenzione.
Vi campeggia da par suo Renata Scotto con l’evidente ambizione di porsi ai vertici della discografia grazie a un eloquio che faccia piazza pulita di tutta la tradizione di mammine affrante e dolenti. Come al solito, nulla da dire sulla serietà della grande professionista: una volta prefissatasi il compito, non si risparmia nulla: non c’è frase, inciso o notazione che venga non dico trascurata, ma anche solo trattata con media superficialità. La scrittura di Suor Angelica viene polverizzata, miniaturizzata e atomizzata sino a trovare un’inflessione e un accento adatti ad ogni circostanza. E pazienza se la scrittura di tutto il tremendo assolo finale la mette terribilmente alla frusta, sino alla produzione di suoni che – ad essere generosi – sono davvero poco ortodossi.
È perfetta.
Talmente perfetta da risultare poco credibile, esattamente come Giorgetta e proprio per gli stessi motivi; e un giorno o l’altro, riflettendo sulla Scotto bisognerà probabilmente raggiungere la conclusione che la poetica pucciniana non è stata propriamente la sua tazza da tè.
Ora, se dobbiamo credere al personaggio Suor Angelica, la disperazione deve essere alternata con la sorgiva spontaneità del sorriso e con la dolce alienazione. Ma di spontaneo, in questa Angelica, non c’è assolutamente nulla; se vogliamo trovare la quadratura del cerchio fra quelle testimoniate dal disco, l’unica che sappia coniugare naivetè con giusto equilibrio vocale è Mirella Freni con Bartoletti, che sarebbe quindi l’edizione di riferimento se non fosse per la presenza dei resti della Suliotis in un ruolo totalmente privo di senso per lei.
Qui c’è la Horne. Non è così tremenda come tramandato dalla tradizione critica italiana ma, per una come lei abituata a tutt’altro, questo repertorio è un nonsenso e lei è chiaramente un pesce fuor d’acqua. Gonfia quindi un po’ le gote, fa la voce grossa (nulla di ignominioso, sia ben chiaro) ma non finisce per lasciare una traccia imperitura in un personaggio che la tradizione ha fatto poco propriamente dominare dalle orchesse.
La direzione di Lorin Maazel è ipertrofica e lutulenta, anch’essa carente di spontaneità.
Le suorine non sono malaccio, anche se tutte straniere.
Infine, anche quest’ultimo capitolo del Trittico è caratterizzato da scelte editoriali più che spartane