Venerdì, 22 Novembre 2024

Meistersinger

Aggiunto il 06 Marzo, 2010


RICHARD WAGNER
I MAESTRI CANTORI DI NORIMBERGA

• Hans Sachs JOHN TOMLINSON
• Veit Pogner GWYNNE HOWELL
• Kunz Vogelgesang ALASDAIR ELLIOTT
• Konrad Nachtigall RICHARD LLOYD-MORGAN
• Sixtus Beckmesser THOMAS ALLEN
• Fritz Kothner ANTHONY MICHAELS-MOORE
• Balthasar Zorn ROBIN LEGGATE
• Ulrich Eisslinger PAUL CROOK
• Augustin Moser JOHN DOBSON
• Hermann Ortel GRANT DICKSON
• Hans Schwarz GEOFFREY MOSES
• Hans Foltz SIMON WILDING
• Walther von Stolzing GÖSTA WINBERGH
• David HERBERT LIPPERT
• Eva NANCY GUSTAFSON
• Magdalene CATHERINE WYN-ROGERS
• Un guardiano notturno MICHAEL DRUIETT

The Royal Opera Chorus
Chorus Master: Terry Edwards

The Orchestra of the Royal Opera House
BERNARD HAITINK

Luogo e data di registrazione: Londra, Covent Garden, 12-7-1997

Edizione discografica: Royal Opera House Heritage Series, 4 CD economici

Note tecniche: registrazione di ottimo livello, stereofonica, ben spaziata, con ottimo rapporto voci/orchestra. Qualche rumore di fondo

Pregi: straordinario Haitink, eccellente Winbergh, bella prova d’insieme

Difetti: Tomlinson troppo serioso

Giudizio complessivo: images/giudizi/ottimo-eccezionale.png


Ma che fine ha fatto Bernard Haitink?
Me lo chiedevo proprio ascoltando questi quattro gran bei dischi che testimoniano una recita al Covent Garden che, sotto la regia di Graham Vick, riuniva un gran bel cast composto in gran parte di cantanti di area britannica.
Nel cuore dei londinesi Haitink precedette Antonio Pappano: è stato direttore musicale al Covent Garden dal 1988 al 2002, ma non è certo questo l’unico alloro del suo palmares se consideriamo la direzione di Glyndebourne (1978-1988), della Staatskapelle di Dresda (2002-2004), del Royal Concertgebouw di Amsterdam (1964-1988), orchestra di cui è ancora direttore emerito oltre che della Boston Symphony, dei Berliner e dei Wiener. Nato nel 1929, probabilmente avrà diradato l’attività musicale, ma uno dei difetti dei dischi è quello di perpetuare la memoria di un artista e di portarci a chiederci perché un musicista tanto raffinato sia scomparso dalla scena, senza considerare che anche un grande artista…può andare in pensione!
E invece per alcuni artisti ci vorrebbe l’elisir di giovinezza, perché certe loro interpretazioni sono talmente belle, vivide, pulsanti da diventare paradigmatiche e da renderci problematico il dovervi rinunciare.
Prendiamo questi Meistersinger. Siamo d’accordo, bisogna proprio impegnarsi per riuscire a rovinare un’opera così, ma qualche dimostrazione discografica di riuscita modesta, a voler ben vedere, ce l’abbiamo. Il problema principale per un direttore con quest’opera è superare le panne della verbosità che sta sempre in agguato. La chiave di riuscita, ovviamente, è mantenere la trama leggera come una filigrana, ma senza scadere nel bozzettismo e nella macchietta di facile effetto che possa sfalsare il risultato finale.
In questa splendida registrazione, che documenta uno spettacolo che s’immagina bellissimo anche al solo ascolto (almeno a giudicare dalla partecipazione del pubblico) Bernard Haitink ci partecipa la propria migliore interpretazione wagneriana, grazie ad un melange di quelli irripetibili in cui c’è un’orchestra talmente virtuosa da guadagnare sul campo quei galloni di idiomaticità che non le spetterebbero di diritto; una regia che si fonde alla perfezione con il discorso musicale; e una compagnia di cantanti affiatatissima. Il suono è fresco, luminoso, limpido; il passo è spedito pur se ricco di buon senso nel contesto di una logica narrativa che non perde mai di vista l’appoggio ai cantanti, particolarmente necessario in un’opera così lunga e complessa come questa.
Anche il coro del Covent Garden fa ottimamente il proprio dovere, e non era davvero la regola a quell’epoca, almeno a giudicare da registrazioni coeve: segno, evidentemente, di una serata particolarmente ben riuscita, ma anche di una gestione ottimale da parte di un direttore attento ad ogni dettaglio.
Ci piace incondizionatamente il povero Gösta Winbergh, prematuramente scomparso nel 2002 a soli 59 anni; qui ne aveva 54 ed era forse un po’ troppo avanti per dare ancora quell’idea di gioventù inesausta che dovrebbe caratterizzare Walther, ma l’afflato è da autentico poeta e lo dimostra continuamente in tutto l’arco della sua esecuzione, sostanzialmente una delle migliori testimoniate dal disco. Non negheremo che possa esserci qualcosa dell’araldica e composta serenità da tenore mozartiano che era stato sino a pochi anni prima; erano anche i panni in cui avevamo imparato a conoscerlo una dozzina d’anni prima in Italia quando era arrivata la registrazione DGG del Don Giovanni di Karajan. All’epoca molti non pensavano di trovarsi di fronte ad un fenomeno (ma nemmeno quella scartina che si pensava): il tutto era dovuto semplicemente al fatto che Winbergh era in un ambito sbagliato, non era il suo repertorio d’elezione che, invece, era proprio quello wagneriano, e non solo quello “biondo”. Qui il suo Walther non è fatto solo di Preislied, comunque dominato a meraviglia con il giusto bilancio fra irruenza e languore: c’è anche un tono affettuoso che spesso manca ai Walther muscolari tipo Treptow, ma senza essere troppo flautato ed effeminato come invece succedeva al sopravvalutato Konya.
Ci piace meno Tomlinson, che piega il proprio vocione a Sachs come già avevano fatto altri Wotan storici. È bravo, puntiglioso, preciso, ma gli manca quel qualcosa che aveva reso immenso il personaggio di Hotter nonostante le difficoltà vocali che pure Tomlinson domina a meraviglia.
È difficile da spiegarsi: provate ad ascoltare i Meistersinger del 1949 e vedete con quanta timidezza la Kupper nel secondo atto si accosta a questo omone che era già all’epoca la perfetta personificazione di Wotan, e vedrete con quanta sorridente bonomia il grande Hotter faccia inizialmente il Signore dei Corvi, giganteggiando sulla poveretta, salvo svelare progressivamente il cuore da finto burbero. Anche Theo Adam riusciva bene a rendere questo aspetto, pur mancando dell’immenso carisma di Hotter.
Ecco, questo in Tomlinson –altro grandissimo Wotan – proprio non c’è. È bravo, musicale, torrenziale (ma serve veramente in questo ruolo?...), talvolta riesce ad essere anche ironico, ma non arriva mai ad essere veramente Sachs.
La Gustafson era già ampiamente rodata e forse anche un po’ a fine corsa per questo ruolo, ma è proprio brava, simpatica e con la lingua tagliente quel tanto che basta a scansare tutti i rischi di passare per la scema della compagnia come accade, ahimè, a molte sue colleghe.
Eccellente Lippert, anch’egli tenore di lunga militanza wagneriana, uno dei David meglio cantati di tutta la discografia.
Eccellente e simpaticissimo il possente Howell, basso di lunga militanza wagneriana e anch’egli sporadicamente Sachs; qui è un Pogner di straripante carica umana.
Kothner legge la Tabulatur con la voce di Michaels-Moore, qui in un delizioso cammeo che vale l’ascolto anche per la splendida autorità di un interprete eccellente.
Beckmesser, già da molto tempo non più macchietta (ricordiamo Hemsley, Evans, Opie o Prey) si avvale dell’interpretazione di uno dei grandi nomi di quel decennio e di quello precedente: Thomas Allen. Personaggio odioso, cattivo, programmaticamente destinato alla sconfitta, eppure torvo e grandioso: tutto questo viene reso splendidamente dal grande cantante che si conferma, una volta di più, una delle grandi personalità del teatro d’opera dell’ultimo quarto di secolo.
Molto brava anche la Wyn-Rogers, così come i Maestri, fra i quali scorgiamo alcuni dei nomi che hanno fatto la storia del canto britannico, fra cui Dobson e Leggate.
Una vera festa per una delle più belle incisioni del capolavoro wagneriano!

Categoria: Dischi

 

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