Manon Lescaut
Aggiunto il 28 Ottobre, 2007
Interessante edizione del primo capolavoro pucciniano, che abbina nei ruoli protagonisti – in un contesto peraltro strapaesano – una coppia molto ben collaudata sul palcoscenico come nella vita, e cioè quella costituita da Daniela Dessì e da Fabio Armiliato.
Per quanto riguarda il ruolo del titolo, ovviamente dobbiamo “accontentarci”; e mettiamo il verbo volutamente fra virgolette perché non suoni ad offesa del bravo soprano genovese che, fra tante (non tantissime, ad onor del vero) interpreti del difficile ruolo, si ritaglia un posto di primo livello per la sincerità dell’accento che va sempre di pari passo con la giusta dose di civetteria.
No, il problema dell’ “accontentarsi” sta nella difficoltà di un ruolo che richiederebbe una ragazzina, una fanciulla in fiore, e che invece finisce per essere impersonata da “vecchie carampane”, le uniche in grado di venire a capo delle tremende difficoltà di cui è costellata la parte; il che, peraltro, è lo stesso problema di “Butterfly”, a dimostrazione del fatto che Puccini ha sempre avuto affinità con le ninfette, ma non al punto di regalar loro partiture facili. Il che, purtroppo, contribuisce a creare l’equivoco in cui cadono continuamente le divastre che devono incarnare questi personaggi con un occhio alla credibilità drammatica e uno al pentagramma.
Qui, tanto per essere chiari, abbiamo una fior di professionista che sceglie di non barare, gioca di rimessa nel primo atto e punta a fare la sua porca figura dal secondo in avanti.
Canta proprio bene, infatti, la Dessì: a questo punto della sua bella carriera è totalmente padrona dei propri mezzi e li usa con estrema intelligenza riuscendo a lavorare sulla sincerità dell’accento in tutti i passaggi in cui perderebbe di credibilità per raggiunti limiti anagrafici. Il personaggio prende decisamente quota – dopo qualche imbarazzo iniziale – a partire dalle “trine morbide” del secondo atto che, in effetti, sono salutate da un’autentica ovazione da parte di un pubblico sino a quel momento abbastanza freddino, per approdare ad un duetto ove le arti della seduzione sono esplicite ma porte con un sorriso dolce ed estenuato, quasi presago della fine imminente, il che è una splendida intuizione.
Se consideriamo che in questa parte il riferimento attuale è misteriosamente tale Adina Nitescu, una cantante per il quale il termine “soddisfacente” sembra già un’iperbole, ci sarebbe da riflettere.
Al suo fianco il bravo Fabio Armiliato, tenore misteriosamente sbeffeggiato dalle nostre parti (come se avessimo da scialare alla voce “tenori lirici”), ma in realtà musicista intelligente, sensibile e sufficientemente nervoso.
È un Des Grieux ideale.
Lo è per l’abbandono con cui pronuncia le frasi più roventi di questa difficile parte – e da questo punto di vista sono esemplari sia l’ “Ah, Manon, mi tradisce il tuo folle pensier” sia il “No, pazzo son, guardate” – sia per il modo in cui riesce ad essere credibile anche sul versante amoroso del personaggio.
Certo, si ha spesso la sensazione che la salita all’acuto non sia esente da problemi, ma alla fine non si sente nulla di veramente sgradevole nemmeno su questo fronte. Resta il mistero sull’atteggiamento degli spettatori italiani di fronte ad un cantante che non è solo “generoso”, ma anche preparato e molto musicale.
Comprimari variamente censurabili, con una menzione particolare per l’Edmondo di tale Julio Morales, e direzione d’orchestra interessante.
Mercurio è un direttore intelligente e sensibile, cui manca solo quel guizzo in più per poter eccellere; tuttavia la narrazione è sempre avvincente e il sostegno al canto ricco di buon senso, il che in un’opera come questa è aspetto fondamentale.
Complessivamente una gran bella edizione, che non ci svela gli abissi di profondità apertici da Sinopoli, ma che si ascolta con piacere grazie alla bella intesa fra i due protagonisti