Don Pasquale
Aggiunto il 17 Maggio, 2007
Questa è una bella registrazione di una recita in cui tutti danno l’impressione di divertirsi e di farlo con gusto.
Non ci sono pretese filologiche né esasperazioni di tutti gli aspetti cialtroneschi della vicenda: è la storia di un signore un po’ avanti con gli anni, un po’ bizzoso, fondamentalmente simpatico e dotato di una robusta scorta di joye de vivre, che un bel giorno si mette in testa di rinunciare a tutto il diritto al benessere faticosamente maturato per prendere per moglie una sacripante scatenata con l’argento vivo addosso, chiaramente sovradimensionata per le sue esigenze.
Nessuna caccola,nessun ciangottio, nessun cachinno, nessun pigolio caro alla vecchia tradizione esecutiva, peraltro ben testimoniata da una selezione di dieci anni prima riportata in appendice e nella quale Taddei riveste i panni di Malatesta, stavolta con il Pasquale di un Giorgio Tadeo così così, di una Scotto che sente già stretti i panni di Norina e di Alfredo Kraus.
Questo spettacolo di Bregenz, invece, è un piccolo miracolo.
Franci dirige splendidamente un materiale che dimostra di conoscere alla perfezione, dosando sapientemente i rubati, le accelerazioni e le oasi liriche nelle quali gli intermezzi amorosi risuonano meravigliosamente; sicuramente un mestiere da routinier ma, accompagnamento per accompagnamento, meglio questo che non quello di Previtali di dieci anni prima, decisamente più lutulento e farraginoso. Poi, sfogliando nella discografia, si potranno trovare sicuramente direzioni più fantasiose ed ispirate, come se ogni grande direttore chinandosi a dirigere questa frizzante commediola si sentisse in dovere di spiegarcene gli arcani significati che sinora ci erano sfuggiti; ma la schietta spontaneità dell’interpretazione di Franci è veramente inimitabile e si pone come archetipo esecutivo di pressoché tutta la discografia, ivi compresa quella splendida di Muti, che però è gravata da un cast troppo ineguale.
Qui, invece, il cast è virtualmente perfetto per gli scopi che ci si prepone.
Taddei si diverte come un matto ad abbandonare i ruoli seri e ad affrontare una parte come questa in cui può profondere il proprio immenso carisma e la sua debordante carica di umanità. Certo, ogni tanto affiora qualche accento veemente, quasi a far vedere la rude scorza di uno dei più grandi Scarpia della storia, ma sono solo sprazzi che ne esaltano la rude, calda umanità. Quanto alla mera cifra tecnica, c’è da sottolineare la bella prova su tutti i fronti, compreso il sillabato veloce che non avrà forse la nitida fosforescenza di quello di Bruscantini o di Dara, ma è ragguardevole e non fa rimpiangere gli augusti modelli. I suoi approcci alla bella Sofronia sono ora timidi, ora sfrontati, ora stizzosi, ora angosciati, per approdare poi alla risoluzione finale che lo vede trionfante e per nulla scontento di tornare al proprio sereno tran tran quotidiano. Una prova sorridente, ma sempre screziata da una vena di dolce malinconia, che costituisce un elegante modello di riferimento.
Ottima prova anche di Vittorio Terranova che presta a Ernesto i toni dolcemente svagati dell’amoroso di vecchia scuola con voce giovanile e svettante; e buono anche il Malatesta di Rinaldi, che ribatte colpo su colpo alla girandola di fuochi d’artificio innescata da Taddei nel “Cheti cheti immantinente” che viene salutata dal pubblico con un’autentica ovazione.
Una menziono obbligatoria anche per la Mazzucato, che dipinge una Norina di notevole classe, piccantissima e maliziosa, vocalmente perfetta, simpatica, briosa e soprattutto molto naturale e per nulla caricata o altrimenti artificiosa: non è per nulla vero, come sostenuto da certa parte della critica, che occorra sempre e comunque un soprano lirico anche per parti come queste. La Mazzucato è artista sensibile e intelligente, spiritosissima e vocalmente ben centrata: molto meglio lei che altre tragediennes agèes che si atteggiano per far vedere che oltre alle note della parte hanno anche la classe per poter scendere dal piedistallo e "piegarsi" a questi ruoli.
Insomma, se non la versione di riferimento dell’opera donizettiana, quanto meno una splendida esecuzione che si ascolta con autentico divertimento