Gotterdammerung
Aggiunto il 01 Luglio, 2006
NOTA: per la valutazione complessiva del Ring di Solti, si rimanda all’introduzione del Rheingold
Forse è il vero capolavoro di questa registrazione della Tetralogia, con un Windgassen talmente padrone della materia da porsi in modo inquietante come archetipo interpretativo del ruolo. In lui, lo strapotere vocale va di pari passo con una nota malinconica innata nel suo timbro vocale da rendere quasi toccabile con mano una sorta di predestinazione alla sventura. Per quanto promettente all’epoca potesse apparire il giovane Kozub, riesce difficile immaginare su che base i produttori della Decca avessero pensato di privarsi dell’apporto di questo incredibile cantante per la registrazione del Ring del secolo. L’intesa con Solti, poi, è letteralmente da manuale: laddove manca lo spessore vocale (dopotutto, ben poche battute), la presenza del direttore non manca mai ad avvolgere e sorreggere il canto che raggiunge vertici di autentica poesia nella scena della morte.
Del pari straordinari per adesione ai rispettivi ruoli l’Hagen umbratile, mutevole e sornione del felpatissimo Gottlob Frick, che anche in questo ruolo nero si conferma artista veramente straordinario; e il Gunther nervoso e sensibile di quello grandissimo fraseggiatore che è Dietrich Fischer-Dieskau: il personaggio è insicuro, sottomesso eppure memorabile nel ritagliarsi uno spazio fatto di dolente e insopprimibile umanità.
La Gutrune di Claire Watson è invece un po’ leggerina, come peraltro comanda una tradizione difficile da abbandonare; anche perché, benché vittima dei giochi ambiziosi di Hagen e Gunther, è proprio in questo momento che la ragazza fragile ed insicura si scopre donna in grado di amare e di difendere ad ogni costo l’oggetto del proprio amore.
Waltraute è la Ludwig, anche in questa occasione molto brava, ma stavolta con più partecipazione emotiva rispetto alla Fricka della Walkyria.
Le tre Norne sono altrettanti babà, con una menzione particolare per Helen Watts, che mette veramente i brividi.
Questa registrazione di Brunnhilde, invece, costituisce la massima espressione dell’arte di Birgit Nilsson, ed è forse la vera ragione del perché questa incisione rappresenta il vertice poetico di tutta la registrazione del Ring di Solti.
Innanzitutto, una volta di più, questo Crepuscolo serve proprio a dimostrare quanta passionalità la Nilsson sapesse infondere nel suo canto. Tutte le gamme espressive ed interpretative sono infatti straordinariamente esposte: dalla passione bruciante del primo duetto con Siegfried, all’invettiva del secondo atto, alla commossa ed affettuosa apprensione del dialogo con Waltraute, sino al meraviglioso monologo dell’ultimo atto, per il quale non esistono aggettivi sufficienti da tanto è bello e comunicativo, un’autentica marea montante emozionale. È indiscutibile che la sala d’incisione permettesse la maggior tranquillità possibile, ma in realtà lo strapotere vocale della Nilsson era tale da permetterle di sfoggiare – sia pure con un minimo in più di prudenza – la stessa ampia gamma espressiva anche dal vivo: basterebbe ascoltare il live di Bayreuth diretto da Bohm (e recentemente rimasterizzato dalla Philips a basso prezzo) per rendersene conto.
Il coro diretto da Wilhelm Pitz è una gioiosa macchina da guerra che, nel secondo atto, intavola con Frick un botta e risposta di tellurica potenza: veramente da brivido.
Quanto alla direzione, basterebbe solamente sentire la marcia funebre di Siegfried, così ricca di pathos e di virile e rattenuta commozione, per rendersi conto di essere di fronte ad un autentico capolavoro.
E il ritorno, in chiusura dell’opera, del tema della redenzione, ha una valenza talmente rassicurante da fornire la cifra interpretativa definitiva a tutto quanto il lavoro: è finito il tempo delle incertezze e delle inquietudini morbose.
La storia interpretativa del Ring ricomincia da qui? Forse non è proprio così, almeno a stare a guardare all’incisione che, in ordine di tempo, verrà subito dopo (quella di Karajan); ma la lettura di Solti è veramente una pietra miliare nella storia del disco d’opera. E tale è, ancora distanza di tutti questi anni.