Guglielmo Tell
Aggiunto il 23 Gennaio, 2011
Andiamo al sodo: il motivo maggiore d’interesse, ancora oggi, è Nicolai Gedda, che registra un personaggio teoricamente adattissimo alle proprie possibilità, ma in pratica risolto in modo non proprio né filologicamente corretto; per avere un Arnold adeguato e risolto “à la Nourrit” bisognerà aspettare Merritt e la sua rivoluzione che, purtroppo, durerà poco e soprattutto non lascerà epigoni di rilievo. Devo dire che, conoscendo bene la tipica emissione haute-contre di Gedda in queste parti protoromantiche, stupisce un po’ la sua decisione di risolverla col solo registro di petto, sicuramente non il suo lato forte.
Come che sia, il risultato è notevolissimo ed è la parte migliore di tutta la registrazione, ma lascia la sensazione di qualcosa di non completamente risolto, come se l’emissione fosse “ritenuta” e non completamente sfogata in quell’ebbrezza virtuosistica che il ruolo richiederebbe eccome. Prendiamo, per esempio, il duetto con il baritono nel primo atto: stile eccellente, aggressività nello scolpire la frase, metallo e mordente. Tutto perfetto? No, perché Merritt gli sarà nettamente superiore e farà vedere lo sbalzo corretto nel passaggio dal registro baritonaleggiante sotto il passaggio a quello acuto, in falsettone. Eccellente il duetto con Mathilde all’inizio del secondo atto, qui una spenta Caballé; ma poi, ahimè, ecco di nuovo la fatica nel terzetto con Guillaume e Walther, in cui l’emissione di petto lo mette non poco in difficoltà. Altro duetto con Mathilde – ancora reso molto bene – nel terzo atto e poi la grande scena all’inizio del quarto, che è splendida per resa complessiva ma lo mette alla frusta quanto a resa vocale complessiva.
Sarà colpa dell’anno di esecuzione? Nel 1972 Gedda ha 47 anni e non è sicuramente più nella sua stagione vocale migliore, anche se il mezzo è ancora di una saldezza e di un nitore stupefacenti.
O piuttosto sarà colpa del mistake stilistico che lo porta a pensare che l’ambito protoromantico sia da… prendere di petto?
Non so. Mi piace pensare che se avesse risolto Arnold come Raoul di Nangis (1970, Vienna) sarebbe uscito un capolavoro, ma mi accontento: anche così com’è, Gedda è un Arnold di riferimento assoluto e nobilita da solo tutta l’incisione.
Ma sarebbe ingiusto pensare che l’incisione Emi si limiti al solo Gedda.
Gardelli fa un buon lavoro complessivo, anche se la comprensione completa di questo specifico universo verrà solo con Muti e la registrazione Philips dell’inaugurazione della Scala del 1988. Gli si ascrive ovviamente il merito di essere stato il primo (e sinora l’unico, almeno in studio) ad avere eseguito l’opera nella sua versione originale francese, infinitamente superiore a quella malamente tradotta in italiano. Genericamente lento, rimane alla superficie dell’universo musicale di questo meraviglioso capolavoro, ma alla fine i conti tornano comunque grazie al sano buonsenso che lo contraddistingueva e all’eccellente accompagnamento al canto. Certo, Muti sarà ben altrimenti elettrizzante grazie ad un’orchestra superiore, ispirata e grazie a un Arnold – anzi, un Arnoldo (trattandosi di pessima traduzione italiana) – paradigmatico; ma qui ci si può accontentare comunque, anche per la presenza di Bacquier che compone un Guillaume discutibile – e, di fatto, discusso, e non poco – ma che bene ha retto al tempo trascorso e che ancora oggi si propone come un interprete di notevole rilievo. La consistenza declamatoria di Bacquier, interprete piuttosto problematico dei ruoli vocalistici, si adatta invece come un guanto alla tipologia vocale di Tell. Ne deriva un personaggio rude, ma dalla debordante umanità, che rifugge siccome la peste i pochi squarci di canto vocalistico e che invece sa espandere bene tutto il canto di conversazione – non poco – e un eccellente “Sois immobile”, asciutto e scabro ma soprattutto esente dai birignao di Milnes (vedi incisione di Chailly).
Non si può proprio ascoltare, invece, Montserrat Caballé. Il “Sômbre foret” non è complessivamente male ma è troppo piantato in gola per una vocalista di fama eminente come lei; il canto di conversazione è – more solito – una palla al piede, a causa del consueto tono querulo e lagnoso e della mancanza di scansione della frase; il personaggio è grigio e anonimo. Peccato.
Eccellente Charles Burles, praticamente perfetto come pescatore; è anche il migliore fra tutti i comprimari messi in campo. Gli altri variano fra il discreto (Taillon e Howell), il così-così (Mesplé e Cassinelli, davvero troppo flebili nei rispettivi ruoli anche per una registrazione di studio) e il pessimo (Hendrikx, perché c’è un limite a tutto)