Tabarro
Aggiunto il 10 Giugno, 2018
Eccezionale, semplicemente eccezionale la direzione di Antonio Pappano, uno che capisce Puccini come forse solo un altro in questo momento – mi riferisco a Chailly – e che nel Trittico ha una marcia in più, tanto da comparire due volte nella non sovrabbondante discografia.
Qui siamo alle prove generali di quella che poi sarà la performance definitiva, quella realizzata in perfetta simbiosi con la regia di Richard Jones al Covent Garden nel 2011, ma già ci sono gli stami di ciò che in mano sua diventa uno dei grandi capisaldi del Novecento in musica.
Poca e nulla concessione al sinfonismo decadente ed esasperazione dei nuclei che preparano il Novecento duro e senza remissione, quello cupo e introverso di Wozzeck e quello sfaccettato e martellato del quasi coevo L’Amore delle tre melarance. L’orchestra di Pappano è dura come una roccia e non insegue i puccinismi di buona memoria.
Ma Pappano è anche uomo di teatro e sa creare le atmosfere, sin dall’inizio in cui gli archi mobilissimi ricreano il movimento della Senna. E del pari eccellenti sono tutti i momenti bozzettistici: quelli in cui compaiono i personaggi di contorno, o addirittura quelli dello sfondo, come il Venditore di Canzonette o i due fidanzati, qui interpretati in un simpatico cammeo da Alagna (che è scritturato nel Gianni Schicchi) e da colei che – all’epoca – era sua moglie, vale a dire Angela Gheorghiu.
Terribile, grigia, martellante l’atmosfera del nominale duetto d’amore, che gronda dolore e disperazione.
Gli interpreti sono alterni e non del tutto soddisfacenti.
La Guleghina teoricamente sarebbe stata un’ottima scelta, ma la voce è più larga che lunga, e Giorgetta ha una tessitura pestifera che mette in seria difficoltà chiunque; la prima interprete fu la grandissima Claudia Muzio e, curiosamente, di lei esistono testimonianze audio come Angelica e Lauretta, ma non come Giorgetta. Finché può stare in zone centrali, la voce dura e scabra ha un suo fascino primitivo che va bene per questo ruolo, ma gli acuti sono faticosissimi e il cantabile “È ben altro il mio sogno” viene concluso da un acuto che è un vero e proprio strazio; tanto valeva adottare la variante bassa. Però, a onor del vero, è un ruolo per il quale la discografia ufficiale non offre scelte di riferimento assoluto (a parte forse Leontyne Price).
Shicoff, con la sua vocalità esasperata ed espressionista è un’ottima scelta per questo ruolo; anzi, probabilmente la migliore possibile. Infatti, la bruciante scansione di “Folle di gelosia” con le sue note martellate è fra le migliori di tutta la discografia.
Ma il migliore in campo è sicuramente Carlo Guelfi, un altro che la natura avrebbe predestinato a ruoli declamatori ed espressionisti. La sua voce chiara e quasi sbiancata è praticamente perfetta per un ruolo così intriso di dolente umanità, l’antecedente più prossimo a Wozzeck. Eccellente il suo duetto con Giorgetta e parimenti eccellente il suo assolo finale, in cui la rabbia programmatica di quasi tutti gli altri interpreti viene tenuta da parte, a favore di una dolce, straniante cantabilità.
Molto ben riusciti anche gli altri ruoli, nonostante qualche usura vocale soprattutto di Fissore e della Zilio, ma – come dicono i ragazzi di oggi – ci sta.
Pietro Bagnoli