Madama Butterfly
Aggiunto il 22 Luglio, 2007
Una gran bella registrazione che non fa nessuna fatica a collocarsi nei piani alti di una discografia già di per se stessa piuttosto ricca di belle interpretazioni.
Chapeau innanzitutto alle ben note capacità di Kurt Adler, più famoso come manager che come musicista (anche se qui si ritaglia una prova niente male) e che assembla una Scotto al meglio delle sue possibilità e un Carreras in piena fase di lancio di una carriera che poi avrà i problemi che ben sappiamo, ma che all’epoca lasciava presagire soprattutto i fasti legati alla splendida voce ed al gusto squisito nell’emissione. intorno a questi due protagonisti, un cast magari non eccellente ma assolutamente funzionale e con qualche punta interessante (ci riferiamo soprattutto allo Sharpless di Patrick).
Ma com’è la Ciociosan di Renata Scotto?
Difficile da definire.
La Scotto è indiscutibilmente una delle grandi protagoniste degli ultimi quarant’anni di storia del canto d’opera. Dotata di voce non “bella” nel senso classico del termine, ma duttile e luminosa, piegata a migliaia di sfumature dall’intelligenza di una delle artiste più eclettiche di sempre (passare da Adina a Klythaemnestra, trovando il modo di far sempre parlare di sé non è proprio da tutte), la Scotto ha sempre trovato il modo di far “parlare” la sua voce dando uno spessore molto personale e sempre ben identificabile ai propri personaggi.
Butterfly è uno di quelli che ha frequentato con successo, indiscutibilmente. È anche vero che, più che Butterfly, questa è la Butterfly della Scotto, e non potrebbe essere altrimenti perché, nonostante schiarite ed alleggerimenti, la voce è molto matura e conseguentemente poco credibile in un ruolo così adolescenziale. Ed ecco quindi il ritorno a qualche bamboleggiamento e coccolezzo che si credeva francamente un po’ superato, tipo il ritorno al ciangottio infantile nel primo atto o nel colloquio con Sharpless nel secondo. Pur rispettando la grande intelligenza dell’interprete di rango, è difficile inquadrare questi coccolezzi in un piano interpretativo moderno come potrebbe essere quello messo in piedi da Sinopoli nella sua celeberrima incisione; sembrano piuttosto un ritorno ad una vecchia tradizione molto comoda da utilizzare allorquando si deve superare la difficile impostazione di una voce già proiettata in ben altri ambiti drammatici. Come che sia, il problema principale di questa Butterfly splendidamente cantata è proprio una sgradevole sensazione di assenza di spontaneità che, comunque, non le impedisce di essere sempre presente allorquando c’è da tirar fuori gli attributi. Stiamo parlando, ovviamente, dei momenti più drammatici che ricevono dal canto di sbalzo della Scotto un rilievo particolare che fa passare in secondo piano anche la fatica correlata all’emissione degli acuti.
“Un bel dì vedremo” è un gioiello, magnificamente raccolto in un’espressione sognante e sorridente.
“Sai cos’ebbe cuore?” è talmente teso nell’eloquio da essere violento, piuttosto che evocativo.
“Tu, tu piccolo Iddio” condensa infine il meglio della grandissima interprete savonese, nel saper bilanciare la miniaturizzazione e la polverizzazione espressiva con lo schianto emotivo.
Complessivamente ci sentiamo quindi di giudicarla una grande prova, cui manca quel quid di spontaneità per attingere livelli di perfezione.
Di fronte a questa grande interprete ci sta un José Carreras nel pieno dei propri (all’epoca) straordinari mezzi, quelli che lasciavano presagire una carriera ben più importante di quanto poi non sia stata. È veramente raro ascoltare un Pinkerton così affettuoso e nel contempo baldanzoso: da “Ovunque al mondo” sino ad “Addio fiorito asil” la linea è mantenuta sul filo di una purezza cristallina, nel contesto di un’emissione persino insolente. Probabilmente il miglio Pinkerton testimoniato su disco.
Buona la Suzuki della Forst e addirittura eccellente lo Sharpless di Patrick.
Discreti gli altri comprimari.
La direzione di Adler è un gioiello di funzionalità: pochi fronzoli o quelle che icasticamente potremo chiamare “seghe mentali” a vantaggio di una notevole efficienza in un discorso narrativo ricco di buon senso e anche di una certa dose di languore che, in un’opera come questa, non guasta mai.
Il suono è veramente molto godibile