Domenica, 22 Dicembre 2024

Don Giovanni

Aggiunto il 17 Gennaio, 2012


WOLFGANG AMADEUS MOZART
DON GIOVANNI

• Don Giovanni BRYN TERFEL
• Il Commendatore MARIO LUPERI
• Donna Anna RENÉE FLEMING
• Don Ottavio HERBERT LIPPERT
• Donna Elvira ANN MURRAY
• Leporello MICHELE PERTUSI
• Zerlina ROBERTO SCALTRITI
• Masetto MONICA GROOP

London Voices
Chorus Master: Therry Edwards

London Philharmonic Orchestra
Sir GEORG SOLTI

Continuo: John Constable, clavicembalo

Luogo e data di registrazione: Royal Festival Hall, Londra, 5 e 7 ottobre 1996
Ed. discografica: Decca, 2 cd a medio prezzo

Note tecniche sulla registrazione: perfetta

Pregi: Fleming

Difetti: Terfel e Solti

Valutazione finale: images/giudizi/sufficiente-discreto.png

Una delle ultime registrazioni operistiche di Solti, caratterizzate – come nel caso di Karajan – dalla riedizione di vecchie incisioni. Solo che nel caso di Karajan si trattava di vere e proprie revisioni stilistiche, con cambiamenti di prospettive che in qualche caso erano vere e proprie rivoluzioni copernicane (si considerino, per esempio, i casi di Carmen e Otello); mentre, per Solti, si trattava di rilasciare registrazioni che fossero banalmente “migliori” dal punto di vista interpretativo rispetto a quanto aveva già fatto. Con i Meistersinger, per esempio, il gioco riuscì in pieno; di rifare il Ring non ne volle sapere perché dava per scontato di non poter più disporre di cantanti alla stessa altezza di quelli con cui l’aveva già fatto. Con Mozart, invece, iniziò a cimentarsi, ma con risultati decisamente alterni: uno “Zauberfloete” interessante, molto ben cantato e con suoni più leggeri del solito suo e generale, in un’impostazione favolistica che non raccoglie ancora le indicazioni della scuola filologica ma cerca egualmente una propria strada; un “Così fan tutte” pieno di nomi interessanti (Fleming, von Otter e Bär su tutti), ma complessivamente senza sale; e un Don Giovanni piuttosto interlocutorio, quello che stiamo analizzando.
I problemi sono vari e iniziano proprio dalla bacchetta: se non sai da che parte stare, diventa difficile proporre un prodotto interessante. A Solti chiaramente di quello che succedeva contemporaneamente a lui nel resto del mondo, non può importare di meno. Al momento in cui esce con questa incisione, Harnoncourt e Gardiner hanno già dato alle stampe il “loro” Don Giovanni, e la filologia non è chiaramente una mera questione di orchestre con strumenti originali: è piuttosto una questione di mentalità.
Ma ci sono anche problemi di cast: un cast in cui solo un elemento appare interessante, una presenza all’epoca intrigante e molto più che promettente: e mi riferisco ovviamente alla Fleming. Tutto il resto, invece, è assai meno interessante, e proprio a cominciare dal protagonista – trentenne all’epoca della registrazione – che propone un triste guardaroba di panni già smessi da interpreti storici assai più interessanti e comunque già abbondantemente passati di cottura.
Ma andiamo per ordine.
Solti aveva già inciso un Don Giovanni poco interessante con uno dei cast meno ispirati della storia: non ha lasciato memoria e credo, anzi, che sia uscito dal catalogo della Decca. La nuova registrazione, come spesso capita, aveva invece lo scopo di ripuntualizzare la materia e renderla più appetibile per un pubblico giovane grazie allo sfruttamento intensivo dei nomi nuovi proposti dal mercato. Ma l’impostazione direttoriale non è per niente interessante: manca anzi di una linea esecutiva ben precisa. Slentata in certi punti, in altri va molto di grancassa con accelerazioni febbrili che non migliorano la tenuta dell’insieme ma, anzi, danno al tutto un’incoerenza che non giova alla sua fruizione. L’orchestra suona bene, ma con colori piuttosto scuri come a voler dare tinte dark a una vicenda che, di per se stessa, non ne avrebbe affatto bisogno. I tempi, per lo più solenni, maestosi e i colori orchestrali ripiombano il Burlador de Sevilla in un Ottocento da cui sembrava definitivamente uscito dopo le esperienze di Harnoncourt, Östman e Gardiner.
E non è ovviamente una questione di orchestre barocche o di repliche di strumenti antichi: come diciamo ormai da tempo, ciò che la “rivoluzione” barocchista ha cambiato nel modo di eseguire il repertorio settecentesco e non solo, è proprio una mentalità. È quindi questione di dinamiche più spedite, di sonorità più brillanti, di organici ridotti, di equilibri ridisegnati fra voci e orchestra e di tanti altri aspetti che arrivano a configurare un nuovo “illuminismo” esecutivo.
Si badi: il gioco era già stato tentato qualche anno prima da Karajan che aveva proposto la propria visione del “problema” Don Giovanni, con risultati parimenti poco interessanti e proprio per le stesse ragioni: la negazione miope, caparbia e reazionaria del nuovo che avanzava. E, anche nel caso di Karajan, il risultato era stato complessivamente poco più che modesto per l’incapacità del grande Maestro di trovare un cast che soddisfacesse le esigenze di una restaurazione di un “ancien regime” che, mancando di una civiltà vocale adeguata alla bisogna (anche la vocalità ormai puntava in tutt’altra direzione), non aveva più nessuna ragione né storica né culturale di essere.
Con questa registrazione, insomma, è come se Solti dicesse: tutti fermi, devo scendere! E, con la scelta del protagonista (per dovuta che fosse, grazie alla fama planetaria che stava guadagnando Terfel), la retromarcia assume carattere ancora più rilevante: un don così tenebroso, predatorio, testosteronico, violento e maledetto non si vedeva davvero da un sacco di tempo. A quel punto della storia esecutiva del capolavoro mozartiano, erano ormai fioriti i Don Giovanni sottili, allusivi, intellettuali, cerebrali, in una parola illuministi; con Terfel si fa un deciso salto indietro verso un passato chiassoso che si sperava ormai dimenticato. Non è ovviamente un problema di maggiore aggressività verbale: è proprio questione di diversa temperie culturale. Quel modo di Terfel di mordere la frase, sempre e perennemente incazzato nero, è qualcosa che appartiene a un distorto concetto di pseudoromanticismo musicale che speravamo abbandonato almeno nei grandi contesti. Intendiamoci: esistono ancora oggi i DG predatori, ma se la giocano su altri aspetti come, per esempio, l’alternanza e la mobilità delle dinamiche, i contrasti cromatici, al limite anche l’istrionismo. Terfel no: canta tutto in unico modo, stando sul mezzoforte o sul forte, senza assottigliare né sfumare mai. In ciò è perfettamente assecondato da Solti che gli ritaglia un accompagnamento talmente dark da risultare persino fastidioso nel suo didascalismo.
Si deve concludere necessariamente che Don Giovanni non sia il ruolo mozartiano più adeguato per Terfel, che ha modo di far emergere maggiormente il proprio coté cialtrone e popolano in Figaro – per esempio – oppure in Leporello, come recentemente dimostrato anche nell’inaugurazione scaligera.
Al fianco di questo don, il Leporello di Michele Pertusi è ben cantato, ma privo di sale e non finisce per configurarsi veramente in nessun modo: né come alter ego migliorativo del proprio padrone né, tanto meno (come approfondito da interpreti molto più interessanti) come la sua anima nera.
Molto più interessante, invece, il Masetto di Scaltriti che cerca di ricavare tutto il meglio che può dalla propria parte infondendovi tutto lo spirito che manca a Pertusi.
Vera voce di basso per il Commendatore di Luperi, peraltro piuttosto muggente.
Più interessante il fronte femminile che, come anticipato, ha in Renée Fleming l’elemento di spicco. All’epoca la voce era veramente una meraviglia: piena, rigogliosa, sicura in tutta la gamma, morbidissima come emissione, ricca di armonici e di colore dorato stupendo. L’interprete era al limite un po’ stereotipata, aspetto piuttosto comune a tutte queste voci-strumento, ma il ruolo di Donna Anna è dominato molto bene anche nei passaggi di coloratura di “Non mi dir” arrivando quindi a configurare una prova di notevole spessore.
Abbastanza interessante Monica Groop come Zerlina: in Italia era la prima volta che faceva capolino il nome di questa brava cantante finlandese che poi si sarebbe occupata prevalentemente (anche se non esclusivamente) di musica sacra. Non so che fine abbia fatto (l’aggiornamento del suo sito personale si ferma al 2005), ma la cantante era molto interessante: anche nel suo caso il colore vocale è di notevole suggestione, l’emissione è salda e l’interprete è appena più “adulta” di quanto siamo abituati a ascoltare.
Rimane Ann Murray. Certo, all’epoca era già vocalmente sfibrata e con una grande carriera alle spalle; eppure appare decisamente intrigante. La sua civiltà vocale è di primissimo ordine e il suo personaggio è coinvolgente: innamorata, trepida, vendicativa, appassionata, risoluta, è la donna totale. Certo, qualche nota suona un po’ stridula o sfocata, ma la prestazione è veramente di notevole spessore.
Complessivamente quindi una registrazione problematica e ricca di contraddizioni, con una serie di problematiche vocali non risolte e una linea di direzione scarsamente caratterizzata e superata dai tempi già all’epoca della sua realizzazione; vale come testimonianza di Solti e per la Fleming, ma davvero poco altro

Categoria: Dischi

 

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