Werther
Aggiunto il 23 Settembre, 2006
Tanto per cominciare, si dovrebbe poter prescindere dall’orribile case che raffigura una scena che sembra uscita para para da una delle vecchie parodie del Trio Lopez-Marchesini-Solenghi; quella dei “Promessi sposi”, per esempio, con la Gheorghiu sullo sfondo modello “Bella figheira” e, in primo piano, il povero Rototo (come lo chiamano i francesi) con un’espressione che pare contemplativa. Crediamo, senza tema di essere smentiti, che si tratti della peggior copertina mai realizzata per un disco d’opera.
Il contenuto, invece, fortunatamente è meglio; quanto meno sul versante tenorile, visto che Angela Gheorghiu compita un personaggio che, pur discretamente cantato, è di una noia mortale. Intendiamoci: non è che manchino le note, che anzi ci sono tutte e complessivamente anche ben emesse. Ciò che manca, invece, è il senso della misura: la Gheorghiu non riesce mai ad avere in questo ruolo un minimo di spontaneità, ed è pertanto costretta a fare ricorso ad un tono da tragedienne che sarebbe esagerato persino per Medea, figuriamoci per una ragazzotta costretta a fare un matrimonio sbagliato, e che ha a che fare con il più menagramo fra tutti i rompiballe della storia dell’opera lirica.
Oltre a ciò, il suo vibrato stretto qui appare particolarmente sgradevole, in particolare nel grande momento solistico del III Atto ma, diremmo, soprattutto nei duetti con Alagna, decisamente molto più centrato sia da un punto di vista vocale che interpretativo.
Forma scadente? Scarsa adesione al personaggio? Presunzione di poter fare qualsiasi ruolo sopranile e non, essendo una Diva sulla cresta dell’onda? Sia come sia, la Gheorghiu ci ha fatto sentire cose molto migliori e non la ricorderemo di sicuro per un personaggio come questo: una performance veramente di basso profilo.
Molto meglio, per esempio, la resa interpretativa di Albert, per il quale la presenza di un Hampson appare addirittura un lusso: ne esce un personaggio fatuo, una specie di Ted Danson che evidenzia un solenne menefreghismo per tutto ciò che lo circonda, con particolare riferimento a quanto riguarda le vicende fra la moglie e l’ospite di casa.
È una particolare gioia ritrovare un vecchio leone come Frémeau in una parte di fiancco come Johann, ma vanno lodate incondizionatamente anche le partecipazioni di Courtis e Fouchécourt, due fra i cantanti più interessanti di tutto il repertorio francese, il che sicuramente paga dividendi importanti sul fronte dell’idiomaticità.
Molto bene anche la Sophie di Patricia Petibon, che evita la deviazione soubrettistica del suo personaggio prestandole invece un canto terso, limpido e persino gradevolmente piccante.
Rimane Alagna. Rototo è proprio bravo, non c’è niente da dire. Anzi: questa è una delle sue prestazioni migliori di sempre. Il canto è sicuro, splendido nel passaggio (e Werther batte moltissimo sul passaggio), interamente appoggiato sul fiato, ricco di fascino e seduzione risolvendosi come fa in acuti timbratissimi (il canto ossianico) o in estatiche mezzevoci (l’aria di ingresso del primo atto), ma comunicando sempre e comunque una notevole varietà di intenti e di fraseggio. Questo è indiscutibilmente uno dei grandi personaggi di Rototo, uno di quelli per cui varrà sempre la pena ricordarlo. L’accento è via via disperato (inevitabilmente, dato il personaggio) o appassionato, ma mai inutilmente lamentoso o lagnoso, ciò che avveniva anche con interpreti di grande fama e carisma che hanno costruito buona parte della loro celebrità su questo ruolo. Sotto tutti i punti di vista, Alagna è un interprete storico di Werther: il modello di riferimento è chiaramente Thill, rispetto al quale risulta assai meno araldico, ma non meno coinvolgente.
Dirige il tutto molto bene un ispiratissimo Pappano che realizza un’ottima interpretazione di un’opera che cade sempre facilmente nel fumettone di basso profilo, dandole dignità e propulsione agogica. Sarebbe potuta essere un’edizione di assoluto riferimento, ma purtroppo manca una primadonna altrettanto ispirata…