Sabato, 23 Novembre 2024

Aggiunto il 28 Giugno, 2006

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Francesco Tamagno



Note biografiche



(Torino 28 dicembre 1850 – Varese, 31 agosto 1905)


Torinese (dicono) fin nelle sonorità nasali del registro centrale, dominatore di una delle stagioni più fervide e vitali della storia del canto, Francesco Tamagno ha uno spazio nella mitologia operistica.
Iniziò come semplice corista al Regio di Torino a poco più di vent’anni, ma non tardò a manifestare le sue ambizioni protagonistiche: ottenuta la particina di Nearco nel Poliuto, trovò il modo di interpolare un fracassante si naturale alla frase “chiedimi il sangue mio; l’anima no, che l’anima è di Dio”.
Un paio d’anni dopo (assolti gli obblighi di leva) era già noto in tutta Italia e cominciava a farsi valere all’estero. A ventisette anni approdò alla Scala dove signoreggiò per un quindicennio e dove, nel fulgore dei suoi trentasei anni, fu protagonista nella creazione dell’Otello di Verdi. Fu un incontro fatale: il sensazionale successo raccolto in questo ruolo ebbe più di tre lustri di riconferme nei maggiori teatri del mondo e alimentò un mito che sopravvive ancora oggi.
Per tutto il corso della carriera (che proseguì fra deliri tumultuosi fino al 1904), la popolarità di Tamagno conobbe una diffusione planetaria. Morì nel 1905 a soli cinquantacinque anni, pochi mesi dopo l’addio alle scene; fortunatamente tra il 1903 e il 1904 era arrivato a consegnare alla posterità una serie di registrazioni discografiche per la Grammophon.

I ruoli nei quali era più conteso, già prima che ad essi si aggiungesse l’ Otello, furono il Profeta di Meyerbeer, il Poliuto di Donizetti e il Guillaume Tell di Rossini. Fu celebre anche nel resto del repertorio verdiano (Aida, Ernani, Trovatore, Don Carlos, la revisione scaligera di Boccanegra) e nel grand-opéra (Ugonotti, Robert le diable, Africana, Roi di Lahore, Sansone, Juive).
Ma soprattutto fu il portavoce dell’ultima stagione dell’opera romantica italiana: con la sua vocalità ridondante e di antica scuola, con la prestanza erculea, l’irruenza un po’ guascona ma ancora rilucente di ideali cavallereschi ed armature argentee, Tamagno divenne - più o meno consapevolmente - il campione dei musicisti tardo-romantici, che, al tramonto di un’epoca, guardavano con rimpianto alle “sante memorie” della tradizione primo-ottocentesca.
Interprete ideale degli eroi “d’altri tempi” di Gomes, Ponchielli, Franchetti, (oltre che dell’ultimo Verdi), Tamagno tenne a battesimo Marion Delorme e Figliuol Prodigo (Pronchielli), Asrael (Franchetti), Maria Tudor (Gomes) e Messalina (de Lara) e si spinse fino ai lavori pre-veristi di Leoncavallo (I Medici), Puccini (Edgar) e – in questo senso - Andrea Chenier,
All’opera ottocentesca italiana, giunta al crepuscolo, Tamagno consegnò l’antico eroismo, inconsapevole e fulgido, di cui era depositario (dalla linea Duprez e di Tamberlick) e, anche in questo senso, incarnò l’ultimo squillo del tenore romantico.



Registrazione



Discografia
Tutte le sottoelencate registrazioni sono state riversate in una raccolta della Symposium
1186/87 Francesco Tamagno - Complete Recordings 1903-1904


Andrea Chenier (Giordano)
Un dì all’azzurro –1903/4 – take 1 – 3005 II
Un dì all’azzurro –1903/4 – take 2 – 3007 FT
Un dì all’azzurro –1903/4 – take 3 – 3008-R-F.T.
Un dì all’azzurro –1903/4 – take 4 – 16-R
Un dì all’azzurro –1903/4 – D 270

Messalina (De Lara)
Dei del patrio suol –1903/4 – 20-R private F.T. ' '

Herodiade (Massenet)
Adieu donc, vains objets –1903/4 – take 1 – 3016 FT
Adieu donc, vains objets –1903/4 – take 2 – 3017 FT
Quand nos jours –1903/4 – take 1 – 3022
Quand nos jours –1903/4 – take 2 – 3027-W-FT ' ' ' '

Le Roi de Lahore (Massenet):
O casto fior –– 1903/4 – 18-R

Le Prophete (Meyerbeer)
Sopra Berta l’amor mio –1903/4 – take 1 – 3014-R-F.T. ' '
Sopra Berta l’amor mio –1903/4 – take 2 – 3015 FT
Re del ciel –1903/4 – take 1 – 3006
Re del ciel –1903/4 – take 2 – 3010-w F.T.' '
Re del ciel –1903/4 – take 3 – 3011-R-F.T.' ' ' ' '

Guillaume Tell (Rossini)
O muto asil –1903/4 – take 1 – 3020-R-F.T. ' ' ' '
O muto asil –1903/4 – take 2 – 17 R FT
Corriam, corriam –1903/4 – take 1 – 3021-R-F.T.- ' '
Corriam, corriam –1903/4 – take 2 – 3026 FT

Samson et Dalila (Saint-Saens)
Figli miei –1903/4 – take 1 – 3018 FT
Figli miei –903/4 – take 2 – 3019 FT

Otello (Verdi)
Esultate – febbraio 1903 – take 1 – 3000-R-F.T. ' '
Esultate – febbraio 1903 – take 2 – 3001 FT
Esultate – febbraio 1903 – take 3 – 3024
Esultate – febbraio 1903 – take 4 – 10-W FT
Ora e per sempre –1903/4 – take 1 – 3004-w ' '
Ora e per sempre –1903/4 – take 2 – 3009
Ora e per sempre –1903/4 – take 3 – 3025-W-F.T.
Ora e per sempre –1903/4 – take 4 – 12-W-FT
Niun mi tema –1903/4 – take 1 – 3002-R F.T.' '
Niun mi tema –1903/4 – take 2 – 3003
Niun mi tema –1903/4 – take 3 – 14-R FT
Niun mi tema –1903/4 – take 4 – 15-R
Niun mi tema – aprile 1904 – D 269 SD ' '

Il Trovatore (Verdi)
Deserto sulla terra –1903/4 – 3028 FT
Di quella pira –1903/4 – take 1 – 3012-w-F.T.
Di quella pira –1903/4 – take 2 – 3013-R-F.T.' '



Commenti



Il tenore “contraltino”
Per noi oggi è arduo comprendere come i tenori “di forza” della stirpe di Tamagno, ricordati per la potenza stentorea e lo slancio apocalittico e per i quali furono scritti i maggiori campioni dell’artiglieria pesante tenorile come Sansone, Don Alvaro, Radames, Don José, Sigfrido e Otello, potessero contemporaneamente destreggiarsi in opere di tessitura elevatissima (Guglielmo Tell, Ugonotti, Puritani) composte quando il falsettone era ancora in auge.
Le nostre perplessità discendono dalle convenzioni vocali novecentesche, in base alle quali l’unico canto di forza possibile è quello che concentra sul registro centrale, opportunamente dilatato e ispessito, tutto il vigore retorico dello stile declamatorio.
Il punto è che i tenori di forza ottocenteschi, più che sul registro centrale, preferirono proiettare la percussività del canto di forza sul registro acuto (per questo li si definiva “contraltini”), secondo un procedimento tecnico (inventato da Duprez ed esaltato da Fraschini e Tamberlick) di cui – in mancanza di testimonianze sonore – possiamo solo immaginare la spettacolare verticalità.
Quel che si ricava dalle affermazioni dell’epoca è soprattutto l’enormità dell’impatto emotivo prodotto sul pubblico dai loro acuti e sopracuti, potentissimi ma chiari come diamanti (tanto che timbricamente dovevano assomigliare all’emissione “mista” delle voci femminili).
Purtroppo la stagione aurea degli eredi di Duprez e Tamberlick non scampò alla crisi del Romanticismo.
Già nei primi decenni del ‘900 la loro scuola risultava estinta, eccettuando il caso del tutto isolato – e fiero di esserlo – di Giacomo Lauri Volpi. Se dunque vogliamo farci un’idea del tenore di forza ottocentesco non ci resta che risalire agli albori della fonografia e scovare le vestigia degli ultimi esponenti del genere: dal versante francese qualcosa si trova (Escalais e Affre); dal versante italiano sono proprio i dischi di Francesco Tamagno a rivestire il maggiore interesse, benché il nostro, quando li incise, avesse già più di cinquant’anni, trenta dei quali trascorsi a difendere un repertorio massacrante. Anche la forma fisica doveva lasciare a desiderare, visto che un enfisema polmonare lo avrebbe stroncato pochi mesi dopo.
Tenendo nel giusto conto queste premesse, a cui andranno aggiunti il limiti della tecnica di incisione (che pare abbiano tradito la lucentezza e il volume leggendari di Tamagno) e non dedicando agli arcaismi del gusto e alle piccole imprecisioni musicali più sdegno di quanto meritino, si potranno trarre da questi cimeli informazioni preziose non solo sulla poetica e l’arte di Francesco Tamagno, ma anche sull’illustre tradizione che da Duprez, attraverso tutto il Romanticismo operistico, era discesa fino a lui.

Dal primo al tardo Romanticismo.
L’effetto che producono, ancora oggi, le incisioni da Guglielmo Tell, Profeta e Trovatore nell’esecuzione di Tamagno è notevolissimo. Intanto (al di là della potenza sonora che non ci è dato afferrare nelle sue vere proporzioni) sorprende la natura timbrica, di un candore iridescente già sul registro centrale; e più la voce si inerpica ai vertici del pentagramma più questo candore si accentua. Nelle pagine meditative (“Deserto sulla terra” del Trovatore - preceduto da una dedica al padre -, “O muto asil” del Guillaume Tell e la Pastorale del Prophete) la linea è distesa, l’accento è solenne, le progressioni grandiose; in più, oltre ai soliti fendenti, Tamagno si concede alcune leggerezze acrobatiche sull’acuto degne di un Gedda.
Nelle pagine di più acceso vigore retorico (“Di quella Pira” del Trovatore e “Corriamo” del Guglielmo Tell) l’ impulso è talmente prorompente e il colore talmente argentino che (nonostante l’età matura del tenore) si ha l’impressione di una gioventù incontaminata. Colpiscono anche i tempi molto (ma molto) larghi, specie nella cabaletta del Trovatore (opera che Tamagno cantò dinnanzi a Verdi). Infine nella preghiera “Re del Cielo” del Profeta affiora, seppur moderata dall’afflato religioso, l’eloquenza istintiva del trascinatore di folle che Tamagno sapeva essere (“forza della natura” disse la Litvinne, compagna di palcoscenico in un Guglielmo Tell).
Veniamo ora ai frammenti che ritraggono Tamagno nel repertorio tardo-romantico: Herodiade, Sansone, Messalina e Andrea Chenier. Stile e sensibilità sono esattamente gli stessi: stesso slancio iperbolico, stessa determinazione epica e stessa astrazione di tono; non vi è ombra di sensualità, ma tanto, tanto splendore eroico. Rivelatore, in questo senso, è l’Improvviso dell’Andrea Chenier. Celletti ne diede un giudizio severo “per il totale disorientamento del cantante rispetto alla pause e alle riprese di fiato, oltre che per l’accentazione inadeguata”. L’annotazione è condivisibile solo se ci si fonda sullo stile successivamente messo in campo – per questo ruolo - dagli specialisti del verismo. Ma Tamagno non aveva proprio nulla a che fare col Verismo: difficile immaginarlo fra coltellate di malavitosi e squallori di soffitte; l’unica Cavalleria Rusticana che cantò al Metropolitan non ebbe alcun seguito. Per lui il poeta Chénier, sognatore e naturalmente votato alla catarsi, non è diverso dai soliti eroi romantici nei quali era specializzato e per tale lo tratta, con linee auree e maniera solenne, a costo di piazzare pause, fiati e…trampolini preparatori dove servono per esaltare l’eroismo melodico e di interpolare alla fine un bel si bemolle acuto non scritto.

Otello e la fine di un’epoca.
L’autore a cui i posteri legarono il nome di Francesco Tamagno è però Giuseppe Verdi, col quale fortissima fu la condivisione di vocazioni e nostalgie tardo-romantiche (inconsapevoli in Tamagno, tormentose in Verdi). Già la revisione scaligera di Boccanegra (ovviamente con Tamagno) aveva rivelato in Verdi nuove inquietudini tardo ottocentesche, ma fu Otello che meglio sintetizzò la combattività dell’indomito settantenne, che non voleva cedere né al “nuovo”, né al “vecchio”, nemmeno a livello di scrittura vocale.
Tecnicamente parlando, è vero che il personaggio di Otello sperimenta talora un declamato moderno ed incisivo, ma il più delle volte deve fronteggiare “sventole” vocalistiche e impennate all’acuto che solo un tenore di forza “contraltino” poteva valorizzare.
Va precisato, per amor di verità, che il rapporto fra Verdi e Tamagno non fu semplice (quale collaborazione con Verdi lo fu?) perché sul piano dei contenuti l’esuberante tenore piemontese non era in grado di calarsi negli abissi dell’anima che il compositore apriva per lui. In più di un’occasione Verdi sottolineò goffaggini sceniche, spacconerie, difetti di musicalità e, ciononostante, non si oppose alla sua designazione come Otello (e avrebbe potuto), anzi lo assistette lungamente alle prove; né successivamente mise in discussione la fama leggendaria che Tamagno si conquistò in quest’opera sui palcoscenici del mondo intero.

A proposito di leggende sull’Otello verdiano, una delle più dure a morire è quella che pretende che la scrittura vocale sia - per un incomprensibile sadismo da parte di Verdi - di una difficoltà massacrante, invalicabile, oltre i limiti umani, ecc….
In effetti quasi tutti gli interpreti novecenteschi (scelti tra le fila dei tenori drammatici, scuri, baritonali e tecnicamente declamatori) si sono esibiti in contorcimenti rabbiosi, spaventosi sforzi muscolari, acuti tesi allo spasimo, espressioni contratte e spasmodiche da lanciatore del peso.
E se invece la causa di tanto spargimento di sangue fosse da attribuire al fatto che si è voluto consegnare il personaggio a una tipologia vocale (il tenore drammatico novecentesco) per nulla idonea ad affrontarlo?
E se in realtà Otello non avesse nulla a che spartire con Tristano e Canio, ma fosse piuttosto l’ultimo campione di un vocalismo intrepido e cavalleresco, con la tipica propulsione sopracuta e la fierezza romantica del Grand-Opéra?
Quanti dei famosi Otelli novecenteschi avrebbero potuto alternare Otello a Guglielmo Tell, come fece Tamagno fino all’ultimo giorno di carriera? … Vinay, Del Monaco, Vickers in Guglielmo Tell!

I tre importantissimi frammenti discografici dell’Otello di Tamagno (oltre a permetterci di rivivere l’emozione di quella prima volta alla Scala nel 1887) ci aiutano a veder chiaro.
Nonostante i disastri che il pianista commette e i rantoli di Otello morente (vagamente imbarazzanti), la sensazione che comunicano è quella di una facilità disarmante.
Gli intervalli spericolati (Esultate), le grandi frasi collocate proprio dove i tenori drammatici - ma non i contraltini - hanno il passaggio (“addio sublimi incanti” “pria d’ucciderti”), i ppp spinti fino al sol (“or morendo”), le progressioni ossessive in acuto (“della gloria d’Otello è questo il fin”) dove anche i migliori si ritrovano a pugni stretti, occhi fuori dalle orbite e bocca spalancata …insomma, tutte quelle che i sostenitori dell’Otello “wagneriano” chiamano “difficoltà insormontabili” vengono risolte da Tamagno come ordinaria amministrazione. Con il tenore torinese niente spasmi epilettici, niente ruggiti, nessunissimo senso di fatica, bensì i bagliori d’argento vivo di una voce che libera le sue schiere fulgenti e i suoi dardi volanti sulle ali dello squillo.
E’ arrivato il momento di far piazza pulita del mito della difficoltà disumana di Otello e anche della mistificazione anti-romantica che ne è alla base: Otello non è più massacrante di quanto sia Raoul degli Ugonotti o Arnoldo del Guglielmo Tell; basta solo avere la voce giusta per la tessitura altissima, l’eroismo atletico e l’ orizzonte romantico che questi ruoli richiedono.



Matteo Marazzi

Categoria: Cantanti

 

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