Domenica, 20 Aprile 2025

Guglielmo Tell

Aggiunto il 07 Gennaio, 2007


• Guglielmo Tell SHERRILL MILNES
• Arnoldo LUCIANO PAVAROTTI
• Gualtiero NICOLAI GHIAUROV
• Melchthal JOHN TOMLINSON
• Jemmy DELLA JONES
• Edwige ELIZABETH CONNELL
• Un pescatore CESAR ANTONIO SUAREZ
• Leutoldo RICHARD VAN ALLAN
• Matilde MIRELLA FRENI
• Rodolfo PIERO DE PALMA
• Gessler FERRUCCIO MAZZOLI
• Un cacciatore JOHN NOBLE


Ambrosian Opera Chorus
Chorus Master: John McCarthy

National Philharmonic Orchestra
RICCARDO CHAILLY

Luogo e data di registrazione: non indicato, 1978-79
Ed. discografica: Decca, 4 CD

Note tecniche sulla registrazione: ampia prospettiva, ben spaziata: una registrazione all’altezza dei parametri Decca

Pregi: cantanti ben padroni della materia

Difetti: direzione non pienamente all’altezza dell’evento; Mazzoli decisamente non all’altezza

Valutazione finale: images/giudizi/ottimo.png

Ottima idea – quella della Decca – di riproporre questo caposaldo della storia dell’interpretazione del capolavoro rossiniano nella collana degli Originals a metà prezzo. Ottima idea, dicevamo, perché favorirà la diffusione di una delle più importanti realizzazioni discografiche mai fatte, cui manca solo – se vogliamo – quel senso di ritmo incessante e palpitante che deriva dalla celebrazione della Natura che realizzerà al meglio Riccardo Muti otto anni più tardi. Il fascicolo della vecchia edizione discografica è singolarmente avaro di notizie sulla registrazione, per cui speriamo che la riedizione negli Originals faccia un po’ giustizia di questo aspetto che invece sappiamo essere particolarmente interessante grazie al solito lavoro documentario svolto da Giudici: l’idea originale era di fare una selezione dell’opera ma poi, a seguito del risultato che si andava delineando, si decise di approntare un’edizione completa. Da qui la necessità di spezzare la registrazione in due tronconi distanziati fra loro di quasi un anno, visti gli impegni lavorativi dei componenti il cast.
Il risultato è oggettivamente molto buono; anzi, secondo Giudici (che doverosamente citiamo, visto che ci fornisce le notizie sulla registrazione), si colloca ai vertici della non straordinariamente folta discografia. Secondo noi, invece – e lo diciamo subito a scanso di equivoci – no. È un ottimo prodotto, ben cantato e (non altrettanto) ben diretto, ma non si pone alla stessa altezza della produzione scaligera di Muti, per noi assolutamente paradigmatica.
La grossa differenza, inevitabilmente, la fanno proprio quegli aspetti che saranno vincenti con Muti, e cioè:
la direzione. Nessuno può affermare che Chailly diriga male; anzi, non ci fosse la direzione di Muti testimoniata da due registrazioni (ma quella essenziale è ovviamente la milanese, non quella di Firenze). È lento, calmo, maestoso, pacato in un modo che si stenterebbe ad attribuire ad un giovane all’epoca solo ventottenne. Il canto è sempre ben seguito e appoggiato, oltre che lasciato libero di espandersi in un modo che Muti non permetterà assolutamente (e che di fatto già non permetteva negli Anni Settanta quando a Firenze faceva le “prove generali” di quello che poi vedremo essere il suo capolavoro di Artista). Quello che secondo noi manca clamorosamente è proprio il senso ritmico della pulsazione della forza della Natura; il ritmo, per non voler sembrare barricadiero, è piuttosto slentato anche negli episodi che invece richiederebbero violenza espositiva (uno su tutti, il “Corriam, voliam”); gli episodi più marcatamente lirici (“Selva opaca”, per esempio) godono di un bell’accompagnamento ottimamente sostenuto da un soffice cuscino orchestrale. Ma il medium è pur sempre quello di un’opera che rimanda all’incipiente romanticismo; la prospettiva non è del tutto impropria, come sappiamo, ma è sicuramente più comoda ed affidabile rispetto a quanto svelato da Muti. Per cui, se vediamo alla direzione di Chailly nella prospettiva consueta dell’operona protoromantica, ne abbiamo probabilmente la migliore esegesi possibile; se invece ci poniamo nell’ottica naturalistica neoclassica che guarda a quegli aspetti magnificati da interpreti più accreditati, siamo ancora indietro anni luce. Questa quindi è la migliore direzione possibile dell’ancien régime
il tenore. Intendiamoci, disporre del Pavarotti di quegli anni è sicuramente un lusso; anzi, per certi versi questa è la miglior registrazione in studio del grande tenore emiliano, veramente al top delle proprie stratosferiche performances. Il problema è quello che sappiamo: Arnold ha una tessitura allucinante, oltre i limiti del possibile se affrontato à la Duprez. Il Pavarotti di quegli anni è un fenomeno, ma a cantare Arnold di petto fa evidentemente fatica anche lui confermando che questo ruolo deve essere affrontato con un’emissione mista di testa e gli acuti in falsettone rinforzato. Da questo punto di vista, la legittimità di quanto fatto ascoltare da Gedda e Merritt, tanto per stare ai più recenti, è evidente, ma non toglie comunque un grammo (lo diciamo a scanso di equivoci) ad una performance straordinaria come quella fatta ascoltare da Pavarotti che si mangia tutti quelli che hanno affrontato Arnold prendendolo “di petto”. Come dire, in sintesi: storicamente poco attendibile, ma prestazione comunque elettrizzante
Il resto del cast è anch’esso di alto livello, con l’eccezione di Ferruccio Mazzoli che fa un Gessler di scarso rilievo e di minimo spessore vocale, sia pure nell’ambito di una parte che non incide più che tanto nell’economia dell’opera.
In compenso, Mirella Freni è un babà: coniuga alla perfezione compostezza araldica dell’espressione con precisione adamantina del canto in una parte che, una volta tanto, viene restituita all’integrità (e fortunatamente, perché l’inizio del terzo atto è veramente meraviglioso, anche se viene spesso tagliato per non incrementare le difficoltà della parte). Il duetto del secondo atto con Arnold risuona di un’affettuosità serena e sincera, così come il “Selva opaca” che ci rivela la vocalista di rango che, dopotutto, la nostra Mirella è sempre stata.
Il texano Sherrill Milnes è stato un fior di baritono che in Italia stranamente non ha mai goduto di particolare fortuna; probabilmente erano graditi modelli espressivi diversi rispetto a quelli proposti. Il suo Guglielmo Tell è un guerriero roccioso che si giova particolarmente della scrittura fortemente declamatoria. È quindi un personaggio poco incline alla riflessività, ricco di ruvida affettuosità ma di scarsa concessione alle oasi di lirismo, anche nelle pause di riflessione come “Resta immobile” che è cantato con una sorta di disperazione cupa e rabbiosa. La scena del giuramento del secondo atto prende decisamente quota grazie anche al suo contributo essenziale e il finale dell’opera è aspro, ruvido, ma non privo di inflessioni caldamente umane. Una prova importante che prelude, per certi versi, a quello che farà un altro grandissimo baritono americano come Thomas Hampson che ha fatto di questo ruolo una personalissima icona.
Ghiaurov – com’è ovvio – fa di Gualtiero Farst una sorta di monumento all’integrità morale e alla vendetta. La voce risuona ovunque straordinariamente ampia e sonora, dotata com’è di quella caratteristica – propria di tutti i grandi cantanti – di essere immediatamente riconoscibile. Quello che manca, purtroppo, anche in un personaggio così monocorde, è la capacità di sfumare ed alleggerire l’espressione, o di darle una caratterizzazione purchessia che vada al di là di una generica violenza valida per tutti gli usi.
Bene, a parte il già citato Mazzoli, il resto del cast, con una citazione doverosa per il Rodolfo di Piero De Palma, come al solito grandioso in tutto ciò che tocca

Categoria: Dischi

 

Chi siamo

Questo sito si propone l'ambizioso e difficile compito di catalogare le registrazioni operistiche ufficiali integrali disponibili sul mercato, di studio o dal vivo, cercando di analizzarle e di fornirne un giudizio critico utile ad una comprensione non sempre agevole.